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Come le tv
trasformano
i politici
in caratteristi
di avanspettacolo

di VICTOR CIUFFA

n tutta la lunga storia della prima Repubblica, durata quasi 50 anni, nel mondo politico non si era mai assistito a una sceneggiata come quelle che gli italiani sono costretti a subire ininterrottamente, 24 ore su 24, in questa seconda Repubblica. La quale in una dozzina di anni, invece di migliorare, si è ridotta a uno spettacolo interpretato da una brutta copia delle filodrammatiche paesane. Cioè da compagnie composte da uomini politici neppure lontanamente paragonabili a quelle che un tempo erano le vedettes del più scalcinato genere teatrale, il varietà o avanspettacolo: assimilarli a quei caratteristi del dopoguerra sarebbe ingeneroso per questi, se ricordiamo che fecero scuola a talenti come Totò, Alberto Sordi, Nino Taranto, Macario e altri grandi.

Chi ha visto quelle particolari rappresentazioni teatrali, eliminate via via dalle varie formule di spettacolo susseguitesi nel tempo e soprattutto dalla televisione, conosce la semplicità, l’ingenuità, talvolta l’idiozia dei loro contenuti basati su battute piccanti, fulminei botta e risposta, pesanti doppi sensi, boccacceschi ammiccamenti, grossolana satira politica. Era logico che quella casareccia forma di svago teatrale diretta a un pubblico dai gusti non raffinati dovesse scomparire con il progressivo acculturamento delle masse, con l’aumento dei redditi familiari e individuali, con il diffondersi di nuove tecnologie e soprattutto con l’invadenza della tv.

A partire dai primi anni 50 cominciarono a demolire quel ridanciano varietà popolare gli spettacolini snobistici e intellettuali del Teatro dei Gobbi di Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli e Franca Valeri con i loro «Carnet des notes»; e quelli del trio Franco Parenti, Dario Fo, Giustino Durano, piccoli capolavori di satira intelligente e assolutamente priva di volgarità. Poi vennero le mini-pièces di elevato contenuto culturale firmate da grandi autori come Corrado Alvaro, Achille Campanile, Ennio Flaiano, Nicola Manzari, Vittorio Metz, Ercole Patti, Belisario Randone; e subito dopo, negli anni 60, l’esplosione dei cabaret, dal Cab 37 di Maurizio Costanzo al Bagaglino di Mario Castellacci e Pierfrancesco Pingitore, specializzati in satira politica.

Ma si trattava di testi ideati, redatti e sceneggiati da scrittori e giornalisti e interpretati da attori professionisti. Oggi la satira politica continua al Bagaglino e in televisione, ma quest’ultima l’ha involgarita, incattivita, strumentalizzata a favore di questa o quella parte politica, l’ha infarcita di cattivo gusto, banalità, gratuità e malafede. Ma la sceneggiata cui mi riferisco è anche un’altra: quella che le televisioni, e in particolare la Rai-Tv, fanno interpretare ai vari personaggi politici sostituendoli ad attori, autori, scrittori, giornalisti e registi, ossia ai professionisti di questo genere.

Ogni giorno vengono fatti apparire sugli schermi delle decine di emittenti televisive i rappresentanti dell’establishment politico della seconda Repubblica, intenti alle loro funzioni pubbliche o impegnati in attività del tutto private: quindi in notiziari, interviste, rubriche fisse, edizioni speciali, dibattiti, tavole rotonde, convegni, congressi di partito, assemblee di sindacali, assise di categorie, inaugurazioni, partecipazioni, cerimonie civili e militari, calamità naturali, funerali, viaggi in Italia e all’estero, meeting internazionali, aspetti familiari ecc.

In ognuna di queste occasioni, quindi in migliaia di trasmissioni televisive replicate da ogni emittente 5 o 6 volte nell’arco delle 24 ore e perfino per due o tre giorni di seguito, i politici vengono stimolati a rilasciare dichiarazioni, interviste, valutazioni. E già questo costituisce un operato anomalo e fuorviante, in quanto non aiuta affatto i telespettatori a farsi un’idea chiara dell’azione politica svolta o programmata, ma li frastorna e li confonde. L’effetto è aggravato quanto meno da tre fattori: in concorrenza tra loro, tutti i mezzi di comunicazione si ritengono in dovere di replicare le informazioni già diffuse dagli altri; quelli che si ispirano a partiti e a esponenti avversari al politico di scena, hanno interesse a suscitare l’immediato intervento di questi ultimi; ma anche senza essere sollecitati, gli avversari rispondono, replicano, controbattono, commentano a proprio vantaggio le dichiarazioni del personaggio che ha parlato.

Questo quadro si aggrava nelle trasmissioni basate sulla partecipazione di più interlocutori rappresentanti partiti contrapposti e giornali di partito. Ai tempi della prima Repubblica si riteneva che una maggiore apertura e attenzione della televisione ai problemi di attualità avrebbe avvicinato il Paese alla classe politica, all’epoca abituata a procedure piuttosto misteriose, incomprensibili e inaccessibili per il comune cittadino. Nella seconda Repubblica, complice il progresso tecnologico nel campo della comunicazione, sembra che i cittadini siano molto più informati di un tempo: in realtà sono bombardati da affermazioni, enunciazioni, pareri contrapposti sullo stesso tema e soprattutto da battute, botte e risposte, frizzi, sarcasmi e vario armamentario da avanpettacolo.

Dovrebbero essere più al corrente dei retroscena della politica, dei poteri occulti che la influenzano, degli scopi e degli effetti delle singole iniziative legislative. Ma non è così: finiscono per essere disorientati dalla valanga di interventi dei protagonisti che si accavallano e si contrappongono, creati e amplificati dalle tv. Perché nelle tv e dalle tv i politici non vengono messi in grado di approfondire i temi sul tappeto, anzi ne sono distratti ed ostacolati; a fini di spettacolo, di audience e di incassi pubblicitari, vengono solo aizzati, come nelle lotte clandestine di cani e galli, ad aggredirsi a colpi di battute e controbattute, di botte e risposte ad effetto, più o meno esatte, più o meno intelligenti, evitando di dare spiegazioni serie, responsabili, veritiere, sui problemi che assillano i cittadini.
Nella prima Repubblica stampa e tv si attenevano ai documenti ufficiali approvati, sia pure dopo contrasti interni, dai competenti organi istituzionali e politici; oggi ogni politico viene trasformato dalla tv in un caratterista da avanspettacolo, in un gladiatore aizzato a trafiggere l’avversario con il gladio del sarcasmo, dello scherno, della ridicolizzazione. I politici se rendono conto? Gli elettori cominciano a farlo.

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