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PAOLO BUZZETTI:

EDILIZIA E OPERE
PUBBLICHE, SI ATTENDE
LA RIPRESA

a cura di
ROMINA CIUFFA


L’ing. Paolo Buzzetti,
presidente dell’Ance,
l’Associazione nazionale
dei costruttori edili


«La Finanziaria
ha stanziato ingenti
somme per le opere
pubbliche ma finora
sono rimaste in gran
parte sulla carta;
stanno per essere
indette molte gare,
speriamo che
si assista a una ripresa
degli investimenti
pubblici; dopo
tre o quattro anni
si è fatto poco
anche per mancanza
di disponibilità
finanziarie»


ssociazione nazionale dei costruttori edili nata nel 1946, l’Ance, maggiore organizzazione aderente alla Confindustria, ha un presidente nazionale, un Consiglio direttivo, una sede centrale a Roma e sedi e associati in ogni città. Raggruppa circa 20 mila imprese che rappresenta in tutti i rapporti con il Governo e con i principali enti interessati all’attività delle costruzioni in Italia, quindi i Ministeri delle Infrastrutture, dei Trasporti e del Lavoro, i sindacati, l’Anas, le Ferrovie dello Stato, tutte le cosiddette «stazioni appaltanti», che aggiudicano commesse aventi per oggetto attività edilizia. Un mondo complesso nel quale operano, in un sistema gestito pariteticamente con il sindacato di settore, circa 300 enti tra cui Casse edili, Comitati paritetici territoriali e Scuole edili, che tra l’altro sono dedicati al controllo della regolarità, alla formazione del personale e alla sicurezza del lavoro. L’Ance investe consistenti somme per questo sistema, circa 75 milioni di euro l’anno. È la controparte dei sindacati in occasione dei rinnovi contrattuali. Presidente dell’Ance è attualmente l’ing. Paolo Buzzetti, titolare con il padre Aldo di un’impresa edilizia che dal dopoguerra ha realizzato a Roma e in Italia ragguardevoli opere edilizie pubbliche e private. In questa intervista l’ing. Paolo Buzzetti fa il punto sulla situazione del settore nell’attuale momento di stagnazione economica generale e di conseguente stasi anche nel settore edilizio.

Domanda. Qual’è la situazione nel settore delle costruzioni e in particolare delle opere pubbliche?
Risposta. In quest’ultimo campo la situazione è precaria. Bisogna riconoscere che la Finanziaria 2008 ha stanziato ingenti somme, ma purtroppo si tratta di investimenti destinati in gran parte a restare sulla carta, senza entrare realmente in circolazione. Secondo il supplemento Edilizia e Territorio del Sole 24 Ore, che sta compiendo il censimento dei programmi che noi già conosciamo, quest’anno stanno per essere indette molte gare per la realizzazione di opere pubbliche; speriamo che sia vero e che si assista a una ripresa degli investimenti pubblici; ma negli ultimi tre o quattro anni non si è fatto nulla per mancanza di disponibilità finanziarie. Nel 2004-2005 si è registrata una riduzione del 50 per cento degli importi a disposizione rispetto agli anni precedenti che erano stati caratterizzati da un robusta crescita; si tratta di una constatazione del tutto apolitica.

D. Com’era, appunto, la situazione precedente?
R. Nei primi anni del nuovo millennio erano stati compiuti consistenti investimenti, poi si è verificato un calo verticale per le varie vicissitudini finanziarie cui è andato incontro il nostro Paese. Negli ultimi due anni è stato compiuto uno sforzo per aumentare i fondi; la Finanziaria 2007 ha incrementato del 23 per cento le risorse rispetto all’anno precedente, mentre per il 2008 l’aumento è di circa il 19,5 per cento. In totale si tratta di oltre 24 miliardi di euro in tre anni, che non sono pochi.

D. Quanto occorreva, invece?
R. La somma che l’Ance ha ritenuto necessaria per stimolare la ripresa nel campo delle opere pubbliche ammontava a 25 miliardi, il Governo ne ha stanziati 24, dunque una somma soddisfacente. Ma il loro trasferimento agli enti che devono impiegarli incontra grandi difficoltà. I soggetti che devono spendere di più in opere pubbliche sono l’Anas, le Ferrovie dello Stato e i Comuni, ma le lungaggini burocratiche ritardano i trasferimenti. I capitali ci sono, ora il nostro sforzo consiste nel farli spendere nel più breve tempo possibile, denunciando le lentezze che altrimenti si vanno accumulando. Questo è un primo aspetto.

D. Cos’altro impedisce la realizzazione delle opere pubbliche in Italia, oltre alla burocrazia?
R. Il secondo ostacolo viene proprio dai cittadini. Sul finire degli anni Settanta l’Italia era ai primi posti nella disponibilità di reti infrastrutturali, ferrovie e strade; adesso, per numero di chilometri realizzati, siamo in coda ai principali Paesi europei con i quali ci confrontiamo, cioè Francia, Germania, Inghilterra, Spagna. Con i tassi di sviluppo di questi Paesi - ma anche di quelli dell’Europa dell’Est che registrano un aumento annuo del prodotto interno intorno al 10 per cento -, ho l’impressione che, se non ci muoviamo subito, resteremo indietro. Per di più questo deficit infrastrutturale aggrava i problemi del traffico sia in entrata che in uscita dalle nostre città.

D. Muoversi sì, ma in quale modo?
R. I problemi sono molti, ma bisogna trovare soluzioni ad essi. Abbiamo compiuto ricerche delle quali presenteremo i risultati alla fine del mese in un grande convegno a Roma; abbiamo studiato i costi del «non fare». Recentemente è stato calcolato che il 5 per cento del prezzo di ogni prodotto realizzato in Italia è dovuto alle reti di trasporto, comprese quelle marittime, che non soddisfano più le esigenze di oggi. Da una ventina di anni ci siamo fermati in tanti settori, ma soprattutto nelle infrastrutture. Dopo di che lamentiamo giustamente che è diventato difficilissimo svolgere gli appalti pubblici.

D. Quali sono i problemi propri di quest’ultimo settore?
R. Siamo spesso in presenza di progetti fatti male e inoltre vengono applicati prezzi troppo bassi; sono dati oggettivi, basta confrontarli con il resto d’Europa. È ormai accertato che, oltre a disporre di scarse risorse finanziarie, le amministrazioni pubbliche elaborano progetti insoddisfacenti e indicono gare con prezzi inadeguati. Per necessità di sopravvivenza e a causa dei sistemi di qualificazione vigenti le imprese sono costrette a partecipare alle gare applicando ribassi eccessivi; se un’impresa, infatti, non lavora, perde la patente di costruttore, il che non avviene in nessun altro settore.

D. Cosa comporta tutto questo?
R. Il risultato è un notevole contenzioso tra le amministrazioni pubbliche e le imprese private, con consistenti ritardi ai quali si aggiunge, nelle grandi opere, l’opposizione delle popolazioni; l’abbiamo visto per le discariche di rifiuti urbani a Napoli, la realizzazione della linea ferroviaria dell’Alta Velocità, il rifiuto dei parcheggi in prossimità delle abitazioni. C’è sempre e comunque il rifiuto dell’opera infrastrutturale. Tutta l’Europa usa gli inceneritori; ve ne è uno a Brescia, ma non se ne vogliono in altre regioni, si accampano ragioni sanitarie, si teme l’insorgere di tumori. O si eliminano subito queste gravi distorsioni o non si recupera più il ritardo.

D. Cosa è stato fatto per rimediare alle distorsioni presenti nel settore delle costruzioni pubbliche?
R. L’Ance rappresenta prevalentemente le piccole e medie imprese ma anche le grandi. Ma proprio le piccole e medie sono state penalizzate, negli ultimi anni, con l’introduzione dell’istituto dei «general contractors» e con un gigantismo degli appalti che in realtà non ha aumentato i livelli di efficienza del mercato.

D. Quale spazio hanno in questo scenario le piccole e medie imprese di costruzione?
R. Si sono drenate risorse finanziarie per concentrarle in opere che non sono neppure cominciate eliminandone altre piccole e medie; anche in questo è necessario un riequilibro. Non si risolvono i problemi mettendo tutto in un calderone: le opere devono avere il loro taglio corretto anche per venire incontro al nostro mercato. Abbiamo una tradizione di aziende medio-grandi o medie-piccole, e se è vero che bisogna essere più organizzati e avere imprese di dimensioni maggiori, si devono dare ad esse gli strumenti per farlo.

D. E nell’edilizia privata?
R. Stiamo riproponendo il tema della casa; se ne parla da trent’anni ma i nostri allarmi per lungo tempo non sono stati presi in considerazione; ora finalmente sembra, invece, che questo avvenga. Nonostante i problemi esistenti, Regioni e Comuni sono andati avanti sul piano urbanistico; lo stesso non si può dire a livello nazionale dove vige ancora una legge urbanistica del 1942. Poiché la competenza in materia spetta alle Regioni, lo Stato può intervenire poco ed è facilmente comprensibile l’esigenza di un aggiornamento del quadro generale. Mancano, inoltre, norme per l’abbattimento e la ricostruzione degli edifici: le città sono organismi vivi che devono essere adattati alle esigenze del cittadino; da noi invece vigono vincoli di sagoma, di altezza, di confini, il che non avviene all’estero. Non dico di imitare la Romania dove il privato può decidere l’altezza di un edificio senza chiedere nulla alla pubblica amministrazione, ma, fermi restando i vincoli, andrebbero consentiti alcuni interventi.

D. Com’è tassato il costruttore?
R. Esiste una fiscalità di vecchio stampo, con penalizzazioni sulle materie prime. Solo in edilizia si tassa il prodotto finito e anche i passaggi intermedi, senza utilizzare il concetto moderno, che ormai sta diventando vecchio all’estero, di neutralità fiscale, consistente nel tassare la casa finita ma non il processo di costruzione. Su queste norme elementari, nelle quali siamo arretratissimi, noi ci vorremmo battere; più in generale, negli anni abbiamo varato più volte progetti-città, cioè proposte di metodi di intervento nelle città con grande attenzione anche all’edilizia «sociale».

D. Cosa avviene nel campo dell’edilizia economica e popolare?
R. Giovani, studenti e immigrati non trovano casa né in affitto né da comprare. Indubbiamente in quanto costruttori siamo interessati a costruire, ma oggi esistono formule che consentono a pubblici amministratori e a costruttori di conseguire obiettivi sociali. Ma su questi strumenti innovativi troviamo una grande rigidità nelle amministrazioni pubbliche sia centrali che periferiche. Solo ora il Governo ha stanziato dei fondi, comunque limitati, per fini sociali o per aiutare i giovani.

D. Anche il tema della sicurezza costituisce un nodo per l’edilizia. Come si impegna l’Ance?
R. Ci vantiamo di aver portato avanti da anni consistenti iniziative per la tutela e la sicurezza dei nostri lavoratori, tanto che lo stesso presidente della Repubblica ha riconosciuto il nostro sforzo. Lanceremo adesso altre iniziative mentre di quelle attuate, contrariamente a quello che sembra, si colgono già risultati positivi. Secondo i dati della Filea aderente alla Cgil i casi degli infortuni mortali nei cantieri sono diminuiti nel 2007 rispetto al 2006. Lo scorso anno abbiamo svolto una campagna eccezionale con 60 iniziative in altrettante città, appoggiati dalla stampa e dalla popolazione. Nonostante si sia verificato negli ultimi sette anni il raddoppio della mano d’opera impegnata, gli incidenti hanno continuato a calare.

D. Che cosa è necessario cambiare per ottenere un livello di sicurezza maggiore nei cantieri?
R. Al di là della doverosa necessità di rispettare le norme - che di solito vengono rispettate, tranne nei cantieri meno legali e più nascosti dove gli ispettori ancora oggi non vanno - occorrono molta più cultura e maggiore formazione. Lo diciamo coraggiosamente, perché è un tema che riguarda non solo la manodopera ma anche gli imprenditori. L’edilizia è un settore caratterizzato da un’elevata rischiosità, e nel quale l’uomo è fondamentale, per questo la cultura va messa al primo posto. Ciò non è stato ancora compreso. Anche i giovani immigrati come prima cosa vanno formati per la sicurezza, ma in Italia come al solito al primo posto viene messa la burocrazia: l’ispettore si limita a controllare le carte e a comminare contravvenzioni, invece di concentrarsi su fatti veri, ossia i rischi.

D. Come avere sicurezza nel campo dell’immigrazione clandestina?
R. L’Ance ha sempre abbinato il tema del lavoro nero a quello della sicurezza, sostenendo che nei casi di caporalato deve intervenire la forza pubblica, e nei casi di manodopera in nero vanno colpite le imprese che la impiegano, perché attuano una concorrenza sleale nei confronti di chi, come noi, osserva le leggi. Questo anche perché il costo del lavoro nel settore edile è molto più alto di quello di qualsiasi altra attività industriale: l’impresa edile paga gli oneri contributivi più elevati per Inail, Inps. Somme che si perdono nella spesa pubblica della quale nessuno presenta il rendiconto.

D. Come accelerare la realizzazione di infrastrutture?
R. Non è accettabile che in questo Paese non riusciamo a farle e a recuperare l’inammissibile ritardo relativo a strade, autostrade e ferrovie, che costituiscono la partita prioritaria senza la quale rinunciamo ai benefici derivanti dall’appartenenza all’Europa. L’Ance è determinatissima su questo tema e cercheremo di ottenere risultati concreti. Crediamo molto nell’impresa «italiana», prevalentemente familiare, che costituisce una risorsa per il Paese. L’Ance rappresenta una parte rilevante dell’economia italiana, in grado di fornire un contributo fondamentale alla realizzazione delle infrastrutture e alla sistemazione delle città. Su questo andremo decisi fino in fondo. Non ne faccio una questione politica ma, se non avremo risposte, con la primavera ci faremo sentire..

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