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DIANA BATTAGGIA,
STRUMENTI E KNOW HOW AI PAESI
IN VIA DI SVILUPPO

a cura di
ROMINA CIUFFA

Diana Battaggia,
direttore dell’Itpo Italy,
costola italiana dell’Unido,
l’Organizzazione dell’ONU
per lo Sviluppo industriale


 


maggio saranno sei anni da quando Diana Battaggia si occupa dell’Ufficio per la Promozione Tecnologica e degli Investimenti dell’Unido, Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale. Tale ufficio, operante dal 1987 sulla base di un accordo tra Unido e Governo italiano, ha il compito di favorire la cooperazione industriale con le imprese dei Paesi in via di sviluppo, fornendo una serie di servizi nelle diverse fasi di un progetto di investimento, quali la ricerca di partner industriali e l’assistenza tecnica ai programmi industriali individuati.
Diana Battaggia ha dedicato la propria vita ai valori, per primo all’impegno nella solidarietà. Sin da quando, laureatasi in Scienze politiche, ha cominciato la propria carriera viaggiando e lavorando presso le organizzazioni internazionali di maggior rilievo. Ora che è a Roma, mantiene alto il livello di sensibilità verso il capitale umano, la cultura e tutti quei valori che anche l’Unido condivide: osare dove non oserebbero gli altri.
Anche in ambito privato la direttrice dell’Itpo Italy è impegnata con il marito, l’onorevole Mario Baccini, a promuovere la cultura italiana nel mondo attraverso la Fondazione Foedus, costituita nel 2003 con sede a Roma e a New York, con l’intento di «trasformare l’italianità da fattore di simpatia in garanzia di affidabilità– sono parole dello stesso Baccini–, e fare del modello italiano un esempio di qualità della vita». Insieme condividono valori con cui hanno improntato non solo l’attività professionale, ma anche la vita familiare e l’impegno nel campo sociale. Diana Baccini Battaggia spiega in che modo.

Domanda. Cos’è l’Unido e quale significato ha per lei?
Risposta. Ho cominciato la mia attività nell’Unido con un compito: dare a questo ufficio una sferzata in termini di concretezza. L’Unido è l’agenzia delle Nazioni Unite, con sede a Vienna, che si occupa di industrializzazione; noi abbiamo la funzione di braccio operativo in Italia: dobbiamo stimolare gli imprenditori italiani a prendere in considerazione i Paesi in via di sviluppo e i loro operatori e con essi intraprendere un rapporto, aiutandoli a trovare una strada propria da percorrere poi da soli attraverso una serie di iniziative; è il caso di dire, fornire le canne da pesca e non il pesce. Innanzitutto puntiamo sul trasferimento di tecnologia per rendere questi Paesi competitivi nel mercato; quindi sulla loro partecipazione al know how attraverso joint ventures, che noi stimoliamo.

D. Qual’è la particolarità dell’Unido rispetto alle altre agenzie che compiono lo stesso tipo di attività?
R. L’operatività, la presenza capillare nel luogo e il rapporto diretto con gli imprenditori. L’Unido si reca nei Paesi di nicchia, dove non andrebbe nessuno. Quindici anni fa nel Mediterraneo, ad esempio in Egitto e in Marocco, dove oggi è facile andare proprio perché anche l’Unido ha aperto la strada. Siamo alla continua ricerca di nuove strade da spianare: ad esempio Africa, Sudamerica, Serbia. Siamo presenti in Pakistan, sebbene la nostra sede sia saltata e gli operatori lavorino da casa, dove gestiamo una linea di credito di circa 7 milioni di euro e stimoliamo gli imprenditori a creare joint ventures; lo scorso ottobre 15 aziende pakistane operanti nel campo della pietra sono giunte in Italia per acquistare macchine e know how italiani. Come in passato siamo stati in Cina, oggi guardiamo al Vietnam e all’India dove trasferiamo il know how della pelletteria e insegniamo alla popolazione a trattare le acque reflue, estremamente inquinanti, per evitare che siano disperse nel terreno dopo il trattamento della pelle.

D. In che modo vi ponete rispetto al talento italiano?
R. Una delle nostre iniziative consiste proprio nell’individuare nuovi talenti nel campo delle tecnologie. Abbiamo scoperto ad esempio, e stiamo lanciando, l’idea di un imprenditore di Lecco incentrata sul concetto di refrigerazione passiva, ossia su frigoriferi e celle frigorifere che funzionano ad energia solare. Tale refrigerazione non produce anidride carbonica e soprattutto può essere praticata anche in luoghi dove non è presente la corrente elettrica. Abbiamo fatto una comparazione con i metodi normali ed è risultato che la carne dura 20 giorni in più se mantenuta in refrigerazione passiva. Ciò comporta anche il vantaggio di una maggiore conservazione, rivelandosi di importanza fondamentale nei Paesi in via di sviluppo nei quali la catena del freddo non consente l’esportazione di prodotti locali.

D. Stimolate l’impresa chiedendo la collaborazione dagli imprenditori italiani: quale risposta trovate?
R. Le risposte sono sempre positive, gli imprenditori italiani mai come ora si sentono parte di un mondo imprenditoriale più ampio e globalizzato; capiscono anche che l’erba del vicino è la loro erba, che se si inquina altrove la cosa riguarda anche noi, quindi c’è una grande attenzione.

D. Quali progetti in particolare sono oggi in corso?
R. Come Unido in generale, abbiamo 3.956 progetti che coinvolgono i Paesi africani per un ammontare di 520 milioni di dollari. In questo momento stiamo cercando di aiutare anche l’Armenia, piccolo Paese con molte potenzialità. Pochi sanno che la parola «armenia» vuol dire albicocca, e questo è infatti il più grande produttore di albicocche: oltre a sviluppare tale fase, si potrebbe dare il via a un processo di inscatolamento e ai passaggi successivi, ma anche sviluppare la produzione di patate, abbondanti nel Paese. Per questo stiamo cercando di portare gli imprenditori a produrre in Armenia e di coinvolgere i Paesi che la circondano. Stiamo lavorando molto anche in Sudamerica, in Messico abbiamo organizzato un forum sulle energie alternative cui hanno partecipato 2 mila tra esperti e imprenditori, di cui una cinquantina italiani: è stato un grande successo. Inoltre ospitiamo in Italia i delegati dai Paesi in via di sviluppo con un pacchetto di progetti, e giriamo in lungo e in largo per promuoverli, naturalmente selezionando i progetti, compiendo una scelta che possa interessare l’imprenditore italiano. In Italia i delegati trovano una famiglia che li segue per tutto il tempo di permanenza, da un mese a tre mesi, nel quale conoscono una realtà diversa con il compito di trasferire quanto appreso nel proprio Paese. Anche il nostro è un ufficio multietnico e multiculturale: abbiamo personale italiano ma anche proveniente da Paesi come il Sud America o l’Africa.

D. Collaborate con altri enti?
R. In primis con la Cooperazione Italiana, inoltre lavoriamo sia con la Simest, Società Italiana per le Imprese all’Estero, che con l’Ice, Istituto nazionale per il Commercio Estero, perché riteniamo importante non andare in ordine sparso: si perde molto meno tempo, le risorse sono limitate ed è necessario creare una sinergia. Inoltre ci dà molta soddisfazione lavorare con il Ministero dell’Ambiente: l’ambiente è infatti una nostra priorità e il Ministero è sensibilissimo non solo per quanto riguarda l’Italia, ma anche per i Paesi in via di sviluppo, soprattutto il Nord Africa, dove stiamo stimolando l’uso di energie alternative. Tali enti ci apprezzano e riconoscono il nostro lavoro. Lo dimostra il fatto di aver consentito, per la prima volta nella sua storia, il debutto dell’Unido ai lavori preparatori del G8 nel campo energetico e ambientale. La nostra partecipazione ha dato un’importante contributo al dibattito e l’Unido è stato riconosciuto come uno dei protagonisti nel complesso quadro delle iniziative internazionali per la salvaguardia dell’ambiente.

D. In che modo l’Itpo Italy è collegata all’Unido internazionale?
R. Il nostro ufficio è nato 22 anni fa mediante un accordo siglato tra l’Unido e l’Italia. Inizialmente aveva una sede a Milano, poi trasferita a Bologna, infine a Roma per coinvolgere, dal centro, tutto il Paese servendo da Nord a Sud e nello stesso tempo intrattenendo relazioni con le altre agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di agribusiness, come la Fao (Food and Agriculture Organization), l’Ifad (International Fund for Agricultural Development), il Pam (Programma Alimentare Mondiale) e tutte le altre istituzioni che lavorano con le imprese. Il trasferimento a Roma ci consente di lavorare, ad esempio, con le aziende baresi per quanto riguarda l’olio di oliva, con la Sicilia e la Campania per quanto riguarda la pesca nel Mediterraneo; e con le aziende bolognesi, modenesi, veneziane e tutte le altre nel Nord, al fine di valorizzarne la relativa esperienza. Saremo a Vicenza tra pochi giorni con la delegazione pakistana nel campo dell’oro; lavoriamo molto con le Marche per quanto riguarda la pelletteria e le scarpe ed è marchigiano il know how che stiamo trasferendo in India. Da Roma siamo in grado di lavorare a 360 gradi, e questa scelta è definitiva. Siamo una rete e comunichiamo quotidianamente con i vari uffici nel mondo e con la casa madre, in un costante scambio di informazioni. Sviluppiamo varie attività in cooperazione con gli HQs. Uno dei momenti più significativi è stata la visita in Italia del direttore generale dell’Unido, Kandeh K. Yumkella, nell’ottobre 2008. Durante tale visita, organizzata proprio dal mio ufficio, vi sono stati colloqui con i responsabili delle maggiori istituzioni italiane come i Ministeri degli Esteri e dell’Ambiente, culminati con un incontro con il premier Silvio Berlusconi. Il summit è stato un successo; al presidente Berlusconi tanto di cappello, anche se ha ancora un credito nei miei confronti, ovviamente squisitamente politico.

D. In che modo create informazione fra le imprese?
R. Organizziamo forum che promuovono l’incontro tra gli imprenditori italiani e quelli dei Paesi in via di sviluppo, svolgiamo presentazioni-Paese soprattutto quando ospitiamo in Italia i delegati e invitiamo non solo imprenditori ma direttori di agenzie regionali e altri interessati. Cerchiamo di far capire alle Regioni che potremmo essere un buon veicolo creando una maggiore sinergia. Abbiamo anche un’ottima collaborazione con la Confindustria. Disponiamo inoltre di un sito ricco d’informazioni (www.unido.it) e di un database con oltre 3 mila aziende.

D. È recente un accordo con la fiera di sistema Ipack-Ima: di che si tratta?
R. In Italia abbiamo una serie di industrie che costruiscono macchine operative nei processi alimentari. Noi contribuiamo portando alla fiera triennale imprenditori stranieri; abbiamo appena stretto un accordo con l’Ipack-Ima al fine di stimolare, entro l’Expo 2015, una serie di progetti e di programmi sulla sicurezza alimentare. È durante l’edizione Ipack-Ima 2009 che è sorto l’interesse a collaborare maggiormente.

D. In che modo le nostre istituzioni si rivolgono alle istituzioni dei PVS?
R. L’Itpo Italy si rivolge alle istituzioni dei Paesi in via di sviluppo con la collaborazione del Governo italiano rappresentato dalla Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, che con il suo accordo ci consente di operare ed è sempre stato presente nei nostri sforzi volti al miglioramento dell’imprenditoria dei Paesi in via di sviluppo. Oltre alla collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, lavoriamo anche con quello dello Sviluppo Economico per tutte le attività che il ministro Claudio Scajola e il viceministro Adolfo Urso hanno avviato in Africa.

D. Vi occupate di formazione?
R. Formiamo i delegati e, su richiesta dei Governi dei Paesi in via di sviluppo, organizziamo attività di capacity building nei diversi settori in cui gli italiani esprimono eccellenze. Con la propria metodologia l’Unido dà la possibilità ai corsisti di acquisire le conoscenze per poter compiere una corretta valutazione dei progetti che vengono loro presentati, relativa alla bontà degli stessi nonché alla giustificazione degli investimenti in modo tale da evitare i flop, soprattutto dovuti agli entusiasmi del momento. Bisogna saper valutare bene le potenzialità di un Paese in via di sviluppo anche dal punto delle diverse culture: le diversità devono esser capite e affrontate e di ciò devono esser informate le aziende che decidono di investire altrove.

D. Anche nella vita privata lei si occupa di solidarietà e beneficenza. In che modo si è sviluppata questa sua attitudine al settore sociale?
R. Nata a Venezia, mi sono laureata in Scienze politiche a Padova e ho continuato i miei studi in Irlanda e in Francia; quindi sono stata eletta parlamentare nelle file della Lega Nord a 28 anni. La mia esperienza è durata una legislatura, tanto è bastato per conoscere i meccanismi della politica. Quindi sono partita per Ginevra dove per 5 anni ho guidato un progetto dell’Unctad (l’United Nations Conference on Trade and Development) viaggiando in Africa e nel Mediterraneo; con quest’esperienza ho appreso cosa vuol dire cooperazione e i modi per farla seriamente. In ragione dell’occasione di lavorare con l’Unido sono rientrata.

D. Com’è stato tornare in Italia?
R. Sono felice di essere rientrata innanzitutto perché qui ho la mia famiglia. Mi hanno unito a mio marito Mario Baccini soprattutto i valori con i quali abbiamo portato avanti un’esperienza non solo di unità familiare, ma anche lavorativa e sociale.

D. In che modi concreti lei e suo marito usate questo slancio comune verso la solidarietà?
R. Innanzitutto abbiamo costituito la Fondazione Foedus, di cui mio marito è presidente, anche con altri amici interessati alla solidarietà e alla promozione dell’impresa e della cultura italiana nel mondo, con la quale organizziamo anche mostre d’arte di cui io sono appassionata. Ci riteniamo fortunati non solo di essere nati in Italia, ma di aver avuto una serie di opportunità nella vita; per questo parte del nostro tempo crediamo debba essere dedicata a chi è meno fortunato. Con i nostri amici abbiamo aiutato delle missioni in Brasile e in Argentina, mentre a Roma ci siamo occupati di togliere i giovani dalla strada creando delle sale polifunzionali adiacenti alle parrocchie di periferia, che stanno dando risultati concreti. Lo scorso dicembre abbiamo replicato una grande iniziativa, «Un dono per un sorriso», per raccogliere fondi che da due anni devolviamo all’Ospedale del Bambin Gesù, per comprare macchinari di ultima generazione per i bambini.

D. Cosa metterebbe dunque per prima, tra le priorità?
R. Ho improntato la mia vita sui valori, così mio marito, e tutto ciò che facciamo - nella famiglia, nel lavoro, nelle iniziative - lo portiamo avanti attraverso una coerenza che impronta la nostra esistenza e che è, essa stessa, per prima un valore.

 

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