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FEDERALISMO FISCALE.
ROBERTO SERRENTINO:
UN'OPPORTUNITÀ
PER IL PAESE



Roberto Serrentino, professore di Diritto e Politiche
Economiche regionali


«La riforma fiscale
è destinata a migliorare
i conti e l’efficienza,
ad avvicinare i cittadini
alla spesa pubblica,
a garantire un maggior
controllo nel rispetto
del principio della
sussidiarietà; ma
richiederà 5 o 6 anni
per essere operativa»


Il federalismo fiscale è una concreta opportunità per l’Italia di migliorare l’efficienza e i conti dell’Amministrazione Pubblica, avvicinare la spesa al suo finanziamento, ma è anche un processo che richiederà almeno 5 o 6 anni per essere compiuto e operativo». È lo scenario che prospetta il professore Roberto Serrentino, autore del libro «Il federalismo fiscale in Italia, genesi, prospettive di attuazione ed esigenze di tutela», pubblicato a poche settimane dall’approvazione della riforma che avvia la riorganizzazione su base federale del sistema fiscale nazionale.
Dottore commercialista, Serrentino è professore di Diritto e Politiche economiche regionali e comunitarie nell’Università della Calabria, nonché di Scienza delle Finanze nell’Università e-Campus di Novedrate. Autore di saggi in materia giuridico-economica pubblicati su varie riviste, ha scritto «Il segreto bancario in Svizzera» e «I contratti di borsa, aspetti tecnici, giuridici e tributari». ll 18 maggio 2005 nell’audizione alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, ha presentato una relazione sul federalismo fiscale.
 
Domanda. Da quali esigenze nasce il concetto di federalismo fiscale?
Risposta. È stata una felice intuizione politica per avvicinare la spesa pubblica al suo finanziamento e rendere più efficiente la destinazione delle risorse, spostando, sia pur parzialmente, dal centro alla periferia la responsabilità delle entrate fiscali. Il contribuente può così svolgere un maggiore ed effettivo controllo sulla spesa pubblica nel rispetto del principio della «sussidiarietà orizzontale», costituzionalmente riconosciuto, ma che muove anche da principi di ordine comunitario.

D. Nel 1999 e nel 2001 è stata avviata una prima riforma federale dello Stato. Con l’approvazione del federalismo fiscale si completa un processo lungo un decennio?
R. Il federalismo politico e quello fiscale sono concetti diversi che possono, ma non necessariamente, essere l’uno conseguenza dell’altro. In genere l’autogoverno fiscale locale deriva da quello politico. Negli Stati Uniti e in Svizzera esiste un sistema confederale da cui discende il federalismo fiscale come processo di autonomia impositiva delle regioni - cantoni - o dei singoli Stati. Al contrario, l’Italia potrebbe essere l’unico Paese nel mondo, a invertire questa consequenzialità. Mantenendo il nostro sistema di Stato centrale organizzato su base regionale, viene introdotto il federalismo fiscale. Oggi, nei fatti, questo tipo di autonomia segue un decentramento solo parziale di alcune funzioni istituzionali. Può darsi, però, che questo processo alla rovescia acceleri la costruzione di uno Stato federale anche in termini politici, con l’istituzione ad esempio di un Senato delle Regioni. Personalmente ritengo, tuttavia, che quest’ultimo processo sia complesso, basato su atti che presuppongono una profonda revisione della Carta costituzionale che sarà bene affrontare eventualmente solo quando avremo dato sostanza e stabilità ad una fiscalità federale.

D. Quanto costa il passaggio a questo nuovo sistema tributario?
R. Si dibatte molto sul tema. In un’audizione alla Camera dei deputati, ho presentato dati di autorevoli istituti di ricerca con previsioni di costo molto diverse. In realtà è difficile stabilire un costo del federalismo fiscale con gli elementi che abbiamo a disposizione. Il federalismo fiscale è stato avviato con le riforme costituzionali, continua oggi con il disegno di legge del 3 ottobre 2008 e con la legge n. 42 approvata dal Parlamento il 5 maggio 2009, ma va ancora riempito di contenuti. Anno dopo anno, con l’attuazione della riforma da parte delle Regioni e con la possibile introduzione di nuove imposte, sarà più chiaro il costo complessivo dell’operazione. La previsione del quantum sarà anche bella per alimentare il dibattito politico, ma sterile, in queste condizioni, dal punto di vista dell'utilità operativa.

D. Quali effetti ha la riforma sui costi sostenuti dai cittadini per la spesa degli enti regionali?
R. Con l'istituzione del Fondo perequativo a favore delle Regioni con minore capacità fiscale per abitante, si è deciso, altresì, di abbandonare il principio del costo storico dei servizi per passare a quello dei costi standard. Con il vecchio sistema, ossia programmando la propria spesa sulla base dei costi storici, le Regioni, in particolare quelle meridionali che hanno palesato in passato inefficienze e distorsioni nella gestione dei propri bilanci, avrebbero pagato molto di più alcuni servizi rispetto ad altre; con la riforma il criterio è quello dei costi standard, con prezzi di mercato uguali per tutte le Regioni che, operando con questi parametri, potranno avere ragionevoli risparmi, con la spesa sotto controllo o in diminuzione. Esiste tuttavia il fondato pericolo di incremento dell’imposizione globale: forti della loro autonomia, nel momento in cui dovranno finanziare i propri interventi le Regioni potrebbero istituire nuovi tributi che andrebbero a sommarsi alle imposte già esistenti come l’Irap; con il rischio di aumentare la pressione fiscale che invece, a parole, tutti i Governi dicono di voler contenere.

D. Non c’è il rischio di maggiori costi per la proliferazione dei centri decisionali?
R. Questa possibilità esiste se ogni Regione dovesse dotarsi di nuovi strumenti, apparati nonché organismi di controllo della spesa. Così come pure esiste la possibilità che venga ridisegnata la mappa del sistema di accertamento fiscale, conferendo maggiori poteri a nuove strutture locali per rendere localmente più efficace il contrasto all'evasione.

D. È più utile rafforzare le articolazioni periferiche di enti di controllo esistenti o crearne nuovi?
R. Possono anche nascere nuovi centri di potere-controllo con propri compiti e attribuzioni, ma a patto che siano fortemente monitorati e producano, quindi, risultati efficaci. Il mio auspicio è che in un'eventuale proliferazione di nuovi poteri, si mantengano equilibrio e limitatezza. Ma è ancora presto per valutare pienamente l'operato del legislatore. Sono stati previsti 24 mesi per l'emanazione dei decreti per cui oggi il federalismo è un quadro dalle prospettive interessanti, di cui sono visibili solo la cornice e parte del disegno all'interno, tutto da completare, affinché possa essere finito e finito bene.

D. Un sistema federale non rischia di alimentare le differenze regionali?
R. La presenza di un fondo perequativo e il legame che si è stabilito tra la spesa e i costi standard dovrebbero al contrario consentire di avvicinare le Regioni, senza condizioni di privilegio per le più ricche; anche perché queste sono chiamate a una partecipazione maggiore al Fondo per sostenere quelle più povere. Quindi, almeno in linea teorica, esistono gli strumenti per evitare nuove sperequazioni. Certo il federalismo non correggerà le disparità del reddito pro-capite dei contribuenti delle diverse regioni, ma avremo risultati interessanti e apprezzabili nella gestione delle entrate e della spesa pubblica regionale.

D. Le pratiche non esemplari di alcune Regioni potrebbero pesare sull’applicazione della riforma?
R. Credo che al processo federalista debba accompagnarsi una significativa campagna di moralizzazione: tutti sono d’accordo che la spesa pubblica è eccessiva, per sprechi e inefficienze; ad esempio, molti ritengono a ragione che la spesa sanitaria non solo vada resa più efficiente nella destinazione delle risorse, ma anche ridotta in termini assoluti. Occorrono quindi norme e strumenti tecnici, ma è necessario che gli amministratori regionali facciano propri sia meccanismi sia anche obiettivi etici e di risparmio.

D. Quali atteggiamenti potrebbero incoraggiare il federalismo?
R. Il primo passo è quello di de-politicizzare il dibattito sul federalismo fiscale: è stata un’intuizione di uno schieramento politico, ma a beneficiarne sarà l’intero Paese. Rappresenta un’opportunità per migliorare i conti pubblici e l’efficienza, avvicinare i cittadini alla spesa, garantire un maggiore controllo della stessa ed affermare concretamente il principio di sussidiarietà. Piuttosto, è il momento di lavorare seriamente affinché gli strumenti siano non solo efficienti ma equi per i cittadini e per le diverse aree del Paese. Inoltre occorre dare un tempo ragionevole allo studio e all’applicazione dei principi contenuti nella riforma. Probabilmente solo entro la fine della nella prossima legislatura potrà vedersi un federalismo fiscale operativo e compiuto.

D. Quale suggerimento si sente di dare al legislatore che dovrà emanare i decreti attuativi della riforma?
R. È opportuno studiare in modo comparato gli esempi di altri Paesi, come la Germania e la Spagna, che hanno con noi apprezzabili similitudini sotto il profilo geo-politico e, soprattutto, che ci hanno preceduto nell'applicazione del federalismo. Inoltre terrei maggiormente sotto controllo la pressione fiscale globale e un suo eventuale incremento per evitare di assistere a preoccupanti casi di irresponsabilità da parte di qualche Governatore locale.

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