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e si assiste ai dibattiti televisivi tra politici e non solo fra questi, si rimane solitamente frastornati dalle opposte argomentazioni addotte dai partecipanti, tutte superficiali e idonee solo ad ottenere un effetto istantaneo in quanto vengono interrotte dalla pubblicità proprio quando l’oratore di turno sta completando un concetto, che resta ovviamente tronco, nebuloso e incomprensibile. Pressati dalle esigenze delle televisioni commerciali di «fare cassa», come poco elegantemente affermano certi conduttori, necessariamente i partecipanti cercano di confutare, interrompere, sovrapporsi tra loro, talvolta anche in maniera energica e colorita, proprio come quei calciatori che, pur di evitare un goal alla propria squadra, non esitano a compiere falli, a rischiare punizione, perfino a farsi espellere dal campo.

Inoltre, se i conduttori o moderatori sono donne, oltreché per esigenze di cassa spesso le interruzioni di discorsi sensati, di interventi razionali, sono causate dal desiderio delle stesse di esibire la propria preparazione in politica con battute, riferimenti, brani estranei, inconferenti, desunti non da personali riflessioni e convinzioni, ma da articoli pubblicati lo stesso giorno o in quelli immediatamente precedenti dagli opinionisti di qualche giornale.
Brani che solitamente sono ricercati ed evidenziati non dal moderatore o dalla moderatrice che li legge, ma dalla redazione che li sottolinea per consentire agli stessi di animare il dibattito sfoggiando una pseudo cultura in materia, esibita non di rado con strategiche occhiate e calcolate torsioni del busto, brillio di arredi personali, dondolio di pendagli all’ultima moda. Si tratta, quindi, di trasmissioni che puntano essenzialmente a creare spettacolo, non certo cultura, tantomeno cultura politica e ancor meno economica. Anzi, questo tipo di trasmissioni ostacola proprio la diffusione della cultura politica ed economica tra le masse televisive.

Ma non è detto che gli spettatori si lascino convincere così facilmente da questi finti gladiatori del Colosseo televisivo che si fronteggiano con il fioretto, mai con la spada e il pugnale. Folto o sparuto, il pubblico televisivo assiste a tali dibattiti in molti casi perché la televisione non trasmette nulla di meglio, e perché un programma è uguale all’altro quando non peggiore. I politici ne sono consapevoli, però questi combattimenti di finti gladiatori gli sono utili per vari motivi.
Innanzitutto perché i loro autori, e talvolta i politici stessi, ritengono che alla massa incolta possano sembrare anche veri; in secondo luogo perché, in mancanza di spettacoli più divertenti, tali trasmissioni potrebbero in qualche modo intrattenere spettatori dai gusti non sofisticati; e perché non conviene mai a nessun politico lasciare libero il campo agli avversari, che anzi vanno sempre contraddetti, smentiti, neutralizzati all’istante, parola per parola, battuta con battuta, verità con verità, bugia con bugia.

Alla fine della trasmissione il risultato sembra positivo per tutti, autori e partecipanti: l’emittente televisiva incassa i proventi della pubblicità, il conduttore o la conduttrice crede di aver dimostrato spirito, acume, preparazione politica ed economica; i politici ritengono di mantenere o aumentare il proprio elettorato, i direttori di giornali e i giornalisti, se ci sono, sperano di incrementare la vendita dei propri giornali.
L’unico che non ha guadagnato nulla ma ha perduto tempo e sapere è il pubblico, che resta con le convinzioni di prima o le modifica solo in senso negativo, constatando che non esiste un limite alla disinformazione. È un trucco che continua da anni: politici, giornalisti, foltissime troupes televisive hanno risolto in tal modo i propri problemi. All’inizio il telespettatore crede che un tale tipo di programmi venga trasmesso una tantum, per un mese, una stagione, un anno. Poi lentamente si accorge che essi, sia pure stantii e arrugginiti, diventano eterni. Perché? Per mancanza di fantasia e di rispetto verso i telespettatori ma anche perché sono basati su un continuo scambio: oltreché di parole e talvolta perfino di insulti, di poteri, favori, posti, prebende, affari; e perfino di sentenze giudiziarie, di interpretazioni di leggi, di diktat ai poteri legislativo, esecutivo e giudiziario dello Stato.

Si tratta di trasmissioni che, decise, dirette e organizzate da personaggi scelti in base a rapporti politici, clientelismo, nepotismo, rapporti personali non esclusi quelli affettivi, familiari e sessuali, scavalcano la Polizia giudiziaria, le Procure della Repubblica, i Tribunali, le Corti d’Assise e d’Appello, perfino la Corte Costituzionale. Si arrogano il diritto di sproloquiare, sentenziare, pontificare su tutto. Nell’ideazione, organizzazione e realizzazione sono di una banalità sconcertante: basta leggere le agenzie di stampa la sera prima, attendere le prime edizioni dei giornali che escono a mezzanotte o addirittura farsene anticipare per posta elettronica il contenuto, convocare quattro o cinque persone per il mattino successivo. Redazioni nutritissime e costosissime provvedono a preparare i temi che dovranno svolgere i conduttori del dibattito.

In alcuni casi questo viene trasmesso in diretta, in altri è registrato in anticipo, fingendo però che si stia svolgendo all’istante. Per avvalorare questa finzione si fanno entrare in sala, a distanza di tempo, i partecipanti. come se giungessero al momento, mentre invece attendevano nella stanza accanto; il pubblico lo comprende sentendo che sono informati di quanto è stato affermato dagli altri partecipanti prima del loro arrivo. Espedienti puerili e scene pressoché pietose, che si ripetono tutte le sere dinanzi a piccole platee di spettatori condannati ad assistere di persona. Sempre le stesse persone, gli stessi partecipanti gli stessi moduli, per giorni, mesi, anni.
E, quel che più conta, tutti - politici, sindacalisti, rappresentanti di categorie ecc.- parlano a titolo personale. Non esprimono mai la posizione ufficiale, democraticamente definita, del partito o dell’organizzazione di appartenenza. Mai citano i deliberati di una Direzione, di un Comitato centrale, di un Consiglio o di un’Assemblea nazionale, come avveniva un tempo. Forse perché questi organi non esistono più, sostituiti da sette o otto leader che decidono personalmente e direttamente. Ma questo aumenta l’inattendibilità di certe trasmissioni.

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