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COVIP.
SEGNA IL PASSO
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE




di LUIGI SCIMÌA
già presidente della COVIP


 


o evitato, malgrado le molte sollecitazioni di tanti amici giornalisti, di esprimere opinioni sull’andamento della previdenza complementare dopo il completamento del mio mandato di presidente della Covip (settembre 2008), soprattutto per rispetto del mio successore, Antonio Finocchiaro, collega e amico per circa 35 anni in Banca d’Italia. Ma dopo l’assemblea generale della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione del 18 giugno scorso, non v’è più remora a qualche intervento di commento. La previdenza complementare segna il passo, è questa la sensazione che si avverte; secondo l’opinione diffusa, la previdenza è in situazione di stasi fin dall’inizio del 2008.
La Relazione annuale ha posto in evidenza i più limitati danni derivati ai fondi italiani rispetto a quelli esteri in relazione all’andamento delle borse mondiali: nel 2008 una perdita di valore del 6,3 per cento per i fondi negoziali, del 14 per gli aperti e del 24,9 per i Pip, ma nello stesso anno il trattamento di fine rapporto non si è deprezzato, anzi si è incrementato del 2,7 per cento. E anche sui tempi più lunghi, ad esempio il sessennio 2003-2008, i risultati dei fondi non battono il trattamento di fine rapporto; quelli negoziali denunciano un rendimento totale del 17,1 per cento, gli aperti il 7,8 ed i Pip un andamento variabile dal 2,6 per gli azionari a un 15,4 per cento per gli obbligazionari; il trattamento di fine rapporto ha registrato una rivalutazione del 17,3 per cento.
Certo, la valutazione si ribalta considerevolmente se si tiene conto dei vantaggi fiscali previsti per i fondi previdenziali, e soprattutto del fatto che scegliere la previdenza complementare consente in molti casi di ottenere un contributo dal datore di lavoro. Ma non sono gli avversi risultati gestionali che devono destare preoccupazioni; infatti l’andamento del primo quadrimestre del 2009 ha consentito di riportare in attivo quasi tutte le gestioni. Ciò che deve allarmare è lo scarso tasso di adesioni, quanto meno compatibile con l’obiettivo di raggiungere nel 2012 almeno il 50 per cento del personale dipendente da aziende private. E il quadro dei settori pubblici è sempre più sconfortante, come anche quello degli autonomi e dei lavoratori dipendenti da aziende commerciali e artigianali di piccole dimensioni.
I fondi negoziali denunciano nel 2008 un incremento di appena il 2,8 per cento, mentre meglio vanno gli aperti con il 6,8 e soprattutto gli assicurativi il cui aumento raggiunge la ragguardevole cifra del 44 per cento. Ma questo andamento del settore assicurativo, mentre è da apprezzare per la capacità di raggiungere anche in località sperdute, tramite gli agenti o i promotori, singoli lavoratori altrimenti irraggiungibili, desta preoccupazione per la sensibile differenza di costi tra gli aderenti ai fondi negoziali e quelli che scelgono i Pip. È questo il problema che, sul piano personale, ho più volte sottolineato sostenendo principalmente che, nel caso di gestione negativa, un qualche alleggerimento dei costi deve essere previsto al fine di rendere il gestore corresponsabile dei risultati delle sue attività. Ma le mie proposte sono sempre cadute nel nulla, quasi che gli altri tipi di fondi temessero di essere in qualche modo a loro volta chiamati a rispondere dei risultati della gestione.
Il mio parere sul livello di adesioni alla previdenza complementare è stato condiviso dal presidente Finocchiaro in un’audizione alla Commissione Lavoro del Senato; livello di adesioni insoddisfacente rispetto alle necessità del Paese. Ma la concordanza finisce qui; qualche dubbio, infatti, mi nasce quando Finocchiaro afferma che per un rilancio della previdenza basterebbero solo alcuni ritocchi legislativi. Ma quali potrebbero essere questi ritocchi, considerato che il numero degli aderenti non riesce a raggiungere, da un paio di anni, i 5 milioni di iscritti, rispetto a un totale di lavoratori di ogni specie che supera i 23 milioni?
Nella relazione ufficiale del 18 giugno, molto ben articolata, Finocchiaro non si è sottratto al dovere di dare suggerimenti per qualche intervento sul piano legislativo, al fine di superare i settori dove più evidenti sono le difficoltà di sviluppo; i giovani, le donne, i lavoratori autonomi, i dipendenti di piccole imprese, i lavoratori del pubblico impiego.
Più in particolare, ha proposto l’introduzione del life-cycle, meccanismo che consente di adeguare il portafoglio previdenziale degli iscritti al proprio ciclo di vita professionale; ha anche suggerito l’attivazione del noto «fondo di garanzia» in favore del credito bancario alle piccole imprese (fondi previsti dalla legge Maroni e aboliti dal Governo Prodi), e infine, sul piano fiscale, ha auspicato il cambio dell’attuale regime di deducibilità dei contribuiti versati ai fondi pensione per un regime di detraibilità che favorirebbe i lavoratori meno abbienti.
Ma è stato il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, in un articolato intervento, a proporsi come artefice di più radicali proposte, volte forse a riaprire il capitolo della legislazione in tema di previdenza complementare. La più importante proposta è stata quella di esaminare la possibilità di riaprire una finestra temporale durante la quale fare scattare nuovamente il meccanismo del silenzio-assenso. Cioè, come è accaduto per il primo semestre del 2007, prevedere dal 1° gennaio del 2010 o del 2011 un semestre durante il quale il lavoratore deve esplicitamente dichiarare di non volere aderire a un fondo pensione per non vedere automaticamente trasferito il suo trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare.
Quasi come contropartita per questo nuovo onere per i lavoratori, il ministro si è dichiarato disponibile a rivedere le norme sulla reversibilità della decisione di aderire alla previdenza complementare, consentendo un ripensamento sul futuro dei versamenti, lasciando impregiudicati i contributi già versati; la famosa questione della reversibilità della adesione ai fondi sostenuta da molti, tra i quali principalmente il presidente Giuliano Amato. Altra novità annunciata da Sacconi è l’arrivo anche in Italia della busta arancione che, come avviene in Svezia, consente a ogni lavoratore di apprendere con cadenza annuale, o a richiesta, l’ammontare del risparmio raccolto fino a quel momento in materia previdenziale; e tale calcolo, potrebbe essere esteso anche alla previdenza di base (Inps, Inpdap, Enpals e così via), in modo da consentire al lavoratore di rendersi conto dell’adeguatezza dei suoi risparmi ai fini di garantirsi una serena vecchiaia.
Le idee sono tante. Ma ciò che desta maggior fiducia sono la competenza della Commissione di Vigilanza su Fondi Pensione, della cui insostituibile presenza nessuno osa più dubitare, e l’atteggiamento del ministro Sacconi che, nel suo interessante intervento, ha interpretato le esigenze di un settore delicato quale quello della previdenza complementare.

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