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LAVORO

Aumenti salariali favoriti soltanto se stimolano
la produttività


del sen. TIZIANO TREU
presidente della Commissione Lavoro del Senato

Dopo anni di stasi
il Paese si è avviato
sulla via della ripresa
che va consolidata
non con politiche generiche
ma con provvedimenti
che premiano
la buona occupazione


a questione salariale è tornata al centro dell'attenzione. I salari italiani sono nella parte bassa della graduatoria europea e crescono poco. La politica dei redditi seguita al patto sociale del 1993, accompagnata da anni di crescita economica e poi da stagnazioni, ha frenato la dinamica retributiva: è da allora che questa fatica a tenere il passo con l'inflazione. Gli addetti ai lavori lo sanno bene. La novità sta nel fatto che la denuncia ora non viene più solo dai sindacati e dalla sinistra politica, ma dal governatore della Banca d'Italia; ed è ripresa dalla stessa voce della Chiesa cattolica. Le retribuzioni, oltre ad essere basse in generale, sono distribuite in modo diseguale. In particolare sono diminuiti negli ultimi anni i bassi salari di ingresso dei giovani.


Secondo la Banca d'Italia, c'è stato un peggioramento relativo delle retribuzioni medie degli uomini tra i 19 e i 30 anni e di quelli tra i 31 e i 60 anni: i primi guadagnavano il 20 per cento in meno dei secondi alla fine degli anni 80, mentre nel 2005 guadagnavano il 35 per cento in meno. Un'indagine su dati dell’Inps mostra che i salari iniziali dei neoassunti sono diminuiti, in termini reali, di circa l'11 per cento tra il 1992 e il 2002. Si riscontra una netta diminuzione, tra il 2001 e il 2005, dei guadagni reali dei laureati con esperienza di 1-2 e di 3-5 anni: rispettivamente del 9 e del 15 per cento. Anche per i diplomati con la stessa esperienza si registra una diminuzione, anche se più contenuta. Inoltre si riscontrano un loro frequente inquadramento in attività non consone al grado d'istruzione raggiunto e un debole vantaggio retributivo per chi possiede un elevato grado di formazione.
Questa situazione è particolarmente grave perché deprime gli investimenti nell’istruzione, che vengono poco remunerati. L'attenzione al tema è ulteriormente sollecitata dalla proposte delle tre Confederazioni sindacali di ridurre le tasse sui salari per aumentare il netto in busta paga. Si tratta di fatti nuovi che possono vivacizzare un dibattito finora trascurato o confinato in circoli di esperti. Ma il senso delle denunce e quindi delle possibili risposte si presta ad equivoci, in entrambi i versanti: quelli dell'aumento dei salari e della riduzione delle tasse. Se non si chiariscono insieme questi due aspetti, gli equivoci rischiano di inquinare la questione.

Le basse retribuzioni non si correggono aumentando le richieste di miglioramenti salariali nelle piattaforme dei contratti, che poi si trascinano per anni. E non si correggono così neppure le disuguaglianze nella distribuzione del reddito, che sono molto cresciute nell'ultimo periodo fino a fare dell'Italia uno dei Paesi più diseguali d'Europa. La correzione delle disuguaglianze è un compito enorme che richiede misure di welfare attivo e non assistenziale, e un impegno di tutta la politica economica rivolto alla promozione delle opportunità e dei meriti. Le debolezze retributive si combattono alle radici, che sono almeno due: la bassa produttività del nostro sistema economico; una struttura contrattuale rigida, troppo centrata sul contratto collettivo nazionale che lega la dinamica retributiva al «vagone più lento del convoglio», cioè alle imprese e ai settori meno competitivi dell'economia (ma nello stesso tempo spesso le comprime).
Su entrambi questi punti i progressi del nostro Paese sono troppo lenti. Gli investimenti privati e gli incentivi pubblici alla ricerca e all'innovazione sono ancora scarsi; le agevolazioni contributive a favore dei salari contrattati a livello decentrato, introdotte dal Governo, costituiscono uno stimolo utile, ma appena avviato; e la contrattazione aziendale stenta a decollare. Questo ritardo è stato messo in mora dalle iniziative di imprenditori di successo dirette ad offrire unilateralmente ai dipendenti consistenti aumenti retributivi.

Anche se presentati come anticipi di rinnovi contrattuali, gli aumenti indicano provocatoriamente la centralità dell'iniziativa aziendale nel determinare le dinamiche retributive. Se il sindacato non reagirà ridando spazio alla contrattazione decentrata e alle retribuzioni legate alla produttività, le iniziative unilaterali si ripeteranno e le relazioni industriali continueranno a perdere il controllo dei pezzi più importanti e vitali del sistema. Un legame virtuoso fra salari e produttività si può realizzare solo in azienda: e solo una contrattazione che sappia stimolarlo può dare un contributo sia a una migliore distribuzione del reddito sia all'innovazione produttiva.
La proposta sindacale di ridurre le tasse sul lavoro dipendente costituisce un'altra provocazione utile, ma è tale solo se combinata con lo sviluppo della contrattazione dei salari di produttività, cioè se si concentra su questa parte della retribuzione e serve ad aumentare il peso relativo sulla retribuzione totale. Uno sconto fiscale indifferenziato per tutti gli incrementi salariali sarebbe non solo molto costoso ma anche di dubbia giustificazione. Non si vede perché gli aumenti retributivi dovrebbero avere un trattamento privilegiato rispetto al resto del salario e agli altri redditi, se non rivestono un particolare valore di premio e stimolo della produttività.

È essenziale finalizzare bene gli incentivi fiscali agli aumenti retributivi, e non annegarli in richieste indistinte. La riduzione delle tasse sui salari di produttività non risolve il problema generale dell’adeguatezza dell'imposizione fiscale sui redditi e del peso eccessivo che questa carica sui redditi medi, specie di lavoro. L'obiettivo di ridurre la pressione fiscale è fissato nella Legge finanziaria per il 2008, che si impegna a distribuire a questo fine le risorse acquisibili nei prossimi mesi. La Finanziaria segnala, in particolare, l’opportunità di aumentare le detrazioni per i redditi di lavoro. Si tratta di valutare la priorità dell'intervento. Ribadisco che mi sembra prioritario concentrare le risorse per incentivare le retribuzioni variabili legate al risultato, e quindi per stimolare la produttività.
Provvedimenti specifici andrebbero previsti per i bassi salari che riguardano soprattutto giovani e lavoratori precari, diretti in particolare a istituire un salario minimo legale, secondo quanto previsto in altri Paesi europei. Va rafforzato l'impegno per la parità salariale fra uomini e donne. Nonostante la legge sulla parità, le discriminazioni in Italia sono fra le più alte in Europa. Altre misure, infine, sono richieste per sostenere il reddito familiare, discutendone le possibili modalità: unificazione di assegni per il nucleo familiare, detrazioni di imposta, credito di imposta per la cura dei figli alle donne che lavorano o altro.

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