è chi chiede continuamente riforme, chi sostiene l’assoluta necessità di riformare. Spessissimo, anzi il più delle volte, senza specificare di quali riforme si tratti. Ci si limita ad affermare che occorrono perché qualcosa o molto in Italia non funziona. Da questi riformatori le riforme sono presentate come il toccasana di tutti i mali. Sembra, inoltre, che non ve ne siano state da lunghissimo tempo. Insomma ogni giorno, anzi più volte al giorno, si sente ripetere dai politici che così non si va più avanti, che occorrono le riforme. E lentamente e inavvertitamente la massa finisce per credere anche a questa favola.
Ma se si mette un momento a riflettere su cosa si debba riformare, istintivamente pensa a tante piccole cose che angustiano la vita di tutti i giorni delle famiglie e delle imprese; alle difficoltà poste da un’infinità di leggi, a inutili adempimenti, pratiche burocratiche, ingiustizie, ritardi, furbizie di potenti ecc.. Un nutrito elenco che non trova, però, nei programmi dei grandi riformatori politici. Per il motivo semplicissimo che non sono affatto queste le riforme che interessano i politici, ossia quelle di cui abbondantemente ma cripticamente parlano.
A loro interessa esclusivamente una sola riforma, quella che gli consenta di conquistare il potere e, una volta conquistatolo, di mantenerlo il più a lungo possibile, preferibilmente a tempo indeterminato. Lusingano e blandiscono l’elettorato, gli fanno grandi promesse, ne esaltano i diritti e le libertà per conquistare la maggioranza parlamentare; raggiunto lo scopo, glieli toglierebbero volentieri per impedirgli di tornare indietro, di rinfacciargli la cattiva gestione del potere. Una delle principali riforme cui tendono è proprio questa, un tranello per l’elettorato.
Un tranello teorizzato da esperti, professori di Università, opinionisti al loro servizio, con parole altisonanti, di difficile interpretazione. Ad esempio con il termine «stabilità», più precisamente «stabilità governativa», ingannevole locuzione usata per ottenere l’effetto opposto a quello ufficialmente attribuitole. Perché si fa intendere all’elettorato, ossia al Paese, che l’instabilità dei Governi, ossia la loro breve durata, caratteristica della prima Repubblica, sia dannosa per esso, ostacoli e ritardi le decisioni, sconvolga frequentemente i programmi governativi, rallenti lo sviluppo economico, aumenti le spese pubbliche con le ricorrenti elezioni, alimenti la sfiducia nelle istituzioni. Magari le riforme oggi annunciate evitassero tutto questo.
Chi l’afferma, o è un grande ingenuo o è in malafede. Innanzitutto perché non occorre un Governo di 5 anni ma di 60 giorni al massimo per eliminare intralci e difficoltà con un decreto legge che, adottato alle tre del pomeriggio ed entrato in vigore a mezzanotte con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, venga ratificato entro 60 giorni da una maggioranza come quella esistente oggi in Parlamento; la quale, invece, si prefigge profonde, inopportune e assolutamente non necessarie riforme elettorali e costituzionali. Un esempio: muoiono in auto tantissimi giovani reduci dai sabato sera svoltisi in realtà la domenica mattina in locali che aprono all’una e chiudono all’alba? Basterebbe un decreto di tre righe sugli orari. Protesterebbero i gestori? Quanti sono e quanti sono, invece, i familiari dei giovani morti o in pericolo di droga, di alcol e di vita, oltre alla massa delle persone di buon senso?
Un altro esempio: la vita delle famiglie e le attività economiche nel Centro storico di Roma, ma anche di altre città, sono paralizzate dai numerosissimi cortei, manifestazioni, proteste, scampagnate di sindacati, categorie, associazioni, gruppi spontanei. Nonostante le promesse e i tentativi compiuti da autorità locali dotate di scarsi poteri in materia, basterebbe un decreto di poche righe per ridurre le imposte su famiglie, attività e immobili situati nei Centri storici e accollare agli organizzatori le perdite finanziarie registrate dagli enti percettori.
Un Governo della durata di tre mesi - come ve ne furono nella prima Repubblica -, che non adotti queste «riforme» non lo farebbe neppure quando avesse 5 o 10 anni di «stabilità». Un’eccezione è stata quella dell’attuale segretario del Pd Pierluigi Bersani il quale nel 2006, come ministro dello Sviluppo economico del Governo Prodi, varò in qualche mese una serie di «liberalizzazioni»; purtroppo alcune arrecarono vantaggi più alle banche che ai consumatori. Ma occorrono esclusivamente ai politici, non certo al Paese, le riforme di cui la classe politica parla oggi, e che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ribadito che realizzerà ad ogni costo, con o senza il consenso dell’opposizione, nei 3 anni e mezzo quasi che restano all’attuale Legislatura.
E, poi, chi ha ancora l’improntitudine di sostenere che in Italia non siano state fatte riforme quando dal 1992 ad oggi, in ben 18 anni filati, si è attuata una riforma continua, il cui ultimo e clamoroso atto, dopo l’introduzione del federalismo fiscale, risale a pochissimi giorni fa? Parlo della «privatizzazione dell’acqua», ossia dell’obbligo per i Comuni di vendere le aziende pubbliche municipali, di proprietà di tutti i cittadini, a persone e società private che si conteranno sulle dita di una mano.
Vogliamo elencare alcune riforme? Innanzitutto la trasformazione di istituti ed enti pubblici - Iri, Efim, Ina, ecc. - in società per azioni, il loro smembramento e la vendita a pochissimi privati; l’elezione diretta dei sindaci e la nomina di assessori esterni nei Comuni di oltre 15 mila abitanti; le nuove leggi elettorali di Province e Regioni, le leggi elettorali nazionali note come Mattarellum e Porcellum; l’istituzione delle Autorità Garanti; le leggi Bassanini sulla Pubblica Amministrazione; la riforma della Scuola e dei Beni culturali ecc.
L’unica riforma di cui gli italiani non hanno proprio bisogno è quella della Costituzione, che servirà solo a tutelare gli interessi personali e categoriali della classe politica. Semmai l’unica riforma necessaria in materia costituzionale sarebbe il ripristino, sic et simpliciter, della Costituzione del 1948, con l’eliminazione delle modifiche apportatevi, che hanno minato una costruzione giuridica perfetta, creato aggravi procedurali e finanziari alle casse dello Stato e fiscali a tutti indistintamente i cittadini.