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PAOLO RUSSO: AGRICOLTURA,
LO SVILUPPO È LEGATO
ALLA RISCOPERTA
DELLA RURALITÀ



L’on.le Paolo Russo,
presidente della
Commissione Agricoltura
della Camera dei Deputati



«Negli ultimi 15 anni
l’agricoltura
è stata ritenuta
quasi un fastidio.
L’Unione Europea
ci pagava per non
produrre;
o, meglio, dovevamo produrre
non in base alle quantità
e alle qualità necessarie,
ma secondo le quote assegnateci»

l continuo e consistente aumento dei costi produttivi e contributivi e il contemporaneo calo dei prezzi dei prodotti agricoli, hanno aggravato negli ultimi mesi la situazione dell’agricoltura italiana costringendo gli agricoltori a mobilitarsi ed anche a scendere ripetutamente in piazza per richiamare l’attenzione del Governo e del Parlamento. A Roma hanno compiuto sit-in davanti alla Camera dei Deputati e ai Ministeri delle Politiche agricole e dell’Economia. Tra le varie cause delle difficoltà che attraversano ne hanno indicata una significativa: i costi gravanti su di loro a causa dei numerosi, pesanti e spesso inutili adempimenti burocratici, che si aggiungono agli ingiustificati ritardi negli iter amministrativi: ogni azienda agricola, hanno lamentato, spende in media 2 euro ogni ora per tali adempimenti e impiega 8 giorni al mese per riempire le «carte». Che fanno il Governo e il Parlamento? Nato a Marigliano in provincia di Napoli, di professione medico chirurgo specializzato in Oculistica, eletto deputato nel 1996 e nel 2001, l’on. Paolo Russo ha presieduto la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite connesse; rieletto nel 2008, è attualmente presidente della Commissione Agricoltura della Camera. In questa intervista fa il punto sull’attività della Commissione, sui provvedimenti esaminati e in corso, sulle prospettive del settore in Italia.

Domanda. Quali provvedimenti sono stati adottati in favore dell’agricoltura in questo primo anno e mezzo di legislatura?
Risposta. In questo settore scontiamo criticità strutturali, deficit che vengono da lontano. E nei periodi di crisi congiunturale internazionale i condizionamenti strutturali indeboliscono le capacità di reazione, per cui abbiamo davanti due serie di difficoltà. Negli ultimi 15 anni l’agricoltura è stata ritenuta quasi un fastidio. L’Unione Europea ci pagava per non produrre; o, meglio, dovevamo produrre non in base alle quantità e alle qualità necessarie, ma secondo le quote assegnateci. Poi, di fronte alla finanza evanescente dei bond, dei futures e delle speculazioni di borsa, ci si è di colpo accorti che una condizione indispensabile per un Paese moderno è la capacità di raggiungere, per quanto più possibile, l’autosufficienza nelle produzioni agroalimentari. Se calcoliamo che nel mondo almeno un miliardo di persone vivono in condizione di tale indigenza da rischiare la fame, ci rendiamo conto che quella politica di non produrre ha prodotto ingenti guasti, che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi si assiste a un’inversione di tendenza, che si verifica però in un momento di grande difficoltà per le economie occidentali; dobbiamo comunque favorirla con tutti gli strumenti, non solo con le risorse finanziarie che per troppi anni l’agricoltura ha avuto ma senza eliminare i nodi strutturali relativi alla propria capacità di produrre e di costituire una filiera. Accanto alle risorse, infatti, sono necessarie norme che ripongano, al centro dell’azione politica, la ruralità.

D. Che intende con tale termine?
R. Qualcosa di più della semplice agricoltura. Questa infatti può essere intesa in due modi. Come attività che genera prodotti da porre sul mercato, in quantità e qualità significative, sufficienti a generare economie di scala; ma anche come un mondo costituito da paesaggio, cultura, tradizioni, passioni, vivacità, intelligenza, sudore degli agricoltori. Ho incontrato allevatori che anche il giorno di Natale devono mungere i propri capi di bestiame, che non hanno ferie garantite né cassa integrazione, ma solo la consapevolezza di essere protagonisti del grande processo dell’agricoltura, di una sorta di grandeur italiana, dell’orgoglio di operare in una filiera di straordinaria eccellenza.

D. Quali richieste avanza in questo momento l’agricoltura?
R. Da tutto il mondo agricolo, da associazioni, operatori del settore, professionisti, singole imprese, viene la richiesta energica, unanime, di finanziare in modo stabile il fondo di solidarietà nazionale. Si tratta di una soluzione intelligente, proposta dall’allora ministro Gianni Alemanno, di partecipare, ciascuno per la propria quota, all’assicurazione contro le calamità naturali; un modello che ha fatto risparmiare risorse al Paese, e talmente funzionale al punto che è stato ritenuto eccellente e imitato da altri Paesi europei. In occasione di una convention della Coldiretti, lo scorso aprile il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva assicurato che il Governo avrebbe rifinanziato il fondo di solidarietà nazionale, e nella nuova legge finanziaria non soltanto sono previste risorse per coprire il 2008 e il 2009, ma anche per il 2010, il 2011 e il 2012, fugando quell’incertezza che è fonte di tante titubanze nel mondo dell’impresa privata. Finalmente si ha la certezza di una disponibilità di oltre 600 milioni di euro che consentono investimenti privati più o meno di pari importo, evitando allo Stato di sborsare miliardi, come è accaduto prima del 2004. In sostanza un modello di intervento strutturato in agricoltura e di sistema industriale grazie al quale, finalmente, si comincia a ritenere il settore non più soggetto alle intemperie e alla mutabilità delle condizioni atmosferiche.

D. Quale è il futuro della nostra agricoltura?
R. Per far diventare maturo questo settore non basta la qualità, occorrono anche i numeri. Nell’ambito di quella ruralità cui ho accennato, le possibilità di sviluppo per l’agricoltura sono due. Una è l’agricoltura delle nicchie, quella che caratterizza i territori attraverso i prodotti; in ogni paese, in ogni campanile, si troverà una ricetta, un fungo particolare, un peperoncino, un cipollotto, una pasta, un prodotto che ricorda quell’area. Ma accanto a questo occorrono le grandi produzioni, capaci di competere sui mercati nazionali e internazionali per quantità e qualità di cui noi siamo capaci; per questo occorre un secondo ordine di interventi.

D. Quali, in particolare?
R. L’etichettatura. In proposito la Commissione che ho l’onore di presiedere ha sostanzialmente esaurito l’esame del relativo provvedimento, che è quindi pronto per la discussione in aula, fissata al termine del dibattito sulla legge finanziaria. Si tratta di un norma regolamentare che non richiede un impegno di spesa, ma delinea un modello italiano. La politica è capace di mettere insieme mondi e sensibilità diverse, e talvolta esigenze e istanze distanti, rendendole protagoniste di un processo comune. Introducendo l’etichettatura per il «made in Italy», si punta a garantire al consumatore che il prodotto è stato realizzato con materia prima del nostro Paese. Questo non significa, tout court, che esso sia migliore di quello spagnolo o cinese, ma rende consapevole il consumatore. È un atto di democrazia di mercato. Abbiamo compiuto una prova con l’olio varando una norma riguardante l’etichettatura; questo ha determinato un aumento del prezzo di circa il 25 per cento, con un vantaggio remunerativo per l’agricoltura. L’etichettatura incide quindi su due fronti: rende il consumatore più consapevole della propria scelta e l’agricoltore meglio remunerato per il proprio lavoro.

D. Come difendere l’agricoltura da industria e distribuzione?
R. La Commissione privilegia i due anelli deboli del sistema: il consumatore, talvolta abbagliato da messaggi pubblicitari non sempre chiari, e l’agricoltore, reso marginale rispetto alla filiera da una storica contrapposizione con il mondo dell’industria e da un’atavica diffidenza verso la grande distribuzione. Il provvedimento sull’etichettatura ha già avviato rapporti tra il mondo dell’industria e quello della produzione agricola; un Paese che desideri valorizzare i propri prodotti deve avere una moderna industria e un efficiente sistema agroalimentare. Per mettere insieme questi due mondi abbiamo attuato un’iniziativa normativa con grande senso di responsabilità, al di fuori e al di sopra delle contrapposizioni e dei toni quasi ultimativi di certa politica italiana. Queste esasperazioni rimangono fuori dalla Commissione la quale, ritenendo opportuno valutare nel merito le questioni, raramente si divide, e comunque sempre con compostezza; e a volte assume iniziative sostanzialmente unitarie pur nelle diverse articolazioni delle formazioni politiche in essa rappresentate.

D. Sono state adottate altre misure finanziarie?
R. Oltre al rifinanziamento del fondo di solidarietà, la Finanziaria prevede sgravi contributivi e fiscali per 120 milioni di euro per le aree svantaggiate, non solo del Sud; nonché 100 milioni per interventi in varie filiere e ulteriori 20 milioni a copertura delle garanzie assicurative dei Confidi agricoli. Insomma, una grande manovra dal punto di vista finanziario, che testimonia come l’agricoltura, intesa come ruralità, rappresenti una centralità straordinaria. Il tema della recente conferenza di Copenaghen è stato il clima; l’aumento di qualche grado di temperatura sottrae all’agricoltura decine di milioni di ettari; quindi agricoltura significa anche politica economica e urbanistica, perché ogni anno 40 mila ettari sono consumati a danno dell’agricoltura. Il modello di vita che proponiamo non consiste nel ritorno all’epoca delle caverne, né la rinuncia all’acqua corrente; piuttosto il consumo di prodotti di stagione, un limite ai costi di trasporto dei prodotti agricoli da un capo all’altro del mondo. La recente attribuzione di un riconoscimento europeo alla pizza napoletana non risolve certo i problemi dell’agricoltura, ma si traduce in una validissima operazione di marketing per gli ingredienti e per le competenze necessarie. Inoltre, se non si esporta la pizza, si esporta però un modello culturale, una tradizione, un messaggio; si evoca un territorio, e questa è la più efficace opera di attrazione commerciale verso l’estero, che ci farà vendere più vino, mozzarella, parmigiano reggiano, prosciutto ecc.,

D. Difendete anche l’ambiente?
R. Abbiamo avviato una norma per la valorizzazione degli agrumeti caratteristici, ai fini della produzione agricola e della tutela del paesaggio, ad esempio dei terrazzamenti della Costiera amalfitana e sorrentina, del Gargano, di Acireale, del lago di Garda; produzioni «eroiche» che rappresentano un grande valore per la qualità di limoni e aranci, la difesa dal dissesto geologico e dalle frane, la bellezza. Pensiamo alle terrazze di Procida che scendono verso il mare e rappresentano indubbiamente anche un valore turistico. La norma prevede aiuti per queste produzioni eroiche, curate da anziani agricoltori che, non avendo altra possibilità, raggiungono a piedi sommità a 300-400 metri di altezza, e coltivano in condizioni difficili e con costi esorbitanti.

D. Si tornano ad apprezzare le condizioni agricole dopo 40 anni di abbandono, se non proprio di disprezzo?
R. C’era una sorta di patto non scritto: «Diamo all’agricoltura un po’ di benefici, lasciandola in una sorta di limbo decadente», una decadenza culturale prima di essere colturale. Oggi nel mondo c’è una forte sollecitazione a migliorare le quantità e le qualità, e noi abbiamo tutti i requisiti per affrontare i mercati. Sottoporremo alla sensibilità del ministro Claudio Scajola un’ipotesi di riordino delle tante agenzie che promuovono il «made in Italy» nel mondo, per concentrare le iniziative in alcuni punti. L’Italia è priva di un sistema di grande distribuzione, è difficile penetrare in grandi Paesi come Russia, Cina, India, Americhe, senza avere una rete distributiva al servizio di migliaia di aziende commerciali che sarebbero liete di accogliere i prodotti italiani. Non crearla significa lasciare campo libero al «parmesan», al «mozzarito, al «prosciutton», ai falsi che si incontrano nei mercati internazionali. L’eccellenza italiana è data da piccole, piccolissime aziende agricole; dobbiamo farle strutturare meglio, migliorarne i risultati, adeguarne le dimensioni. Non sempre «grande è bello», ma spesso il «piccolo» non consente investimenti per l’internazionalizzazione. La nuova Politica Agricola Comunitaria-Pac può aiutare non finanziando più i prodotti, ma agevolando le aggregazioni di imprese. Il vino è un esempio: migliaia di piccole aziende agricole sono capaci ormai di competere nel mondo, siamo i primi produttori, nonostante la parcellizzazione che non ha pari in nessun Paese. Per invertire la tendenza vanno utilizzate la grande energia e vitalità di giovani e donne che si avvicinano a questo mondo, guardando con passione e attenzione colline e paesaggi ma anche con la capacità di renderli forieri di reddito, di prodotto interno, di occupazione. Nei periodi di crisi l’operazione è ancora più interessante e impone scelte coraggiose.

D. Sono previsti sgravi fiscali?
R. La tassa più alta per gli imprenditori agricoli sono i 35 giorni necessari ad ogni impresa per le incombenze burocratiche. Con i Ministeri della Pubblica Amministrazione e dell’Agricoltura stiamo avviando una semplificazione basata su meno regole e più controlli. Un altro campo di intervento è il sistema finanziario e bancario che spesso nega, a questo mondo fatto di risparmio e di ricchezza derivanti dal lavoro, dignità pari a quella riconosciuta ad altri; escludo che la Commissione proponga soluzioni rivoluzionarie, ma una riflessione va fatta perché le banche offrono la possibilità di investire i risparmi in fondi che speculano sulle commodity, ossia su grano, mais ecc. Questa è una contraddizione, perché alimentano speculazioni basate su ribassi e aumenti anche artificiosi di prezzo, operazioni tipiche delle speculazioni dei fondi, lucrando grandi utili a danno degli agricoltori, penalizzati da questi giochi di borsa. E ciò mentre gli si riduce il credito attribuendo rating sempre più bassi alla loro capacità ridotta da tali meccanismi speculativi. La Commissione non alimenterà certo meccanismi di boicottaggio o di sciopero bianco nei confronti di alcuni istituti bancari, ma una riflessione va fatta per porre le aziende agricole in condizione di lavorare e favorirne la patrimonializzazione e l’aggregazione.

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