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MARIO RESCA:
COME VALORIZZARE
IL PATRIMONIO
CULTURALE ITALIANO

 



Mario Resca, direttore
generale per la valorizzazione del Patrimonio culturale
del Ministero per i Beni
e le Attività culturali


«I musei statali
in Italia sono 399,
quelli privati circa
4 mila, un patrimonio
incredibile che
registra solo 97
milioni di visitatori
l’anno quando
in Germania, con un ventesimo del nostro patrimonio, sono oltre 100 milioni. Siamo
carenti nel diffondere la cultura fra
la popolazione tramite
musei, biblioteche,
archivi, siti
archeologici»

aureato in Economia e Commercio alla Bocconi di Milano, Mario Resca ha maturato una ricchissima esperienza nella gestione di aziende, in particolare nel risanamento e rilancio di imprese in difficoltà. Nella sua lunga carriera è stato sempre al vertice di grandi società; può dirsi che una parte significativa della finanza italiana - ma anche multinazionali di rilevanza mondiale - si è avvantaggiata delle sue cure. Cominciata la carriera subito dopo la laurea nella Chase Manhattan Bank, presto divenne direttore della Biondi Finanziaria, società del Gruppo Fiat. I successivi incarichi l’hanno visto impegnato nel ruolo di consigliere di amministrazione della Lancôme Italia, di società dei Gruppi RCS Corriere della Sera, Versace e Mondadori. Dopodiché, il susseguirsi di ruoli di primissimo piano e di grande responsabilità: è stato presidente di Italia Zuccheri, del Casinò di Campione, di Confimprese, di Sambonet, di Kenwood Italia, dell’American Chamber of Commerce; e inoltre consigliere di Finance Leasing, Arfin ed Eni. Infine ha ricoperto la carica di amministratore delegato e presidente della McDonald's Italia. Difficilmente il settore pubblico, in particolare il Ministero per i Beni e le Attività culturali, avrebbe trovato un manager così esperto in ristrutturazioni e rilanci aziendali, sensibile verso le strutture istituzionali e soprattutto innamorato e orgoglioso del patrimonio artistico, archeologico e culturale nazionale. In questa intervista Resca, che si è messo subito al lavoro e che da esperto comunicatore ha già suscitato l’interesse dell’opinione pubblica, illustra i propri principi e programmi destinati a risvegliare l’orgoglio degli italiani, non solo degli amanti della cultura.

Domanda. Può delineare un bilancio della sua attività?
Risposta. Quando il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro per i Beni e le Attività culturali e Sandro Bondi mi hanno chiesto di partecipare alla ristrutturazione del Ministero, c’è chi ha pensato ad una contrapposizione tra la tradizionale funzione di tutela del patrimonio culturale svolta dalla struttura istituzionale dello Stato, appunto il Ministero dei Beni culturali, e l’opera voluta dal Governo. Quando è diventato noto il mio nome, è circolata una petizione, che ha raccolto ottomila firme, contraria alla nomina di una persona non proveniente dal mondo della cultura. Questa preoccupazione è caduta quando si sono constatati il rispetto che porto per la specifica struttura tecnica, la non sovrapposizione dei due ruoli, l’apprezzamento delle rispettive competenze professionali. E il rinonoscimento che, se abbiamo la fortuna di avere il maggiore patrimonio artistico e culturale del mondo, abbiamo la responsabilità di tutelarlo ma anche di farne usufruire i nostri connazionali, gli stranieri e le future generazioni.

D. A quale settore professionale appartiene?
R. La cultura appartiene a tutti, anche a chi non viene specificamente dal mondo dell'arte e dell'archeologia. La mia, in particolare, è cultura d'azienda, della gestione delle risorse umane, della pianificazione, di come sviluppare le aziende e non farle morire. Questa è la specializzazione che ho esercitato in questi decenni occupandomi di imprese in difficoltà, cercando di sanarle e di rilanciarle.

D. Quali esperienze ha nel settore dei Beni culturali?
R. Ho viaggiato moltissimo visitando molti musei in Italia e all'estero, ho parlato con sovrintendenti, direttori, sindacalisti, custodi, ho partecipato a tanti convegni, sono andato «sul campo», come si direbbe, ma anziché scoraggiarmi, mi sono motivato, mi sono reso conto della necessità di valorizzare il nostro grande patrimonio, intendendo valorizzazione culturale, non economica. Osservando dati non confutabili, ho visto che, rispetto ad altri Paesi, i nostri connazionali visitano poco i musei; in Italia quelli statali sono 399 tra musei, biblioteche, archivi ed aree archeologiche, i privati circa 4 mila tra comunali, regionali, provinciali e di soggetti privati, un patrimonio incredibile che registra solo 97 milioni circa di visitatori l’anno quando in Germania, con un ventesimo del nostro patrimonio, i visitatori sono oltre 100 milioni. Questo significa che siamo carenti nel diffondere la cultura fra la popolazione attraverso le testimonianze esistenti in musei, biblioteche, archivi, siti archeologici, che gli stranieri ammirano. I dati negli ultimi 5 anni sono negativi, stiamo perdendo visitatori, 20 anni fa l'Italia era la prima nel mondo per numero di turisti, ora è scesa al quinto posto e va verso il settimo. La Francia registra 18 milioni e mezzo di visitatori nei cinque musei che sono a Parigi; da noi la permanenza media di turisti stranieri è di un giorno e mezzo, a Parigi di quattro. Perché non si trattengono altrettanto a Roma, con tutto quello che abbiamo? Visitano solo il Colosseo e i Musei Vaticani.

D. Qual’è la condizione dei siti?
R. Ho avuto l'onore di mostrare il Colosseo al presidente della Repubblica Popolare Cinese Hu Jintao, che è un ingegnere ed è molto interessato agli aspetti architettonici, in occasione della sua visita a Roma per il G8 dello scorso anno. Purtroppo mi sono dovuto vergognare di far vedere ai rappresentati della massima potenza mondiale, con cui il mondo farà i conti nei prossimi anni, quella che deve essere una magnificenza, semicoperta da tubi Innocenti posti provvisoriamente 12 anni fa a cancelli e ad arcate; spazi esterni sporchi; mercanti abusivi che importunano i turisti; finti legionari romani; reti di plastica rossa. Inoltre il Colosseo si chiude alle 16,30, un'ora prima del tramonto, quando potrebbe essere aperto 24 ore su 24 e offrire una grande quantità di lavoro. E noi saremmo quelli che tutelano e valorizzano?

D. Che cosa ha detto nell’occasione il presidente cinese?
R. Nelle poche ore trascorse insieme, Hu Jintao ha espresso osservazioni apparentemente semplici ma di estremo interesse. Accostava l'identità culturale dell’Italia a quella della Cina, trattandosi delle due uniche culture millenarie sopravvissute, mentre quella greca e quella egizia sono decadute. La cultura romana ha pervaso e condizionato lo sviluppo di tutta la cultura occidentale; se i Paesi del Nord e del Sud America sono «occidentali», dipende dal processo culturale inarrestato passato dai greci ai romani. L’Italia e la Cina, sostiene Hu Jintao, sono i due poli culturali che hanno influenzato il mondo; non ci sono altre culture millenarie.

D. Non è stato compiuta una riforma quando era ministro Alberto Ronchey?
R. Ci fu un tentativo di valorizzare i beni culturali con la legge Ronchey, che consentì di introdurre nei musei un minimo di accoglienza, fondamentale per il visitatore. Ma in Italia i tempi sono lunghi. Dal momento in cui il ministro Bondi ha deciso l’attuale riforma a quando è stata realizzata, sono trascorsi però solo nove mesi e lo scorso dicembre ho compiuto i primi 100 giorni dal mio insediamento come direttore generale per la valorizzazione. I visitatori devono trovare un bar che funziona, incontrare gli amici in un ambiente accogliente nel quale l'arte è fruibile; quando si vede quello che fanno all’estero con poche risorse, ci si irrita nel vedere il nostro immenso patrimonio ignorato dalla gente. Noi preferiamo elargire incentivi per la rottamazioni delle lavatrici domestiche; sarà una misura di carattere sociale, ma è una cosa diversa, non saremo mai più competitivi nel produrre lavatrici che si fabbricano in Cina e in altri Paesi in grado di produrle a prezzi e qualità più convenienti. Questa sfida in Italia è persa. L'innovazione, lo sviluppo tecnologico sono frutto di investimenti colossali di aziende di grandi dimensioni che dispongono di risorse umane e finanziarie. Anche le aziende farmaceutiche, un tempo molto solide, stanno abbandonando l'Italia. L'industria ha già perso questa scommessa, il trasferimento all’estero è in atto da tempo e il processo sta continuando, le fabbriche man mano stanno chiudendo. L'Italia non trae più reddito da attività manifatturiere. Se compiamo un banalissimo inventario, vediamo che non abbiamo materie prime, energia, aziende competitive a livello globale, multinazionali. Anche il turismo balneare sta scomparendo, perché le nostre coste non sono più sono più un punto di forza.

D. E non abbiamo il made in Italy?
R. Nel mondo beneficiamo del culto dell'italianità nei settori della moda, del design, della creatività; ma se vogliamo pensare al futuro e rilanciare il Paese, non dobbiamo fare altro che investire e considerare un asse portante il turismo culturale, capace di un indotto enorme; negli Stati Uniti si dice che ogni dollaro investito nella cultura crea un reddito di 19 dollari. All’estero ci considerano una potenza culturale. Sono sempre più convinto, quindi, che per il rilancio della nostra economia è doveroso rivalorizzare i nostri beni culturali.

D. Qual è allora il programma?
R. Il primo obiettivo che mi sono posto è stato quello di creare una squadra, di valorizzare i nostri uomini. Io non sono in competizione, sono in sintonia con essi, unisco le mie competenze alle loro per creare una sinergia, perché sono loro gli esperti. Le opportunità sono tante, il compito è arduo ma non costituisce un problema, però quanto ai tempi e alle risorse finanziarie lo Stato deve capire che è fondamentale investire in questo settore perché crea un’enorme ricchezza indotta. Abbiamo elaborato un piano triennale, abbiamo dato a sovrintendenti, direttori di musei e a tutti gli operatori del Ministero un obiettivo semplice, per la prima volta misurabile e realistico: far sì che italiani e stranieri tornino a visitare i nostri siti di cultura. Abbiamo lasciato loro la libertà di definire le modalità e di avere l’orgoglio dei risultati. Il piano prevede un aumento di visitatori del 3 per cento nel 2010, del 5 nel 2011, del 10 nel 2012. Visitare un museo non deve essere appannaggio solo degli studiosi che saranno il 2 per cento, ma anche dell'altro 98 per cento, costituito dalla popolazione.

D. Qual è il ruolo dell’Italia nel panorama mondiale?
R. Abbiamo la responsabilità di gestire il patrimonio culturale mentre siamo proiettati in un futuro globalizzato che comporta l'apertura dei mercati e la libera circolazione delle merci. Siamo un Paese di 60 milioni di abitanti in un contesto di 6 miliardi che tendono tutti al benessere, alla creazione e ripartizione della ricchezza. Credo che il ruolo di questo piccolo Paese in un panorama costituito dalla Cina con il suo miliardo e 300 milioni di persone, all’Estremo Oriente, dall'America e anche dall’Europa, consista nella competizione e nel renderci conto di quale possa essere e da dove possa venire la nostra ricchezza.

D. Lo Stato stanzia i fondi necessari per attuare questo rilancio?
R. Il settore pubblico non ha risorse finanziarie. È un male cronico, alla cultura abbiamo destinato da sempre somme insufficienti rispetto a quelle agli altri Paesi, dallo 0,20 allo 0,30 del bilancio statale, rispetto allo 0,90 o all’1 per cento della Francia, che rientra nella media europea. Il problema oggi è grave, occorre coinvolgere in qualche modo il capitale privato. A tal fine occorrono nuove norme, quindi interventi legislativi. Con il ministro stiamo studiando meccanismi di incentivazione rivolti ai privati come la defiscalizzazione, attuata all'estero, degli investimenti compiuti nella cultura. In quest’opera lo Stato non può essere solo, è fondamentale l’apporto di capitali dei privati i quali però ne chiedono il rendiconto, per cui anno per anno lo Stato deve dimostrare di averli impiegati bene; dobbiamo imitare un concetto che all'estero è già consolidato.

D. La vendita dei biglietti non è sufficiente?
R. Pagare il biglietto nei musei rappresenta un rito quasi medievale perché l’incasso va al fisco, mentre se si brucia una lampadina occorrono sei mesi prima che giunga l'autorizzazione per sostituirla; nel frattempo se ne sono bruciate altre. Va attribuita ai direttori la responsabilità della gestione. È necessario incentivare e sviluppare la produzione artistica contemporanea, anche per aiutare i giovani autori, ma esiste l’ostacolo dell’Iva, troppo alta per gli scambi di opere artistiche. Queste e altre riforme vanno fatte rapidamente. La questione non è il costo del biglietto ma quante persone visitano i musei e i siti archeologici, quanti turisti giungono in Italia, quanto spendono nei trasporti, nella gastronomia, negli alberghi, nei prodotti industriali e artigianali, nell’editoria. Anche perché, quando si conoscono, si amano e si comprano più volentieri i prodotti italiani. La cultura non è un fatto asettico, è un fenomeno che influenza l’economia e quindi le condizioni di vita delle popolazioni.

D. Come riattrarre rapidamente la gente verso questo mondo?
R. Pur con mezzi molto limitati, la campagna lanciata di recente - «Se non visitate il Colosseo lo portiamo via» ed altri inviti -, vuole essere una provocazione diretta ai nostri connazionali e a chi adotta le decisioni per far capire quanto sia essenziale che questo patrimonio generi ricchezza culturale ed anche ricchezza economica. A chi ha criticato la campagna rispondo che ho un po' di esperienza nella comunicazione, e che ognuno deve operare nel proprio campo.

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