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ALESSIO GORLA: DOMANI UNA RAI
DI PROGRAMMI, INVESTIMENTI, ABBONAMENTI
E SUCCESSI

a cura di FRANCESCO PIPPI



Alessio Gorla,
consigliere di amministrazione
della Rai-tv



«Per il quadro
che si era prospettato
all’inizio del 2009,
siamo di fronte
a una specie di miracolo,
dovuto in primo luogo
all’efficace intervento
della Direzione generale
per quanto riguarda
l’aumento dell’efficienza
e la riduzione dei costi.
Ciò ha permesso
di far fronte alla diminuita
raccolta pubblicitaria»

ella relazione al bilancio consolidato relativo al 2008 della Rai-tv, chiusosi con una perdita di 7 milioni di euro su un fatturato di quasi 3,2 miliardi, metà dei quali derivanti dal canone di abbonamento, si legge: «L’industria dell’audiovisivo ha di fronte a sé un periodo estremamente turbolento: il modello di attività sta radicalmente cambiando; gli attori del mercato diventano sempre più numerosi; la distribuzione delle risorse pubblicitarie risentirà inevitabilmente del nuovo equilibrio che si verrà a creare». Riguardo poi alla prevedibile evoluzione della gestione per il 2009, «per effetto della crisi finanziaria globale dell’autunno 2008 e della conseguente accentuata flessione dell’attività economica», si prospetta «un risultato economico peggiore di quello del precedente esercizio».
A otto mesi di distanza da quando quelle parole furono scritte, nella primavera scorsa, il consigliere di amministrazione Alessio Gorla, insediato nella carica il 26 marzo insieme al nuovo Consiglio, esordì con una notizia: «Stando alla terza riprevisione del bilancio presentata dalla Direzione generale, la Rai prevede di chiudere il 2009 con una perdita di 60 milioni di euro». Tanto? Poco? Quanto era atteso all’inizio dell’anno? È confrontabile con i risultati che saranno resi noti, nelle prossime settimane, dagli altri principali operatori del mercato televisivo? Che la Rai non sia un’azienda come le altre è più di un luogo comune. In nessun’altra grande impresa italiana è altrettanto robusto il viluppo fra politica ed economia, cultura e audience, democrazia e affari. Gorla, come tutti i suoi colleghi, è stato indicato consigliere d’amministrazione della Rai da una parte politica, in particolare dalla maggioranza parlamentare.
Di ricca e cosmopolita formazione nel settore del marketing, egli mette inizialmente a frutto la propria competenza nel Gruppo Pavesi nel quale, insieme al fondatore Bruno, contribuisce a creare la rete degli Autogrill e poi ricopre, per 5 anni, la carica di direttore generale dell’azienda Rabarbaro Zucca. Agli inizi degli anni 80 incontra Silvio Berlusconi, del quale diventa un manager di fiducia nell’attività di sviluppo e di definitiva affermazione della televisione commerciale in Italia, principale concorrente della Rai.
Infine nel 2002, dopo una parentesi lavorativa all’estero, Gorla entra nella Rai prima come consulente, poi come dirigente, infine come consigliere di varie società del Gruppo. Gorla, insomma, oltre ad essere un manager della comunicazione, è anche un profondo conoscitore della cosiddetta «prima azienda culturale» del Paese che conta circa 13 mila dipendenti diretti, è anche una delle principali industrie televisive del Paese.

Domanda. Perché, quando si parla di televisione e soprattutto di Rai, i toni si fanno particolarmente accesi?
Risposta. Il discorso sulla Rai riflette quel fenomeno di doppia lettura che oggi sembra riguardare la quasi totalità dei fatti della vita italiana. Il fenomeno, nel nostro caso, si esaspera ulteriormente diventando occasione di contrapposizione polemica e di scontro, in realtà più sui media e nei luoghi della politica che all’interno della Rai e del suo Consiglio di amministrazione.

D. Che cosa intende dire?
R. Che fra noi consiglieri, quando si tratta di prendere decisioni di natura imprenditoriale, strategica, organizzativa ecc., si instaura un dibattito vasto e approfondito, alla fine del quale, però, il terreno di incontro risulta molto ampio. Quando si parla di questioni più politiche, e in particolare di nomine, l’atmosfera si fa certamente diversa.

D. Come giudica il Consiglio di amministrazione la previsione di chiudere il 2009 con una perdita di 60 milioni di euro?
R. Per il quadro che ci si era prospettato all’inizio dello scorso anno, siamo di fronte a una specie di miracolo, dovuto in primo luogo all’efficace intervento della Direzione generale, vale a dire del direttore Mauro Masi e del suo staff, per quanto riguarda l’aumento dell’efficienza e la riduzione dei costi. Ciò ha permesso di far fronte al difficile andamento della raccolta pubblicitaria, registratosi soprattutto nella prima parte dell’anno, e ad alcune difficoltà che, per poter essere superate, richiedono rilevanti e non più rinviabili riforme strutturali.

D. A che cosa si riferisce?
R. La prima riforma che segnalo si basa sulla nostra intenzione di combattere con decisione l’evasione del canone Rai. Attualmente stimiamo un’evasione vicina al 30 per cento che, tradotta in euro, equivale a circa 600 milioni mentre la media europea non raggiunge il 10 per cento. L’evasione del canone non è una novità. Di diverso c’è, stavolta, la sua dimensione: se si considera l’andamento storico del fenomeno, si vede che un 15 per cento di evasione può considerarsi fisiologico, ma poiché oggi siamo a quasi il doppio, questo significa che mancano effettivamente all’appello circa 300 milioni di euro. Se avessimo incassato questa somma, anche in presenza di una diminuita raccolta pubblicitaria, il bilancio sarebbe stato largamente positivo.

D. L’aumento dell’evasione non è anche il risultato degli inviti a non pagare il canone provenienti da vari settori politici?
R. In realtà l’aumento dell’evasione si è registrato all’inizio dell’anno, periodo in cui gli italiani sono chiamati a rinnovare l’abbonamento, dunque prima del manifestarsi di quegli inviti e delle conseguenti polemiche da essi suscitate. Premesso che sulle cause la riflessione è ancora in corso, non si può ignorare il peggioramento della situazione economica, che può avere indotto chi si trovava in maggiori difficoltà a risparmiare 100 euro. Ma probabilmente vi sono cause più strutturali, come il progressivo allontanamento di certe fasce di utenti dal tradizionale canale televisivo in favore di mezzi di comunicazione come internet e altri. Infine rimane sullo sfondo il dibattito sulla qualità dei programmi: facendo di tutta l’erba un fascio, si attribuisce alla Rai un generale impoverimento del livello dei programmi televisivi che, ammesso vi sia e in alcuni casi è difficile negarlo, non necessariamente riguarda la nostra azienda.

D. Una volta appurate le cause dell’evasione, come pensate di combatterla?
R. Com’è oggi, il pagamento del canone è lasciato alla decisione del singolo abbonato di versare o meno l’importo richiesto. E nel caso in cui ciò non accada, la Rai non ha strumenti efficaci per evitarlo. Ciò che chiediamo, quindi, è un cambiamento del sistema di riscossione sulla base di quanto attuato in Paesi a noi vicini. In Grecia, ad esempio, l’importo del canone viene rateizzato e inserito all’interno delle bollette elettriche pagate nel corso dell’anno, partendo dal presupposto, del tutto evidente, che per guardare la tv occorre avere l’elettricità. Chi ha l’elettricità ma non guarda la tv ha l’onere di dimostrarlo.

D. La ritiene una proposta percorribile politicamente e socialmente?
R. Ripeto che nei Paesi in cui questo sistema è in vigore, l’evasione si è ridotta a zero. Se ciò avvenisse anche in Italia, i 600 milioni di ulteriori entrate potrebbero essere utilizzati in due direzioni: aumentare gli investimenti, in particolare nel sistema digitale e nelle altre nuove tecnologie, ai fini di migliorare il servizio in termini quantitativi e qualitativi; diminuire l’importo del canone in maniera generalizzata o, forse meglio ancora, ridurlo a zero per le fasce di utenti a più basso reddito.

D. Come sono andati i ricavi nel 2009 dopo la riduzione degli stessi per 40 milioni di euro rispetto all’anno precedente?
R. Fortunatamente, a partire dalla seconda metà dell’anno si è registrata un’inversione di tendenza, parallela a quella che si sta verificando nell’economia italiana. Si tratta di una connessione stretta e facilmente spiegabile: quando la domanda accenna a riprendere, al fine di accelerarla ulteriormente le aziende tornano ad investire con decisione nella pubblicità. Le perdite della Rai rispetto a quelle di Mediaset hanno una causa di natura puramente tecnica: per legge la Rai ha un tetto di affollamento pubblicitario del 4 per cento settimanale, in quanto usufruisce del canone, mentre a Mediaset, che non conta su questa seconda risorsa, ne è assegnato uno del 12 per cento. Avendo Publitalia, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, un più ampio bacino da riempire, può contare su un numero maggiore di investitori rispetto alla Sipra, che svolge lo stesso lavoro per la Rai. Agendo su una platea numericamente più ristretta, la Sipra si rivolge in primo luogo ai maggiori investitori e quando questi, in un momento di difficoltà economica, decidono di ridurre il proprio budget pubblicitario, incontra maggiori difficoltà a trovarne altri sul mercato con le stesse caratteristiche.

D. In primavera la Rai parlava della necessità di imponenti investimenti per il passaggio al sistema digitale terrestre, pari a 80 milioni di euro per il 2009. Quali sono le prospettive per il nuovo anno e per quelli seguenti?
R. Il programma procede insieme al passaggio dalla tv analogica a quella digitale, previsto nel programma del Governo, e che terminerà entro il 2012. Per la Rai il digitale terrestre è la piattaforma privilegiata attorno alla quale svolgere il compito di servizio pubblico del futuro. Il cambiamento provoca limitati problemi; nel Lazio, per esempio, dove il passaggio è avvenuto alla fine di novembre, soltanto il 9 per cento della popolazione ha lamentato difficoltà di ricezione; in oltre metà dei casi ciò è dovuto a decoder inefficienti e al malfunzionamento, che spesso è costituito da un errato orientamento, dell’antenna.

D. Il segnale terrestre, analogico o digitale, non arriva a 3 milioni di italiani; a chi aveva risolto il problema con una parabola e un decoder satellitare, ora la Rai propone la propria piattaforma satellitare Tivù Sat; perché questa scelta?
R. Che il segnale terrestre non arrivi in tutta Italia è un fatto ineliminabile, dovuto alla configurazione orografica del Paese. Tivù Sat è stata presentata lo scorso luglio e oggi procede con circa 500 attivazioni al giorno, oltre le nostre previsioni. Ciò dimostra che la nostra offerta va incontro a una reale esigenza del mercato. L’iniziativa non può non inserirsi nella generale evoluzione dell’offerta di contenuti radio-televisivi.

D. Intende dire che la tv del futuro sarà diversa da quella di oggi?
R. Rispetto a quella degli altri Paesi avanzati, la tv italiana ha assunto, negli ultimi trent’anni una peculiarità consistente in due grandi emittenti generaliste che coprono quasi l’80 per cento dell’offerta, cui si affiancano altre aziende di minori dimensioni e un ragguardevole operatore, la Sky di Rupert Murdoch, che in pochi anni ha assorbito quasi interamente il comparto della tv a pagamento. Fra i due soggetti generalisti la Rai presenta una natura mista mantenendo l’obbligo di servizio pubblico ma dovendo muoversi sul mercato pubblicitario con la logica commerciale degli altri operatori.

D. Questo modello è stato utile al Paese e alla Rai?
R. Al punto che, sulla base della mia esperienza anche internazionale, ritengo la tv italiana la migliore del mondo per quantità e qualità dell’offerta. Riguardo alla Rai, siamo in presenza di un’azienda che mantiene un equilibrio fra le istanze del servizio pubblico e quelle di un operatore soggetto alle leggi del mercato e dell’audience. Ovviamente si tratta di un equilibrio dinamico, sempre suscettibile di miglioramento. Un esempio: tutto il Consiglio di amministrazione ha considerato un errore non trasmettere sui nostri canali la prima della «Carmen» rappresentata alla Scala di Milano il 7 dicembre scorso. Anche se è stata trasmessa da Rai Internazionale e l’hanno potuta vedere italiani e non italiani nel mondo. Posso fin d’ora annunciare che la sera di Sant’Ambrogio del 2010 l’evento sarà trasmesso dalla Rai. A chi lamenta un’insufficiente qualità dell’offerta Rai sostenendo, magari la superiorità del modello inglese della BBC, ricordo che in Gran Bretagna il canone d’abbonamento è ben superiore; e le sanzioni per chi è moroso o evasore sono assai più severe. Se decidesse di rinunciare alle entrate pubblicitarie, la tv pubblica italiana sarebbe costretta a un doloroso ridimensionamento occupazionale.

D. In che direzione il modello televisivo italiano è destinato a mutare?
R. Rispondo con le parole usate dal presidente della Rai nella Relazione sull’anno 2008: «Nel giro di pochi anni l’utente si troverà proiettato in un ambiente digitale multicanale, nel quale l’offerta generalista e nuovi canali tematici o minigeneralisti competeranno alla pari; la pubblicità seguirà l’evoluzione dell’offerta, ristrutturando i propri schemi allocativi; la competizione acquisirà sempre maggiore importanza, come la competizione fra tv gratuita e tv a pagamento». In questa fase di transizione il digitale terrestre riveste per la Rai un ruolo di primo piano.

D. Quali sono gli obiettivi?
R. Grazie al suo bouquet di canali gratuiti, la Rai ha dimostrato di saper competere con successo sul mercato, mantenendo le quote dell’offerta generalista e incrementando nettamente l’ascolto dei canali digitali. Ma ha solo cominciato a costruire un’offerta che, mantenendo il tradizionale insediamento, mira a recuperare pubblici che avevano manifestato un certo distacco dalla programmazione generalista del servizio pubblico. Con uguale successo stiamo estendendo la vocazione multipiattaforma verso internet: sono decine i canali fruibili gratuitamente, e con qualità sempre migliore, sul web. Intendiamo proseguire con decisione nell’ampliamento e nell’innovazione tecnica e contenutistica della nostra offerta.

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