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SOCIETÀ MODERNA.
USI, COSTUMI,
CREDENZE E SENTENZE


 

dell’avv. BIAGIO CALDERANO,
specialista
in Criminologia clinica


 


io creò la femmina, perché aveva bisogno della mamma, per essere in ogni luogo, assicurandosi così non solo il dominio attraverso la perpetuazione della specie, ma anche la tutela contro Lucifero, il suo più bell’angelo ribelle; e, predileggendola, la istruì al punto da fargliene sapere una più del demonio. Con questa impostazione teologico-strutturale il mondo è andato sempre avanti sin dalle sue origini che si perdono nella notte dei tempi, sia pure con gli alti e bassi che la Storia racconta, senza trascurare le meraviglie dell’avventura e i disagi della violenza umana, sempre in agguato come la vipera alla frescura.
L’epoca attuale, dai dilatabili confini spazio-temporali, si caratterizza in maniera a dir poco stravagante per una serie di considerazioni che ci accingiamo a svolgere. Prendiamo spunto dal matrimonio, un istituto assai antico che, nonostante tutto, ancora esiste e resiste, pur con tutte le anomalie che esso rivela e le deficienze che gli vengono attribuite o imposte. Muovendo da lontano, esso per i Canonisti era anche «remedium concupiscentiae» oltre che fine primario della procreazione e, secondo alcuni giuristi, «jus in corpus» in contrapposizione al «debitum coniugale»; comunque, un istituto calzante con la natura umana, in qualche modo considerata bisognosa, se non meritevole, di stargli accanto.
In questo ambito Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dottore della Chiesa, sconvolge i canoni della morale sostenendo che, se il marito ha desiderio contro natura, la moglie deve assecondarlo per impedire, con il tradimento, il verificarsi di uno squilibrio capace di pregiudicare l’unione matrimoniale e l’armonia della famiglia. Le cose sono peggiorate quando il legislatore - leggi la politica - ha voluto dare una nuova sistemazione giuridica ai reati sessuali, spostandoli da quelli contro la morale, dove erano stati saggiamente collocati dai nostri padri, ai reati contro la persona, dove li ha pretesi l’insana propaganda non so se solo femminista.
La conseguenza perniciosa, sul piano giurisprudenziale, non si è lasciata attendere. Invero, la sentenza della Corte Suprema di Cassazione III Sezione del 10 gennaio 2007 n. 256, dichiarando inammissibile il ricorso, ha legittimato la condanna per violenza carnale del consorte dalla mentalità vecchio stampo e dal vigore non assopito dagli anni di convivenza, e offre un significativo esempio di rigorosa applicazione dei nuovi principî, riproducente gli effetti aberranti della nuova visione della persona di fronte alla legge.
La sua tutela, ovunque e comunque, non può non incidere sulla famiglia, primaria istituzione sociale, nucleo base di ogni sviluppo o di sicuro deragliamento, al quale stiamo assistendo sbigottiti ma incapaci di porre rimedio. L’errore di fondo consiste nel fatto che la centralità dell’uomo non è intesa tanto da sostenere il maggior peso dei doveri che la vita gli impone, quanto da sbandierare la titolarità dei diritti che egli reclama quale soggetto singolo e sociale; e ci si dimentica del manzoniano ammonimento che la vita non è una gioia per alcuni e un dolore per altri, ma per tutti una missione.
In questa ottica si inserisce, prepotente e senza regole né remore, il programma di ricerca tecnologico-scientifica negli svariati campi della scienza, della medicina e della chimica i cui sviluppi, se non arginati con immediata adeguatezza, causeranno mali peggiori di un uragano. Mi riferisco alla bioetica e, in particolare, ai problemi che essa determina nella scelta dei criteri di legittimità, o meno, delle varie concezioni che si confrontano a proposito dell’uso delle tecnologie dell’enhancement.
Ossia del miglioramento, avanzamento o ampliamento delle capacità corporee e mentali umane; in altri termini, dell’uso diffuso di mezzi e sistemi un tempo a disposizione solo di scienziati, farmacologi, medici, per modificare il corpo e la mente; una specie di democratizzazione dei processi di trasformazione, quali la chirurgia estetica, la modificazione dell’altezza, i miglioramenti della memoria o dell’attenzione e di altre capacità intellettuali, i rafforzamenti della muscolatura (atleti bionici), dell’abilità musicale ecc.
Si può dire che due sono i filoni entro i quali si riassumono le molteplici teorie sorte in proposito, per cui è possibile distinguere un uso accettabile di queste nuove capacità o tecnologie scientifiche sul piano terapeutico, e una loro estensione sul piano migliorativo, che si identifica con la cultura degli ampliamenti illimitati, di impostazione liberale, accusata di basarsi tutta sull’autonomia individuale e sulla piena disponibilità del corpo.
Questa impostazione viene discussa e contrastata solitamente anche dalle concezioni religiose, che sostengono, in maniera testarda, l’indisponibilità del corpo, paventando i pericoli per il genere umano connessi allo stravolgimento delle regole di Madre Natura, che sono le leggi fatte da Dio, come ha affermato il Papa in occasione della recente Conferenza di Copenaghen sul clima, svoltasi dal 7 al 18 dicembre 2009. Animata dalla logica di far prevalere politiche di miglioramento della specie umana, la nuova genetica porterebbe irreparabilmente a realizzare un «libero mercato» eugenetico nel quale la clonazione riproduttiva e la ricerca di bambini «progettati» punterebbe su una proliferazione sempre più perfetta, in una competizione scatenata, di fronte alla quale impallidirebbero il programma hitleriano della razza pura o la Rupe Tarpea dei Romani.
Occorre, perciò, contrastare con ogni legittima forza questa diffusa tendenza, senza peraltro escludere il ricorso alla ricerca genetica per scopi terapeutici e dunque su basi mediche, ad esempio ampliando il campo di indagine sulle cellule staminali; ma il proponimento sano non può prescindere dall’evitare i principali guasti che consisterebbero nell’annullamento della capacità di provare umiltà e di accettare la nostra esistenza, condizione della nostra libertà; nella perdita della concezione realistica della responsabilità, quale possibilità di saper dire no alla rincorsa affannosa e all’uso di scelte al di là delle nostre capacità di calcolo e di ragionamento; nell’eliminazione della solidarietà umana nei confronti dei meno fortunati o dei segnati dal male. Bisogna, in altri termini, concepire la nostra vita, nella sua interezza, come un meraviglioso dono.

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