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ANTONELLO COLOSIMO:
PIÙ URGENTE
LA LOTTA
ALLA CONTRAFFAZIONE

 

Antonello Colosimo,
già vicepresidente vicario
del disciolto Alto Commissariato
per la lotta alla contraffazione


«Pur nel rispetto delle
decisioni del Governo
e del Parlamento,
va detto che l’Alto
Commissariato per
la lotta alla contraffazione
è stato soppresso
non perché questa sia
stata sconfitta; poiché
si tratta di compiti cui
siamo tenuti da accordi
internazionali, si dovrà
rafforzare l’azione in tale
campo per non dare
l’impressione che si sia
abbassata la guardia »


ominato nel 2005 vice Alto Commissario vicario per la lotta alla contraffazione, in questo ruolo Antonello Colosimo si è battuto per ristabilire la legalità nel settore commerciale travolto, negli ultimi tempi da ondate incontrollate e sempre più massicce di prodotti falsificati, provenienti da alcune zone dell’Italia ma soprattutto dall’estero. Nato a Napoli, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche, specializzato in Diritto amministrativo e Scienze dell’Amministrazione, addetto dal 1988 al 1992 alla Segreteria del presidente del Consiglio, è stato il più giovane dirigente generale dello Stato e ha prestato servizio presso il Ministero dei Lavori Pubblici, poi direttore generale per gli Affari generali e il Personale nel Ministero delle Comunicazioni, capo di Gabinetto nello stesso, consigliere giuridico del ministro della Funzione Pubblica, consigliere della Corte dei conti. È autore di varie pubblicazioni e articoli scientifici e giuridici. In questa intervista delinea un quadro impressionante dell’entità, dei danni e dei rischi provocati dal fenomeno della contraffazione.
«L’Italia non ha grandi ricchezze, materie prime, industrie, secondo i canoni classici dell’economia capitalista; ha soprattutto una grande capacità di trasformazione dei prodotti e un grande estro, per cui il gusto e il modo di vivere italiano sono diventati un modello pressoché esclusivo e desiderato. Abbiamo, in particolare, l’abbigliamento, l’agro-alimentare, l’accessoristica, il settore dell’auto particolarmente raffinato, casi eccellenti la cui tutela costituisce la ragione della nostra appartenenza al novero dei Paesi industrializzati. Quando si tollera che la contraffazione, la falsificazione, la frode in commercio, la pirateria, si insinuino nel nostro sistema, si creano le condizioni per la sua scomparsa», afferma Antonello Colosimo. Le tarme della contraffazione, egli è solito dire, distruggono pian piano il prezioso tavolo attorno al quale siamo seduti; ma noi non ci rendiamo conto che quotidianamente e silenziosamente, ogni qual volta acquistiamo un prodotto contraffatto, in realtà stiamo dando un colpo al nostro patrimonio.

Domanda. In che cosa consiste la contraffazione?
Risposta. Chi compra merce contraffatta commette quattro errori in una volta: compie un illecito amministrativo, dà un contributo alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale, concorre all’evasione fiscale e allo sfruttamento del lavoro nero, mette a repentaglio il sistema produttivo. Se cade un aereo di una compagnia il cui nome figura nella black list, spesso è perché monta pezzi di ricambio contraffatti. La contraffazione tocca tutti i settori produttivi: lamette da barba, ricambi di auto e di aerei, materiale chirurgico, trapani di dentisti, candeggina ecc., solo per citarne i più eclatanti. È la peste del nostro secolo. È un fenomeno incolore, inodore, insapore. Non è come la droga che, usata, lascia la traccia. Non ce ne rendiamo conto. Quando compriamo un paio di occhiali contraffatti, riteniamo di non aver fatto nulla di male, di averne tratto un vantaggio, di aver inferto un colpo ai grandi marchi che approfittano del nome per aumentare i prezzi; ma con l’uso possono prodursi eczemi sulle tempie perché il materiale non è controllato, può contenere agenti chimici che provocano reazioni allergiche.

D. Perché non si spiegano alla massa questi aspetti?
R. La necessità di una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica fu uno dei motivi per i quali nel 2005 fu istituito l’Alto Commissariato per la lotta alla contraffazione, ad opera, per ironia della sorte, del Governo Berlusconi che ne ha deciso la soppressione assieme ad altri organismi. Si ritenne opportuno creare un organismo anche per i conseguenti vantaggi derivanti al settore economico, dal quale la nascita fu salutata positivamente. Doveva essere una struttura leggera, che si avvaleva degli organi di polizia esistenti e coordinava, esaltandole, le competenze dei 18 organismi pubblici che si occupano a vario titolo della lotta alla contraffazione: Ministeri degli Esteri, dell’Economia, del Commercio internazionale, dello Sviluppo Economico, dei Beni culturali, delle Politiche agricole e della Salute; Guardia di Finanza, Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato, Dogane, Ice ecc. Strutture, ognuna della quali si sovrappone all’altra in una contesa sulle competenze.

D. Che cosa ha fatto l’Alto Commissariato per la lotta alla contraffazione?
R. Aveva cominciato ad operare ritenendo prioritarie tre azioni: la costituzione di una banca dati per un’esatta conoscenza del fenomeno, non esistendo dati attendibili sulla merce contraffatta in quanto i sequestri riguardano solo una piccola parte dell’enome quantità di merce contraffatta; il coordinamento delle forze di polizia nelle necessarie azioni di repressione; una grande campagna d’informazione dei consumatori, nel cui ambito avevamo previsto anche un accordo con il Ministero della Pubblica istruzione per educare i giovani al principio di legalità. Rispetto alla forma tipica di furbizia napoletana rappresentata dalla piccola truffa, anche simpatica, dal cosiddetto «pacco» ci troviamo di fronte invece a un’industria del crimine. Un’industria che finanzia anche frange terroristiche operanti in altri Paesi con la contraffazione del Viagra, che frutta ad Hezbollah, partito terrorista libanese, già un miliardo di dollari l’anno grazie alla commercializzazione effettuata da quella farmacia, aperta 24 ore su 24, che si chiama internet. Lo sviluppo del fenomeno è favorito dal commercio elettronico nel quale acquirente e venditore non s’incontrano mai.

D. Perché è stata disposta la soppressione dell’Alto Commissariato?
R. Questo non spetta a me dirlo. Pur nel rispetto delle decisioni del Governo e del Parlamento, osservo soltanto che tale soppressione non è avvenuta perché si sia posto fine alla contraffazione, tutt’altro. Due elementi devono farci riflettere. L’anno prossimo l’Italia presiederà il G8; ebbene dal 2002 quando si svolse nel Regno Unito, ogni vertice del G8 ha inserito nelle conclusioni una dichiarazione sulla proprietà intellettuale, impegnando i Governi a rafforzare la lotta alla contraffazione anche attraverso l’istituzione di autorità governative; l’Italia è stato il primo Paese al mondo a istituirlo. Secondo elemento: l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Ronald P. Spogli, in un seminario svoltosi l’anno scorso nel Ministero degli Esteri, ha dichiarato, e questo dovrebbe farci riflettere, che nella cosiddetta «watch list dog 301» l’Italia figura fra i 75 Paesi sconsigliati per gli investimenti a causa della scarsa tutela esercitata sulla proprietà intellettuale.

D. Quali sono le conseguenze?
R. Come pensiamo di garantire, noi che abbiamo interesse agli investimenti delle major americane nella nostra industria del cinema, che i film realizzati grazie ad essi non siano, il giorno stesso della presentazione nelle sale, venduti per strada dagli extracomunitari? A queste domande dovremmo dare risposte. È stata emanata una legge sulla pirateria, ma si tratta di un caso diverso perché essa tutela i diritti d’autore riscossi dalla Siae; la Corte di Giustizia europea ha sentenziato che la Siae esercita un monopolio, dal momento che impedisce il libero godimento di diritti fruibili da tutti, perché l’ascolto della musica non è un diritto esclusivo di chi l’ha composta e di chi la produce e vende il cd. Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che le nicchie da noi create, tra cui il diritto d’autore, man mano vengono scardinate. Per cui dobbiamo dare una risposta in termini di protezione ma anche di contrasto.

D. Non era stata introdotta una sanzione amministrativa per l’acquirente di merce contraffatta?
R. Certo, perché chi la vende commette un reato sanzionabile penalmente, chi l’acquista un illecito amministrativo, quindi può vedersi comminare una sanzione pecuniaria. Ma si tratta di un importo che può giungere a 10 mila euro, mentre non è previsto un minimo, né è individuata in maniera esplicita l’autorità competente. Solo attraverso una ricostruzione normativa si arriva a un decreto presidenziale del 1993 secondo il quale, laddove non sia indicata, l’autorità amministrativa competente è il prefetto. Una norma in qualche modo irrazionale, perché è assurdo prevedere una sanzione di migliaia di euro per l’acquisto di un paio di occhiali da 20 euro; è una misura talmente sproporzionata che nessun giudice applicherebbe. L’Ufficio dell’Alto Commissario aveva preparato ipotesi basate su un minimo di 500 euro, ossia su un deterrente valido ma anche ragionevole.

D. Non è stato fatto nulla allora?
R. L’unica norma efficace introdotta di recente dispone la distruzione della merce contraffatta sequestrata. Prima avevamo depositi pieni, per anni, di merci per le quali lo Stato pagava ingenti somme a causa della lentezza dei processi e e anche di inerzia; ora la norma stabilisce la distruzione della merce contraffatta sequestrata, salvo il trattenimento di un campione per fini processuali. Prelevato un campione e affidato al giudice, è fatto carico alle forze di polizia di procedere immediatamente alla distruzione all’interno delle strutture militari. Io avevo proposto di declassificare e purificare l’abbigliamento, e di donarlo ad associazioni umanitarie, un compito che la Guardia di Finanza aveva già svolto in maniera apprezzabile.

D. Come si è arrivati alla soppressione dell’Alto Commissariato?
R. Lo scorso giugno, quando ha adottato il decreto legge 112 che ha anticipato la legge finanziaria, il Governo vi ha inserito la soppressione di quattro organismi: l’Alto Commissariato per la lotta alla contraffazione, l’Alto Commissariato per la lotta alla corruzione, il Secit e una Commissione incaricata di esaminare i requisiti degli ex dipendenti delle basi Nato, da riassumere nella Pubblica Amministrazione. Si è ritenuto che le strutture soppresse fossero particolarmente costose; in realtà quella per la lotta alla contraffazione costava appena un milione e mezzo di euro l’anno, quella contro la corruzione ritengo 4 o 5 milioni. Ma poiché si tratta di compiti cui siamo tenuti da accordi internazionali per cui siamo oggetto di attenzione da parte di tutti i Paesi e soprattutto dell’Ocse, il Governo dovrà rafforzare l’azione in tale campo, per non dare l’impressione che sia in atto un abbassamento della guardia e una sorta di generalizzato libera tutti.

D. Ora chi attua questa lotta?
R. Il Ministero dello Sviluppo Economico ne ha riassunto la competenza; il ministro Claudio Scajola ha disposto una campagna di sensibilizzazione e d’informazione dei consumatori; ed è in atto una meritoria azione della Guardia di Finanza. Il fenomeno delle vendite abusive operate da immigrati clandestini dipende anche da questa situazione. Ci troviamo di fronte a tre illeciti distinti ma legati: la vendita di merce contraffatta, l’occupazione abusiva di suolo pubblico, la commercializzazione sine titulo di prodotti. Messe insieme, queste azioni costituiscono illeciti a vario titolo, alcuni sanzionabili penalmente e altri amministrativamente. In seguito ai provvedimenti del Governo sul contrasto alla criminalità, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha vietato la vendita di merce per strada, l’occupazione di suolo pubblico, l’ambulantato, misure che restituiscono ai cittadini anche la visione dell’attività commerciale svolta regolarmente, essendo questa in precedenza nascosta dalle strutture della vendita abusiva.

D. Quali conseguenze comporta la mancata lotta?
R. Se lo Stato si arrende, si distrugge il mercato, si chiudono le attività, i posti di lavoro saltano, l’evasione fiscale cresce a dismisura, la gente si mette a comprare merce contraffatte, non si rivolge più agli esercizi regolari. In una sconvolgente relazione della Confcommercio pubblicata l’anno scorso, e in un’altra più recente dalla Confcommercio di Napoli, la risposta di un campione di mille consumatori alla domanda «Perché compri merce contraffatta?» è stata: «Perché mi piace la trattativa». Quindi per la soddisfazione di spuntare un buon prezzo, di fare un affare. C’è anche un sentimento anti-globalistico, consistente nel desiderio di dare una lezione ai grandi marchi. Sono fattori da considerare quando si fanno analisi economiche e riflessioni sulla contraffazione. Il consumatore va educato, deve comprendere che infliggere un colpo al grande marchio non evita il rischio per la propria incolumità.

D. Non si tratta di mercati paralleli creati dalle stesse griffes?
R. Lei si riferisce alla cosiddetta «delocalizzazione». Una grande azienda concede la licenza di produrre 100 pezzi in un Paese straniero di solito del Sud-Est asiatico dove la manodopera costa pochissimo; il licenziatario ne fabbrica 100 per il concedente e mille per sé; non sono contraffatti, provengono dalla stessa licenza, ma i 100 entrano in Europa previo controllo di qualità, di assenza di elementi nocivi ecc., mentre i mille girano nel mondo senza controlli, favoriti da una benevola tolleranza. Noi incontriamo un duro ostacolo nell’Unione Europea, non riusciamo a far approvare una direttiva che definisca il «made in» stabilendo che, per essere tale, un oggetto deve essere prodotto per almeno per il 60 per cento nel Paese di riferimento. Oggi abbiamo oggetti per l’80 per cento fabbricati all’estero, sui quali alla fine viene applicata un’etichetta. Una disciplina del «made in» costituirebbe per noi una valida tutela, ma dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea soltanto 8 o 9 hanno interesse a tutelarsi; gli altri non solo non hanno alcun interesse, ma si riterrebbero danneggiati.

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