SALUTE E LAVORO
La malattia che discrimina
e penalizza
le donne
e le aziende
Il prof. Pietro Giulio Signorile,
presidente
della Fondazione
Italiana Endometriosi
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ostrette a nascondere la malattia, non «giustificate» dai dirigenti e penalizzate nella carriera e in famiglia, molte donne si sentono discriminate nell’ambito del lavoro e non ricevono neppure la solidarietà delle colleghe e tantomeno dei colleghi. Per di più costituiscono una considerevole spesa per il Servizio Sanitario Nazionale, ammontante ad oltre 182 milioni di euro l’anno. Un recente sondaggio ha messo in luce dati ancora più inquietanti: se la malattia - l’endometriosi - non viene diagnosticata in tempo e si aggrava, aumentano i costi sanitari, con una spesa annua per congedi lavorativi che solo in Europa si aggira sui 30 miliardi di euro. In Italia la degenza media in caso di ricovero è pari a 4,6 giorni e il costo rimborsato alle Regioni dal Servizio Sanitario Nazionale per questo è di 2.773,80 euro per ogni paziente.
La malattia in oggetto, l’endometriosi, è fortemente invalidante: dai dati forniti in un convegno organizzato lo scorso dicembre a Roma dalla Fondazione Italiana Endometriosi presieduta dal prof. Pietro Giulio Signorile, che ha condotto la prima ricerca in Italia su un campione rappresentativo di 416 donne affette da tale patologia, è emerso che il 67 per cento di esse si sentono discriminate nella vita sociale e lavorativa, con rilevanti conseguenze anche per l’economia delle aziende e in generale per il sistema produttivo. Oltre agli aspetti sanitari, in questa intervista illustra le conseguenze sociali ed economiche di questa patologia il prof. Signorile, medico chirurgo, specialista in Ostetricia e Ginecologia, con una ventennale esperienza nell’endometriosi e pionere della moderna laparoscopia.
Domanda. Quante donne sono affette in Italia da tale malattia?
Risposta. Pur trattandosi di una forma poco conosciuta in quanto si tratta di una malattia che agisce nel silenzio, essa colpisce ben 3 milioni di donne. Per farla conoscere, da tempo la Fondazione da me diretta si impegna in campagne di informazione e di prevenzione. Dalla ricerca da noi svolta è emerso che quasi la metà delle intervistate, precisamente il 45 per cento, sente la necessità di nascondere il problema quando è nel posto di lavoro, mentre solo il 9 per cento di esse lo nasconde anche ai propri familiari.
D. A che cosa è dovuto questo comportamento?
R. Nel luogo di lavoro è dovuto soprattutto alla mancanza di collaborazione da parte dei dirigenti, e dal fatto che vi è sempre stata un’assegnazione del dolore al genere femminile, soprattutto se tale dolore è dell’apparato riproduttivo; per il 57 per cento delle donne affette, l’assenza dovuta a questa malattia non viene giustificata dall’azienda da cui dipendono; nel 52 per cento dei casi esse non possono neppure comunicare che si ammalano. Pertanto l’endometriosi incide fortemente sulla vita sociale e di relazione delle donne, e il 72 per cento di esse l’ha confermato.
D. In quale stato d’animo si trovano le interessate?
R. Oltre la metà delle donne affette, precisamente 57 su cento, soffrono di depressione nell’ambiente di lavoro, mentre 52 su cento ritengono che il loro rendimento sia inferiore a quello dei colleghi, per cui tale situazione limita fortemente le loro possibilità di carriera. In effetti si assentano dal lavoro in media 1,8 giorni al mese; il 44 per cento di esse si assentano anche da 3 a più di 5 giorni. Si tratta, in un anno, di 21,6 giorni per un totale di circa 64 milioni 800 mila giornate di lavoro, con pesanti costi sociali e con rilevante perdita di produttività.
D. Quali sono le cause di questa malattia?
R. Se ne è discusso a fondo nel recente convegno di Roma. Per aumentare le conoscenze su di essa stiamo anche sviluppando un progetto diretto a creare il primo laboratorio di ricerca sui meccanismi che stanno alla sua base, sulle sue cause intrinseche tra le quali figurano sicuramente anche le sostanze inquinanti ambientali. Non c’è dubbio, infatti, che favoriscano la malattia fattori inquinanti come gli «endocrine disruptors», presenti anche nei luoghi di lavoro: dai farmaci ai pesticidi, dai plastificanti alle sostanze di origine industriale. Focolai endometriosici che si impiantano nel basso ventre, al di fuori dell’utero e più raramente in altri organi, reagiscono alla stimolazione ormonale del ciclo mestruale o delle sostanze chimiche presenti nell’ambiente, provocando forti dolori invalidanti e spesso infertilità, rapporti sessuali dolorosi, stanchezza fisica, dolore pelvico cronico.
D. Come reagiscono le donne a questa situazione?
R. Molte vivono nel silenzio la loro battaglia quotidiana contro questa malattia. Spesso tacciono il loro malessere per paura di non essere credute, e anche perché i primi sintomi sono spesso legati alla loro vita privata. Ma è un errore, perché il silenzio ritarda la diagnosi della malattia, con il risultato che le pazienti consultano un gran numero di medici e si sottopongono ad esami clinici dispendiosi senza peraltro riuscire ad individuare tempestivamente il male di cui soffrono. La mancata diagnosi, inoltre, si accompagna spesso alla sottovalutazione dei sintomi denunciati, il che aggrava il senso di solitudine che affligge le colpite.
D. Come si può combattere?
R. Occorre agire su vari fronti, in primo luogo con iniziative di informazione per diffondere la conoscenza della malattia della quale, pur interessando 150 milioni di donne nel mondo di cui 14 milioni in Europa, si sa ancora poco o nulla. Si sa però che è una malattia progressiva, fortemente invalidante e che, pur essendo benigna, impedisce di condurre una normale vita lavorativa, sociale e familiare.
D. Che cosa fa in proposito la Fondazione Italiana Endometriosi da lei presieduta?
R. La Fondazione ha l’obiettivo di aiutare e di sostenere le donne, di diffondere informazioni perché la comunicazione è un efficace strumento di prevenzione, di seguire le pazienti nella cura, di promuovere lo sviluppo della ricerca scientifica e degli studi sul fenomeno, di dare voce, insomma, a queste persone. A tal fine lo scorso mese di novembre ha lanciato la prima campagna nazionale di informazione per diffonderne la conoscenza tra le donne, i medici, le istituzioni e l’opinione pubblica in generale. Rompere il silenzio che circonda questa patologia è il primo passo per migliorarne la cura.
D. È una malattia sociale?
R. In realtà non è solo un affare privato. Il dolore cronico e gli effetti collaterali associati impediscono alle donne affette una normale vita sociale, familiare ed anche professionale. La spesa annua nazionale relativa ai farmaci per la sola cura medica ammonta a 128 milioni di euro. Tutto ciò spinge a considerarla una malattia sociale a tutti gli effetti. Una proposta di legge diretta a dichiararla tale, presentata il 15 febbraio 2007, è all’esame della Camera dei Deputati.
D. Qual è il suo contenuto?
R. Intitolata «Disposizioni per la prevenzione e il trattamento dell’endometriosi» e firmata dalla vicepresidente della Commissione Affari Sociali Dorina Bianchi e dal presidente della Commissione Ambiente, Ermete Realacci, la proposta affronta, per la prima volta, l’endometriosi con una serie di misure elaborate per combatterla in modo organico e unitario, classificandola come malattia sociale e inserendola tra le patologie per le quali è prevista l’esenzione dal pagamento del ticket per la diagnostica e la terapia. In qualità di consulente tecnica e di esperta della materia, la Fondazione Italiana Endometriosi è in prima fila tra i sostenitori del provvedimento legislativo. Si spera anche che si possa formare un «action plan» che veda coinvolte anche le aziende nel sostegno della ricerca scientifica in questo settore, alla quale attualmente vengono destinate risorse finanziarie oltre cento volte inferiori a quelle impiegate per altre malattie croniche.
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