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BENIAMINO QUINTIERI:

SHANGHAI, UN'OCCASIONE
PER L'ECONOMIA ITALIANA

a cura di
SERENA PURARELLI


Beniamino Quintieri,
commissario straordinario
per la partecipazione italiana
all’Expo Universale di Shanghai 2010


«L’Italia può dire
molto all’Expo Universale
di Shanghai del 2010:
può mettere in campo
caratteristiche che vanno
dalla tradizione culturale
all’arte, alla storia,
all’offerta tecnologica
e della conoscenza.
Cercheremo di attuare
una promozione
articolata e di svolgere
un fitto programma
di eventi commerciali,
seminariali, artistici
e forse anche sportivi»


e Esposizioni Universali sono gallerie delle ispirazioni e dei pensieri umani. Dal 1851, quando si tenne la Grande Mostra delle Industrie di Tutte le Nazioni, le Esposizioni Universali hanno acquisito una crescente rilevanza, come grandi occasioni di scambi economici, scientifici, tecnologici e culturali», recita il sito ufficiale dell’Expo Universale che si svolgerà a Shanghai dal 1 maggio al 31 ottobre 2010, lungo il fiume Huangpu. «Una facile previsione indica che sarà l’evento espositivo più importante della storia, in una città che cresce vertiginosamente anno dopo anno e probabilmente nel 2010 sarà la capitale del mondo. 200 Paesi partecipanti, 70 milioni di visitatori, in gran parte cinesi, secondo le prime stime per difetto e non certo per eccesso», esordisce il professor Beniamino Quintieri, commissario generale del Governo per la partecipazione italiana all’Expo.

Nominato nel luglio scorso dal ministro degli Esteri Massimo D’Alema, di concerto con i ministri Tommaso Padoa Schioppa ed Emma Bonino, Quintieri si è lanciato con entusiasmo in questa nuova avventura professionale, una vera e propria sfida alle lungaggini del nostro Paese. «Calabrese di Cosenza, come tanti anzi come troppi», dopo la laurea in Economia alla Sapienza di Roma ha studiato nella London School of Economics e nell’University College di Londra, ricoprendo numerosi incarichi universitari e istituzionali. Ora è professore ordinario nell’Università di Roma Tor Vergata, insegna alla Luiss Guido Carli, presiede la Fondazione Manlio Masi, Osservatorio nazionale per l’internazionalizzazione e gli scambi e il Cins, organizzazione non governativa per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, e dal 2001 al 2005 è stato anche presidente dell’Ice, Istituto per il commercio estero, e direttore del Ceis di Tor Vergata. È esperto economico del Cnel e fondatore e responsabile nazionale del gruppo di studiosi italiani di economia internazionale del Cnr.

Domanda. Perché un commissario per un evento espositivo? Quali sono i meccanismi di un’Esposizione Universale e qual è il suo progetto operativo?
Risposta. Si nomina un commissario per affrontare eventi o temi particolari; nel caso specifico il compito affidatomi consiste nell’organizzazione e nel coordinamento della presenza italiana nell’Expo di Shanghai del 2010. Un lavoro lungo e impegnativo, perché vi sono molte cose da fare e i tempi sono molto più ristretti di quanto si creda. In Italia ci si meraviglia che si sia già avviata quest’attività mentre la Cina lamenta un certo ritardo del nostro Paese. Nel settembre 2006 Romano Prodi, nel corso della propria missione in quel Paese, ha visitato il sito dell’Expo, ne ha incontrato gli organizzatori e, al rientro, avendo colto la straordinaria rilevanza dell’evento, in una lettera al primo ministro cinese ha garantito una presenza dell’Italia ai massimi livelli. Quindi è partita la macchina e anche assai rapidamente ci si è resi conto che le cifre stanziate con la Finanziaria 2007 non erano adeguate rispetto ai compiti affidati al Commissariato.

D. Cosa deve fare l’Italia?
R. Realizzare un padiglione di circa 6 mila metri quadrati, non semplicemente allestirlo come accade in altre esposizioni: questo fa lievitare di molto i costi. Inoltre gli organizzatori hanno grandi aspettative e chiedono che ogni Paese faccia ogni sforzo per presentare progetti che abbiano caratteristiche architettoniche adeguate anche in tema di eco-compatibilità, scatenando una sorta di gara per presentare il padiglione più interessante, innovativo, tecnologico. Alcuni Paesi sono stati più celeri di noi e hanno già presentato dei progetti, mentre noi abbiamo cominciato da poco e abbiamo incontrato difficoltà legate anche alle rigidità del nostro sistema giuridico in tema per esempio di appalti e bandi. Ci stiamo comunque rapidamente organizzando e stiamo lanciando un concorso di idee per il padiglione. Entro i primi mesi dell’anno speriamo di effettuare la scelta, da concertare con i cinesi perché costruiremo in casa loro e vogliono avere l’ultima parola. Bandiremo una gara europea e quel che conta è che il progetto sia all’altezza della tradizione degli architetti italiani, molto apprezzata in Cina. Ad esempio in Spagna è risultato vincitore il progetto dell’architetto italiana Benedetta Tagliabue.

D. Un livello di partecipazione più alto significa una spesa più elevata?
R. Questo caso costituisce una novità per il nostro Paese perché, non dovremo solamente realizzare l’allestimento del padiglione messo a disposizione dall’ente organizzatore, ma dovremo costruirlo interamente su un terreno che ci è stato assegnato e con caratteristiche precise e prestabilite a cui attenersi. Dunque cambia radicalmente il tipo di impegno, sia organizzativo che finanziario. Non spetta a me indicare le somme necessarie, e la cifra in bilancio è stata definita nella Finanziaria. Ci aspettiamo anche un grande impegno da banche e privati, tenuto conto del fatto che l’Expo rappresenterà una vetrina eccezionale per il Paese. Questo anche perché i cinesi si riservano di «salvare» una decina di padiglioni, smontandoli e ricostruendoli in scala ridotta in un’area vicina, sempre dell’Expo.

D. Dove può arrivare l’Italia sfruttando quest’occasione?
R. Il nostro padiglione potrebbe diventare un Palazzo Italia permanente, da destinare ad eventi culturali e commerciali, nel cuore di Shanghai, e questo spiega ulteriormente l’importanza dell’impegno, anche finanziario, che l’Italia si appresta ad affrontare. Ogni Expo Universale è importante, ma quella del 2010 sarà un evento senza precedenti, un centro di attrazione notevole per un numero di visitatori straordinario, più del doppio dei visitatori dell’Expo del 2005 tenuta ad Aichi in Giappone, che ne ha avuti 30 milioni, pressappoco la stessa cifra prevista a Milano in caso di assegnazione dell’Expo del 2015. Per i cinesi è un evento importantissimo e gli organizzatori si stanno impegnando sia all’estero che nel loro Paese per far sì che decine di milioni di loro possano visitare l’Expo. Una tale vetrina per sei mesi rappresenta, dunque, un’occasione che l’Italia e le imprese italiane non possono sprecare.

D. Shanghai più delle Olimpiadi?
R. Naturalmente l’evento sportivo attrae maggiormente il pubblico internazionale, ma dal punto di vista commerciale l’Expo è forse più importante. I cinesi hanno previsto, per adesso, un investimento di due miliardi di euro. Il sito prescelto è situato proprio al centro di Shanghai, in un’area industriale dismessa di 310 ettari lungo il fiume Huangpu, da dove in pochi mesi sono state spostate 18 mila famiglie, trasferite in nuovi alloggi costruiti in periferia a tempo di record.

D. Sono grandi numeri per un Paese immenso che si appresta ad affrontare megaeventi. Ma a che punto sono le accese polemiche esistenti, che vertono in particolare sul tema dell’ambiente?
R. «Better city better life» è il tema dell’Expo con il quale si intende porre al centro dell’attenzione la città e la sua vivibilità. Il problema è mondiale, considerata l’impressionante progressione dei fenomeni di urbanizzazione del pianeta. Nel 1800 solo il 2 per cento della popolazione globale viveva in città, nel 1950 la percentuale era salita al 29 e nel 2000 ha raggiunto il 50 per cento. Secondo le stime delle Nazioni Unite la popolazione urbana mondiale raggiungerà il 55 per cento nel 2010, e il 60 nel 2030. Dal 1950 a oggi la popolazione mondiale è quadruplicata, quindi in termini di numeri queste percentuali andrebbero moltiplicate per quattro. Le metropoli che superavano i 10 milioni di abitanti nel 1950 erano solo due, oggi sono 20, per la maggior parte in Paesi in via di sviluppo; sono spesso cresciute in maniera disordinata e la loro vivibilità è piuttosto scarsa. I numeri sono ancora più impressionanti in Cina, dove circa la metà del miliardo 300 milioni di cinesi vive nelle 668 città, 40 delle quali hanno più di un milione di abitanti e 50 più di 500 mila. Una tale densità abitativa pone di fronte a difficoltà di ogni genere, dalla limitazione degli spazi e delle risorse ai conflitti culturali e al degrado ambientale; e una crescita senza strategia e senza effettivo controllo può portare a un’ulteriore erosione della qualità della vita. Un tema importante per tutti, che i cinesi hanno voluto rappresentare con un emblema che simbolizza l’immensa famiglia umana coniugando l’immagine stilizzata di tre persone, io, tu, lui, con l’ideogramma che significa il mondo.

D. Quale contributo al tema può dare un Paese senza megalopoli come l’Italia, dove ad eccezione di Roma e Milano non si supera il milione di abitanti?
R. L’Italia può dire molto, più di quanto non possa dire su altri temi. La nostra è una storia di città, ognuna con una propria cultura, e la vivibilità della provincia è proverbiale, non teme confronti. Abbiamo tradizioni storiche e culturali di pacifica convivenza e tecnologie di avanguardia in campo ambientale, della sicurezza, della conservazione del patrimonio culturale, dei restauri. Quest’ultimo è un tema che comincia a interessare i cinesi che si sono resi conto di aver distrutto troppo, e troppo rapidamente. Dunque possiamo mettere in campo queste caratteristiche che vanno dalla tradizione culturale all’arte, alla storia, inserendole nell’offerta tecnologica e di conoscenza. Con questi tassi di urbanizzazione e con questa domanda di ambiente, sicurezza, vivibilità, l’occasione per le imprese italiane è certamente notevole.

D. In una prospettiva così complessa e articolata, come si configura la partecipazione dell’Italia con la sua miriade di piccole imprese?
R. Questo è il lavoro che ci attende per i prossimi tre anni. Certamente contiamo in una presenza delle regioni più ordinata, con il proposito di evitare le esperienze più o meno inutili che ancora le Regioni ripetono in Cina. Auspichiamo una loro presenza importante che dovrà però essere incanalata rigidamente nei temi dell’Expo, dal momento che non si tratta di una Fiera commerciale. Con i suoi 150 anni di storia l’Esposizione Universale può essere considerata l’Olimpiade dell’economia, delle scienze e della tecnologia; è un’occasione per mostrare le proprie conquiste in ogni campo e migliorare le relazioni internazionali attraverso lo scambio di idee. Le nostre regioni hanno grandi tradizioni di vita e di cultura cittadina e possono dare un contributo notevole. Per parte nostra cercheremo di utilizzare l’Expo per attuare una promozione più articolata, un po’ più alta, ad esempio in tema di restauri e di ambiente, ed è evidente che le imprese partecipanti saranno quelle che in questi settori possono dire qualcosa. Per i sei mesi dell’Expo ci proponiamo anche un fitto programma di eventi di cui auspichiamo che l’Ice possa essere capofila con eventi commerciali, seminariali, artistici e probabilmente anche qualche evento sportivo.

D. In che modo i Ministeri possono contribuire a questo scambio per così dire planetario?
R. Noi abbiamo cominciato solo da tre mesi e la nostra prima preoccupazione, oltre a quelle di avviare i primi contatti e di aprire un ufficio in Italia e uno a Shanghai, è stata ed è quella di definire il progetto del Padiglione e avviarne la realizzazione. La presenza dei Ministeri non dovrà essere burocratica, ma dovrà inserirsi in un progetto che abbia una propria armonia e consistenza. Ci sono Ministeri che possono offrire molto; quello del Commercio Internazionale e l’Ice potranno coordinare la parte promozionale; il ministro Emma Bonino intende avviare un programma speciale per l’Expo. Il Ministero dell’Ambiente è già presente in Cina con uffici e attività e, visto il tema, avrà certamente un ruolo chiave nella valorizzazione dell’offerta tecnologica italiana. Inoltre sarà determinante il contributo che potrà venire dal Ministero dei Beni culturali e quanto riguarderà la promozione turistica. Quello che si richiede è, soprattutto, uno scambio di progetti e attività che l’esperienza ha dimostrato utili.

D. Con riferimento al suo passato incarico, quali sono i migliori risultati della sua gestione dell’Ice, di cui è stato presidente dal 2001 al 2005?
R. È stata un’esperienza particolarmente ricca, che mi ha permesso di approfondire i problemi direttamente oltre che come studioso, ma sono stati anche anni molto difficili, cominciati a ridosso del crollo delle Torri gemelle di New York, di recessione e di grandi cambiamenti. Inizialmente l’emergere prepotente della concorrenza di Paesi come la Cina e l’India e il calo del nostro export hanno provocato quasi una rivolta da parte degli imprenditori che chiedevano di arginare questa ondata. Ma abbiamo anche visto atteggiamenti più costruttivi, gli stessi imprenditori che si sono rimboccati le maniche e avviato ristrutturazioni di cui si cominciano a vedere i primi risultati. Quello che più mi riempie di orgoglio è certamente l’aver dato il via in maniera sistematica alle missioni congiunte tra l’Ice, la Confindustria e l’Abi, che sono ormai diventate un modus operandi abituale nella promozione del Sistema Italia. Un grande aiuto è arrivato dalla sensibilità e dall’entusiasmo del presidente Carlo Azeglio Ciampi, le cui missioni all’estero si sono caratterizzate per un presenza sempre crescente di imprenditori fino ad arrivare alle missioni in Cina e in India con centinaia di operatori al seguito. Fondamentale è stato poi l’arrivo al vertice della Confindustria di Luca di Montezemolo, la cui presidenza si è caratterizzata per una forte vocazione internazionale. Oltre a mantenere per sé l’interim della vicepresidenza per l’internazionalizzazione, Montezemolo si è avvalso delle competenze dell’ambasciatore Vincenzo Petrone e di Carlo Calenda.

D. C’è anche qualche rammarico?
R. Rimane la necessità di ammodernamento delle nostre istituzioni, soprattutto nel campo dell’internazionalizzazione. Il mondo cambia velocemente e per confrontarsi con la concorrenza occorre adottare decisioni veloci e avere personale adeguato. Invece nelle nostre istituzioni tutto è reso più lento e difficile da un insieme eccessivo di regole che generano rigidità. Tanto per fare un esempio, chiudere un ufficio all’estero può richiedere 4 anni perché la concertazione tra un gran numero di Ministeri rende il processo decisionale particolarmente complicato.

D. Declino o cambiamento dell’Italia è un tema che ricorre spesso nei dibattiti. Qual è il suo punto di vista?
R. Un tema di moda, soprattutto dopo quanto ha scritto il New York Times, che non ha fatto che ripetere quello che noi diciamo di noi stessi. Le deludenti performance dei primi anni del nuovo secolo avevano generato pessimismo, facendo pensare a un Paese avviato verso un ineluttabile declino. Oggi la ripresa delle esportazioni ha generato maggiore ottimismo. Occorre tuttavia evitare il pericolo di passare dall’abbattimento all’esaltazione come troppo spesso avviene nel nostro Paese. Certamente le nostre imprese hanno avuto una capacità di reazione anche superiore alle aspettative. Occorre moderare gli entusiasmi perché le fasi cicliche possono ingannare. Bisogna vedere come ce la caveremo di fronte al previsto rallentamento dell’economia europea, che assorbe la maggior parte delle nostre esportazioni. Abbiamo ancora i problemi della conquista dei mercati dei Paesi emergenti, dell’internazionalizzazione delle imprese e della specializzazione. La reazione delle nostre imprese è stata sorprendente, soprattutto nei settori più colpiti: sono diminuite le quantità esportate ma aumentati i valori. C’è stato un ulteriore arroccamento nei settori tradizionali che per ora ci permette, grazie al miglioramento della qualità, di sottrarci alla concorrenza dei Paesi emergenti. Ma non so quanto durerà perché al di là di questa capacità di reazione dimostrata, restano irrisolti i nodi strutturali.

D. Quali sono, in particolare?
R. La specializzazione ci espone troppo alla concorrenza internazionale, e c’è ancora una sottovalutazione dei settori tecnologici e dei servizi, in particolare nel turismo. Dovrebbe essere la nostra carta vincente e invece perdiamo posizioni ogni anno, anche per l’inadeguatezza dei servizi collaterali, dei trasporti, della logistica. Ma soprattutto siamo di fronte a un declino delle istituzioni, vecchie e irrigidite, che vanificano gli sforzi del mondo privato. E abbiamo un’alta pressione fiscale e una spesa pubblica inefficiente: o si riduce l’una o si ristruttura la spesa mettendola al servizio della collettività, in termini sia di servizi sia di investimenti strutturali.

D. Non è quindi ottimista?
R. Non sono pessimista ma sono certamente preoccupato. Finora ce la siamo sempre cavata grazie anche a fattori esterni, al Mercato comune, al Serpente monetario, all’euro senza il quale avremmo un’inflazione a due cifre. All’estero si sorprendono di questa nostra capacità, ma alla lunga credo proprio che occorra qualcosa di più, un ammodernamento generale delle istituzioni, dalla scuola all’università, alla giustizia che costituisce un fattore frenante, alla pubblica amministrazione. Bisogna andare verso una deregolamentazione del sistema, complesso e confuso.

D. Nella precedente legislatura il Ministero per il Commercio estero era stato inglobato in quello delle Attività produttive, e negli anni si è parlato spesso di accorpamento al Ministero degli Esteri. Serve davvero una riforma?
R. Non credo che esista una soluzione a priori migliore dell’altra, tutto dipende sempre da come si realizzano gli interventi. Non è importante che il Ministero mantenga o meno l’autonomia; quello che conta, per l’internazionalizzazione, è avere istituzioni al passo con i tempi. Invece tutto è basato su processi concertativi, tavoli, comitati per qualunque problema e questo impedisce scelte rapide e selettive.

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