PIRELLI REAL ESTATE.
RESTYLING SOCIETARI ALLA RICERCA DI PLUSVALENZE PER OVVIARE ALLA CRISI
di UGO NALDI
L’edificio di Via del Tritone 142 a Roma del Fondo Tecla-Pirelli Real Estate, affittato a Bulgari. Visibile in alto un abuso edilizio in pieno Centro storico
Un accordo con
la Fimit, che dovrebbe portare all’unione dei due
Gruppi, costituirebbe
la strada ideata
per fronteggiare
le difficoltà acuite dalla
situazione economica
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erano una volta i «furbetti del quartierino». Definizione coniata da Stefano Ricucci e poi entrata nell’uso comune, usata per indicare affaristi con pochi scrupoli, soprattutto nel mondo degli immobili. Poi è arrivata la crisi. Che ha costretto i grandi gruppi immobiliari a ristrutturarsi, a chiedere aiuto alle banche, a ricorrere a meccanismi di ingegneria finanziaria. E in qualche caso a gettare la spugna. Come ha dovuto fare, per esempio, Luigi Zunino con la sua Risanamento, società salvata in extremis dal fallimento ma solo a condizione che lo stesso Zunino rinunciasse al controllo, a favore delle banche creditrici, che hanno subito insediato persone di loro fiducia ai vertici della società.
Anche la Pirelli Real Estate, braccio immobiliare del gruppo milanese guidato da Marco Tronchetti Provera, è stata costretta a cercare nuove soluzioni. In questo caso la strada trovata è stata quella di un accordo con la Fimit di Massimo Caputi che dovrebbe avere come sbocco l’unione dei due gruppi. L’annuncio è arrivato a metà dello scorso mese di novembre. La società immobiliare, che tra l’altro è quotata in Borsa e quindi soggetta a obblighi di trasparenza nei confronti del mercato, ha annunciato di avere «condiviso» con Caputi «l’opportunità di avviare uno studio congiunto di fattibilità per un’operazione volta all’integrazione industriale delle attività di Pirelli Re e Fimit che dia vita a una nuova realtà nel settore».
Fuori dal linguaggio burocratico, insomma, dovrebbe trattarsi di una vera e propria fusione. Un’operazione complessa sul cui esito si aprono molti interrogativi - per esempio, a chi andrà il controllo della nuova struttura aziendale? -, e che richiederà tempi lunghi. Ma che, attraverso nuove valutazioni degli immobili di proprietà delle due società, permetterà di «mischiare le carte», collocando il patrimonio nei portafogli dei fondi gestiti dalla Fimit, nell’intento di far emergere plusvalenze che altrimenti, con il mercato fermo, sarebbero rimaste inespresse.
Insomma, un’operazione di restyling che, in ogni caso, segna il ridimensionamento del Gruppo Pirelli nel settore immobiliare. Tanto è vero che nei giorni successivi all’annuncio il titolo della capogruppo è salito in Piazza Affari, proprio perché gli operatori hanno cominciato a scommettere sul ritorno alle attività tradizionali, come gomma e pneumatici, abbandonando il settore immobiliare. In questo caso il vero vincitore sarebbe proprio Caputi, che si sta proponendo come l’uomo nuovo del comparto in Italia.
Quanto alla Pirelli Real Estate, sarebbe soltanto l’ultimo atto di un’avventura imprenditoriale caratterizzata da scelte molto spesso chiacchierate e da strategie sbagliate. Quando, nell’aprile del 2009, Carlo Puri Negri se ne andò dalla società che aveva fino a quel momento guidato da monarca assoluto, si portò via, tra liquidazione e bonus vari, un piccolo tesoro. Una buonuscita di 9,4 milioni di euro lordi, cui si aggiungono altri 3 milioni di euro, che saranno pagati entro il 2010, quale corrispettivo di un patto di non concorrenza della durata di un anno. Contestualmente la Pirelli Real Estate ha concesso a Carlo Puri Negri una consulenza biennale da 800 mila euro lordi all’anno. Tirando le somme, quindi, l’uscita dell’ex numero uno è costata alla società ben 14 milioni di euro. Inutile ricordare che la decisione ha scatenato critiche soprattutto da parte degli azionisti di minoranza.
Tanto più che alla gestione di Puri Negri sono state addebitate iniziative gestionali ritenute responsabili della crisi aziendale, anche se a sua parziale discolpa va tenuto conto di un contesto generale tra i peggiori degli ultimi 50 anni. Stando alle valutazioni degli esperti del mercato immobiliare, l’elenco delle «colpe» dell’ex top manager è lungo. Prima di tutto l’eccesso di trading, sulla scia delle operazioni speculative di operatori improvvisati e di palazzinari vari. Poi le pratiche spesso disinvolte con cui sono stati «girati» asset a nuovi fondi immobiliari appositamente creati: «Centraline Telecom sono state valutate come appartamenti», accusa un esperto. Infine investimenti all’estero, in particolare in Polonia e in Germania, che con il tempo si sono rivelati fonti di consistenti perdite.
Ma nella storia recente della Pirelli Real Estate vi sono altri episodi censurabili. Uno su tutti: l’aumento di capitale del giugno 2009, un’operazione da 400 milioni di euro per una società che all’epoca ne capitalizzava a malapena 100. Ma non è tanto l’entità quanto il meccanismo usato che suscita le maggiori critiche. Approfittando del blocco delle vendite allo scoperto deciso dalla Consob nel momento più drammatico della crisi finanziaria del 2008, che ha oggettivamente impedito di compiere arbitraggi tra i diritti e le azioni di futura emissione, durante la fase di aumento con pochi interventi «mirati» sul mercato azionario è stato possibile ottenere oscillazioni di prezzo abnormi. Una manna per gli speculatori professionali, ma certo una presa in giro per i piccoli investitori. Soprattutto per quelli che avevano sottoscritto i titoli in fase di collocamento, nel 2002, a 26 euro l’uno, e li hanno poi visti precipitare a 2 euro soltanto tre anni più tardi.
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