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FABRIZIO CRISCUOLO:
IL PROGETTO
DI RIFORMA DELL'AVVOCATURA, TRA ATTIVITÀ
D'IMPRESA E «ARTE LIBERALE »

 


L’avv. Fabrizio Criscuolo,
con studio in Roma,
professore ordinario di Diritto civile nell’Università della Calabria


Lo statuto delle attività
libero-professionali,
un tempo definite arti
liberali, deve essere
omologato a quello delle
attività di impresa? In caso affermativo le novità
all’esame del Parlamento
sarebbero in controtendenza rispetto all’evoluzione
della società.
Se si considerassero
la componente «umanistica» e l’apporto personale ancora preminenti nello svolgimento della professione forense,
si dovrebbe prendere atto che erano le precedenti
modifiche a collidere
con lo spirito più autentico
della professione


l Senato sta discutendo il progetto di riforma della giustizia, che richiede la partecipazione di tutti i professionisti.
È una presa d’atto dei cambiamenti radicali che l’Avvocatura ha subito, dei quali deve divenire parte attiva.

Riformare la giustizia è compito alto e difficile. Non dobbiamo e non possiamo arroccarci su posizioni precostituite. Non servono e non possono essere eretti muri che impediscono il libero confronto, che potrà anche essere aspro e fortemente dialettico, ma che dovrà essere connotato da volontà costruttive da parte di tutti. Quello che serve è umiltà nel trattamento dei complessi problemi che si presenteranno, intenzione ferma e decisa di trovare adeguate soluzioni, con vero intento di raggiungere l’obiettivo che ci accomuna tutti: il bene dei cittadini, il bene del nostro Stato. In questa ottica, dinanzi al raggiungimento di quanto di più alto e nobile è racchiuso nel fine ultimo da perseguire, a ciascuno verrà chiesto di fare la propria parte». Così Renato Schifani, presidente del Senato, concludeva il proprio discorso relativo all’Avvocatura e alla riforma della giustizia nella Costituzione e nell’ordinamento nel corso della VI Conferenza nazionale dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura il 20 novembre scorso. Premettendo: «Sono certo della totale adesione e della piena collaborazione dell’Ordine Forense».
Aderisce innanzitutto l’avvocato civilista Fabrizio Criscuolo, docente di Istituzioni di diritto privato nella Facoltà di Economia dell’Università della Calabria, specializzato nello studio del contratto, dell’arbitrato e, più in generale, dell’autonomia privata, e con all’attivo numerose monografie. È titolare a Roma di uno studio legale che assiste alcuni tra i maggiori operatori nazionali e internazionali e che ha seguito diverse operazioni di privatizzazione, di cartolarizzazione di crediti di enti pubblici e privati per conto di Banche d’affari italiane e straniere oltre a contenziosi anche arbitrali, prevalentemente nel settore delle opere pubbliche, sia in qualità di avvocato che di presidente o componente di collegi arbitrali; è preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università telematica e-Campus e ha ricoperto numerosi incarichi di consigliere di amministrazione in gruppi bancari ed industriali.

Domanda. In un momento di generale riassetto della disciplina delle professioni, il Senato sta discutendo un progetto di riforma dell’Avvocatura. In quale contesto sta maturando questa evoluzione?
Risposta. Il nucleo centrale del progetto di riforma non può che prendere atto che l’organizzazione e il modo di operare degli avvocati stanno subendo trasformazioni radicali. È infatti forte la spinta a considerare i servizi professionali alla stregua di un’attività d’impresa da esercitarsi in un mercato concorrenziale. L’Antitrust, in particolare, batte da tempo questa strada e, conseguentemente, fa sentire il peso dei propri interventi sulle varie categorie sollecitando la modifica dei codici deontologici, l’abrogazione di ogni forma di esclusiva, il ridimensionamento degli ordini, l’eliminazione dei minimi tariffari e del divieto di società interprofessionali, un più facile accesso dei giovani. L’assimilazione all’attività d’impresa, come ovvio, trova forti resistenze tra i professionisti i quali, in particolare, contestano che si possa equiparare il servizio professionale - basato sulla personalità della prestazione e sul rispetto di regole specifiche e peculiari - a una qualsiasi merce da vendere.

D. La principale critica all’intervento di eliminazione dei minimi tariffari, operato nella scorsa legislatura, verte sul rischio che ciò possa incidere negativamente sulla qualità della prestazione. È fondata tale preoccupazione?
R. Mi sembra che questa impostazione non colga il reale problema. Infatti, non necessariamente una tariffa garantita nei minimi assicura la qualità della prestazione, non potendo certo escludersi che un’efficiente organizzazione o una particolare capacità di generare economie di scala consentano di proporre una prestazione di qualità a prezzi più bassi. Occorrerebbe piuttosto prendere atto che non esiste un solo ed omogeneo «mercato» dei servizi professionali e, conseguentemente, che regole pensate per disciplinare, ad esempio, l’attività di grandi studi legali internazionali (che rendono i loro servizi agli operatori economici di maggiori dimensioni) mal si adattano al mercato delle attività professionali «artigianali» e individuali, le quali rappresentano ancora la modalità più diffusa di organizzazione della professione intellettuale nel nostro territorio. Tra l’altro, quest’ultima è la modalità organizzativa più rispondente alla nostra tradizione e che meglio si attaglia all’esigenza di contatto fiduciario che la dirigenza della piccola e media impresa - entrambe costituenti il tessuto principale della nostra economia - continua ad avere nei confronti del professionista. Tale tipologia di professionisti resta invece insensibile alle esigenze della grande impresa, il cui obiettivo dichiarato è proprio quello di abbattere i costi, spesso ingenti, dei servizi professionali non costituendo questo, di fatto, un suo problema.

D. Tra i problemi di coloro che ricorrono ai professionisti la qualità dei servizi rimane, però, il più importante e attuale. Come può essere regolato?
R. Non c’è dubbio che la qualità dei servizi debba essere garantita da un sistema di regole, anche deontologiche, molto rigorose. Spesso a mancare è proprio la selezione preventiva di qualità giacché, mentre in passato il professionista era sostanzialmente selezionato nell’ambito di una ristretta élite, oggi le cose sono cambiate e, come si è verificato per l’università, si assiste al fenomeno dell’accesso di massa anche alle professioni. È evidente che, sui grandi numeri, gli Ordini professionali molto più difficilmente riescono a preservare il livello medio di qualità della prestazione; né può confidarsi sulla circostanza che la selezione venga dal mercato, giacché non sempre, per una serie di ragioni, il cliente, che è anche un consumatore medio, è in grado di percepire se un professionista fa bene o male il proprio lavoro. La professione legale, come è facile intuire, conserva una posizione di particolare delicatezza in quanto concorre a tutelare interessi di rilevanza costituzionale; e malgrado tale investitura gli avvocati si trovano oggi stretti tra le inefficienze della giustizia, il numero eccessivo degli iscritti all’Ordine e la spinta ad eliminare il loro ruolo in tutte le vicende che non siano strettamente processuali.

D. Gli avvocati chiedono anche che torni ad essere vietato il cosiddetto «patto di quota lite» reso possibile dalla riforma Bersani, ossia l’accordo stretto tra il legale e il cliente in base al quale l’avvocato viene pagato in percentuale sull’eventuale risultato economico della causa, secondo una modalità molto diffusa nel mondo anglosassone. Perché vietarlo?
R. Il patto di quota lite, secondo molti, sarebbe lesivo del decoro della professione e spingerebbe a una sorta di accordo associativo tra cliente e avvocato, il quale potrebbe essere incentivato a comportamenti deontologicamente non corretti pur di ottenere il risultato; secondo altri costituirebbe, invece, un incentivo a far ottenere al cliente il miglior risultato possibile nel più breve tempo. Anche in relazione a questa opzione, come si può facilmente intuire, sono determinanti le modalità attraverso le quali l’attività del singolo professionista viene organizzata.

D. In questo contesto, come si pone la legge di riforma attualmente in discussione al Senato?
R. La riforma per ora si muove su tre livelli: anzitutto, quello della conferma, anzi dell’ampliamento delle attività riservate in esclusiva agli iscritti all’ordine; quindi, quello di garantire un filtro più stringente per l’accesso alla professione; infine, quello del ritorno alle tariffe minime vincolanti e inderogabili. In relazione a quest’ultima scelta si tratta evidentemente di un ritorno al passato e contro di essa si è prontamente sollevata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - da qualche anno solita interloquire in tema di riforma della professioni -, ricevendo una pronta replica del Consiglio Nazionale Forense.

D. Qual è il punto della riforma su cui concentra la sua attenzione?
R. I termini della scelta di fondo rimangono quelli di cui parlavo all’inizio: lo statuto delle attività libero-professionali, quelle che un tempo venivano non a caso definite «arti liberali», deve essere oggi inevitabilmente omologato a quello delle attività di impresa? Se la risposta fosse positiva, nessun dubbio che le novità all’esame del Parlamento si porrebbero in controtendenza rispetto all’evoluzione della società. Se, invece, si considerassero ancora preminenti o comunque essenziali nello svolgimento delle professioni - e di quella forense in particolare - la componente «umanistica» e l’apporto personale, si dovrebbe prendere atto che erano le precedenti modifiche a collidere con lo spirito più autentico della professione, con ogni conseguenza sul giudizio attinente all’attuale inversione di rotta. Il mio pensiero in proposito è che non dovrebbe entusiasmare l’idea che le scelte in merito ai contenuti delle regole che disciplinano l’attività di un cultore e studioso del diritto siano affidate alla sempre più frequente interlocuzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, come se tutta la professionalità dell’avvocato si esaurisse nel perseguimento di uno scopo lucrativo, sia pure in uno spirito di corretta competizione con gli altri iscritti all’Ordine.

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