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DIRITTO CIVILE 1.
IL MUTAMENTO
DI DESTINAZIONE
E LE DIVERSE TIPOLOGIE LOCATIVE

DIRITTO CIVILE 2.
LA SIMULAZIONE
DELLA DESTINAZIONE
DEL BENE LOCATO


di MAURIZIO DE TILLA

 

 


IL MUTAMENTO DI DESTINAZIONE E LE DIVERSE TIPOLOGIE LOCATIVE
L'articolo 80 della legge 392 del 1978 stabilisce che se il conduttore adibisce l’immobile ad uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ha avuto conoscenza del mutamento di destinazione. Decorso tale termine senza che la risoluzione sia stata chiesta, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile. Qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso prevalente.
Si può quindi affermare da un lato che la risoluzione del contratto è collegata al semplice mutamento di destinazione, considerato inadempimento grave per presunzione di legge e non più per valutazione del giudice; e che, dall’altro, all’inerzia del locatore il quale non richieda la risoluzione del contratto nel termine di tre mesi, è attribuita efficacia sanante dell’inadempimento, con conseguente assoggettamento del contratto alla disciplina normativa conforme all’effettiva utilizzazione dell’immobile (Cassazione 15 febbraio 2005 numero 2.976).
Con un contratto di locazione le parti possono stabilire che l’immobile locato sia destinato a più usi; in tal caso, ai fini dell’individuazione del regime giuridico applicabile, il giudice dovrà accertare l’uso prevalente con riguardo alla volontà delle parti, a meno che, avendo il conduttore per propria arbitraria iniziativa adibito l’immobile a un uso diverso, non debba assumere rilievo l’uso effettivo (Cassazione 16 giugno 2003 numero 9.612). Anche per le locazioni non rientranti nell’ambito della legge n. 392 del 1978 il mutamento dell’uso pattuito in uno di quelli da essa previsti, determina, nell’inerzia del locatore, il passaggio di regime giuridico di cui all’articolo 80, comma 2 della citata legge.
La diversa destinazione dell’immobile è quella che si realizza in concreto con l’effettivo diverso uso della cosa locata, sicché è solo da tale momento che comincia a decorrere il suddetto termine perentorio per chiedere la risoluzione del contratto, non potendo venire in rilievo, a tal fine, una situazione di semplice conoscenza della sola intenzione del conduttore.
Tale interpretazione è conforme all’impianto complessivo della suddetta norma che, come è argomentabile anche sulla scorta della sentenza n. 228 del 1990 della Corte costituzionale, in difetto di strumenti di conoscenza legale dello stato di fatto integrante il mutamento, di questo esige l’effettiva conoscenza da parte del locatore. Conoscenza che si configura necessariamente in rapporto a una situazione concreta e attuale di uso diverso, e non a un progetto di mutamento di destinazione che il conduttore potrebbe anche non attuare (Cassazione 21 febbraio 2006 numero 3.683). L’aggiunta di una diversa attività a quella originariamente pattuita non comporta l’applicabilità della citata norma, ma va riguardata sotto il profilo dell’inadempimento del conduttore da valutarsi alla stregua dell’ordinaria disciplina del Codice civile, con la conseguenza che ha carattere di gravità solo ove si traduce in una rilevante violazione del contratto in relazione alla volontà dei contraenti, alla natura e alle finalità del rapporto nonché all’interesse del locatore.
Come si è precisato, se il conduttore muta l’uso pattuito dell’immobile e il locatore non esercita l’azione di risoluzione entro tre mesi da quando ne è venuto a conoscenza, il silenzio del locatore viene interpretato come implicito consenso al mutamento d’uso, con effetti novativi del precedente rapporto e applicazione ad esso del regime giuridico corrispondente all’uso effettivo, con decorrenza dalla scadenza del termine per proporre l’azione di risoluzione (Cassazione 27 giugno 2002 numero 9.356).
La ratio dell’articolo 80 è quella di applicare agli immobili locati il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo onde evitare che il locatore venga a subire, per iniziativa del conduttore, una disciplina del rapporto diversa da quella convenzionalmente pattuita. Ne consegue che il concetto di «uso diverso da quello contrattuale», che legittima il locatore a chiedere la risoluzione del contratto con la specifica azione di cui al citato articolo, nei limiti temporali ivi fissati e a pena di decadenza, non si identifica con qualsiasi mutamento di destinazione, bensì solo con quello che comporti un corrispondente mutamento di regime giuridico, ferma restando l’esperibilità della comune azione di risoluzione per inadempimento per le diverse ipotesi di cambiamento della destinazione della res locata.
Il principio consolidato è stato recentemente ribadito dalla Corte Suprema, con la sentenza numero 969 del 17 gennaio 2007. Tale sentenza ha precisato che la norma contenuta nell’articolo 80 si applica anche al mutamento che trasforma l’uso di immobile, previsto per le esigenze abitative transitorie del conduttore, in quello diverso di abitazione utilizzata per destinazione abitativa stabile e viceversa. Si è ritenuto che tale norma tuteli un interesse assolutamente estraneo a quello del locatore, identificabile con l’esigenza di assicurare l’effettivo rispetto delle tipologie normative. Cosicché il mutamento di destinazione dell’immobile, da un uso protetto dalla legge 392 del 1978 a un uso per così dire «neutro» e viceversa, rientra nella previsione del surrichiamato articolo 80.

LA SIMULAZIONE DELLA DESTINAZIONE DEL BENE LOCATO
Con la decisione del 20 settembre 2006 numero 20.331 la Corte di Cassazione ha affermato che il patto espresso, secondo il quale l’immobile locato deve essere destinato a semplice attività di lavoro artigianale autonomo e senza che in esso possa svolgersi anche un contatto diretto tra il conduttore e i propri clienti, non contrasta di per sé con la prevista nullità assoluta che la norma dell’articolo 79 della legge n. 392 del 1978 prevede per i patti diretti a limitare la durata legale del contratto, ovvero ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello, o un altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge.
Rientra infatti nella disponibilità delle parti stabilire quale debba essere in concreto la destinazione da dare all’immobile locato sicché, come nell’uso abitativo non contrasta con la suddetta norma l’espressa previsione che l’immobile debba servire non a dimora stabile del conduttore ma a realizzare altre sue esigenze di natura transitoria o turistica, così nell’uso non abitativo è concesso ai contraenti di escludere la possibilità di usare l’immobile locato come luogo aperto al pubblico degli utenti e dei consumatori.
La Corte Suprema ha ricordato che la giurisprudenza del giudice di legittimità su questo punto è del tutto univoca dove stabilisce che, qualora sia contrattualmente stabilita una destinazione dell’immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e il conduttore reclama il riconoscimento della propria tutela privilegiata consistente nel diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, e nel diritto di prelazione e di riscatto in caso di alienazione dell’immobile locato, affinché la non corrispondenza tra la realtà effettiva e il contenuto pattizio del contratto possa assumere rilevanza occorre che il conduttore faccia valere la simulazione relativa, configurabile nel caso in cui risulti simulata la volontà delle parti di destinare l’immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, e risulti dissimulata la volontà contraria.
Nella fattispecie in esame il conduttore, cui incombeva il relativo onere, non ha provato che la clausola di esclusione pattizia dell’accesso della clientela all’immobile locato fosse stata simulata al fine di negare la tutela privilegiata del conduttore, né ha dimostrato che, per effetto della mutata destinazione dell’immobile a luogo aperto alla frequentazione della clientela, si era consolidata la situazione idonea ad assoggettare il rapporto al diverso regime giuridico ammissivo della prelazione da parte del conduttore.
La decisione si inserisce nell’ambito di numerose altre che hanno stabilito la rilevanza della simulazione in tema di locazione e, gradatamente, l’applicazione dell’articolo 80 della legge 392 del 1978. Anzitutto va osservato che, proprio perché si verte in ipotesi di simulazione relativa, è necessario che le parti contrattuali non solo non vogliano il contratto simulato, ma anche che le stesse vogliano il contratto dissimulato. Ne consegue che, in merito al contratto dissimulato, è necessario che si sia formato il consenso di entrambe le parti.
Se una sola delle parti, nella specie il locatario, vuole un contratto diverso da quello apparente mentre l’altra vuole solo il contratto apparente, non si versa più in ipotesi di simulazione, ma di irrilevante riserva mentale. Secondo questo principio si è ritenuto che il proposito unilaterale e inespresso dell’aspirante conduttore di adibire a propria stabile abitazione l’immobile che gli venga offerto in locazione a titolo transitorio configura una riserva mentale del tutto irrilevante.
Quindi, qualora nella stipulazione di un contratto di locazione per uso ufficio sussista un intento elusivo soltanto unilaterale «ex latere conductoris», nel senso che questi, pur intendendo adibire l’immobile ad abitazione primaria e stabile, abbia accettato la proposta di locazione dell’immobile formulatagli dal locatore, questo intento resta inevitabilmente circoscritto entro i confini di un’irrilevante riserva mentale, non potendosi legittimamente sostenere che ciò che rileva «in subiecta materia» sia esclusivamente l’elemento oggettivo dell’effettiva destinazione dell’immobile, senza alcuna indagine sulla volontà effettiva della parti.
Nell’ipotesi di simulazione relativa in tema di locazione per finalità abitativa stabile e primaria, è rilevante l’atteggiamento psicologico del locatore, per cui sussiste tale simulazione ogniqualvolta il conduttore dimostri l’inesistenza della diversa finalità locativa; e per converso l’esistenza della finalità locativa abitativa, stabile e primaria, era ragionevolmente apprezzabile dal locatore in base all’obiettiva situazione di fatto conosciuta al momento del contratto; ciò può essere condiviso solo nei limiti in cui non urti contro la struttura della simulazione relativa suddetta, cioè solo sotto il profilo probatorio.
Tale conoscenza della situazione di fatto da parte del locatore, infatti, non può mai sostituire il suo consenso al negozio dissimulato, ma può solo essere utilizzata dal giudice di merito quale elemento da cui presumere, in relazione alle circostanze concrete, la simulazione della locazione apparente e l’esistenza di una locazione dissimulata. L’onere di provare l’accordo simulatorio grava sul conduttore, il quale peraltro ha la facoltà di ricorrere anche alla prova per testimoni - e, quindi, anche a quella per presunzioni -, poiché la prova tende a far valere l’illiceità delle clausole dissimulate contra legem, salvi gli ampi poteri istruttori esercitabili d’ufficio da parte del giudice (Cassazione 26 maggio 2000 numero 6.971).

 

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