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UN «QUASI DIARIO»

Luigi Mazzella,
ovvero dall’impegno
al distacco

 


Il giudice costituzionale Luigi Mazzella


«Se al Senato è
successo il pasticciaccio
che ben sappiamo,
lo si deve al suggerimento
dell’allora presidente
Ciampi, purtroppo
accettato acriticamente
da un frettoloso
centrodestra,
di ricondurre, a dispetto
del buon senso, su base
regionale il premio
di maggioranza
che era stato previsto
su base nazionale»


on si sa se Luigi Mazzella, ex avvocato generale dello Stato ed ex ministro della Funzione pubblica, oggi giudice costituzionale, sia in realtà un tecnico o un politico, oppure un tecnico con la segreta passione e vocazione per la politica. Quel che è certo è che, dopo essere stato un grand commis dello Stato, ora fa parte della Suprema Corte di difensori della prima e fondamentale Legge di tutti gli italiani, la Costituzione. Come per tutti i giudici costituzionali, non può e non deve emergere una sua personale propensione per una parte politica, anche se in passato non sono mancati esempi di sentenze costituzionali dirette a fornire sottintese ma precise indicazioni di natura politica, quanto meno per superare situazioni di grave difficoltà ed incertezze per il Paese.

Di Mazzella si può dire con estrema sicurezza che, oltreché esperto del diritto, è un attentissimo osservatore della politica. Ed anche per chi ben conosce il suo antico hobby per il cinema o meglio per la critica cinematografica, non è nuova questa passione per la politica, della quale ha ultimamente offerto una singolare anche se «riservata» dimostrazione, la pubblicazione di un volume intitolato «Dall’impegno al distacco. Quasi un diario». «Riservata» in due sensi: in primo luogo perché si tratta, più che di un diario, di riflessioni da lui compiute via via su avvenimenti e personaggi politici; in secondo luogo perché il volume non è destinato al pubblico ma è rigorosamente «fuori commercio» e pertanto è destinato a un ristretto numero di amici; come è precisato nella presentazione, si tratta di una «lettera diretta ai suoi amici più cari».

Più dettagliatamente si tratta di 41 lettere, quanti sono i capitoli del libro. Il primo dei quali, neanche a dirlo, è dedicato all’altro grande hobby dell’autore e si intitola «Il cinema italiano dall’impegno all’intimismo»; trattando anche del periodo prebellico, è insieme una lezione di cinema e di politica. Ma ecco che subito al terzo capitolo, alla 30esima delle 240 pagine circa del volume, balza in primo piano la politica, per di più recentissima, di questi mesi e giorni. Il titolo, «La frittata è servita! La ricetta è dei poteri forti», individua immediatamente, in due lapidarie righe e contro le illusioni delle residue forze della vera sinistra esistenti in Italia, il vero vincitore delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006, cioè i «poteri forti», dei quali più avanti fornisce precisi identikit.

Capitolo per capitolo, ossia lettera per lettera ai più cari amici, Mazzella descrive, commenta e spiega i vari passi compiuti dal Governo, dal Parlamento, dalle forze politiche, dai leader, con lucidità, chiarezza, brevità, acume, onestà. E ovviamente anche coraggio, perché oggi a chi desidera non fare comizi e panegirici ma semplicemente dire la verità, occorre anche molto coraggio. Mazzella dimostra di averlo parlando del sistema elettorale varato dal Governo Berlusconi di cui egli come tecnico ha fatto parte. Quel sistema, afferma, «alla Camera ha funzionato a meraviglia. Prodi s’è ritrovato una maggioranza cospicua per effetto del marchingegno previsto da quella legge. Se al Senato è venuto fuori il pasticciaccio che ben sappiamo, lo si deve solo al suggerimento dell’allora capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, purtroppo accettato acriticamente da un frettoloso centrodestra, di ricondurre, contro ogni logica e a dispetto del buon senso, su base regionale il premio di maggioranza che giustamente era stato previsto su base nazionale».

Mazzella si inoltra in un campo in cui è particolarmente esperto dal momento che, oltre ad aver percorso tutta la carriera nell’Avvocatura dello Stato fino a presiederla, è stato chiamato a far parte proprio della Corte costituzionale. «Il rilievo di una presunta incostituzionalità del testo di legge elaborato dal Governo allora in carica non stava né in cielo e né in terra–scrive nel capitolo ‘Il Prodi ritrovato’–. Lo staff presidenziale aveva preso un grosso abbaglio (e non era il primo), ma Berlusconi, stanco a suo dire dell’ennesima inframmettenza presidenziale, non se l’era sentita di insistere e il risultato di un premio di maggioranza su base regionale aveva portato all’aberrazione che è sotto i nostri occhi».

E trae questa conclusione: «Naturalmente, dato il divario di voti presi dalle due coalizioni contrapposte alla Camera e al Senato, con buona probabilità con un premio di maggioranza su scala nazionale il Senato sarebbe andato al centrodestra, ma questo non sarebbe stato il peggiore dei possibili mali, perché all’attuale ingovernabilità subdola e strisciante se ne sarebbe contrapposta una immediata, chiara, palese e decisamente insostenibile». Quanto al futuro, a parere di Mazzella, se il Partito Democratico rifiuta una politica di grande intesa dei moderati finalizzata al «taglio delle ali» e insiste nell’ipotesi bipolare quale si è venuta configurando in modo così aberrante, non v’è ragione per il centrodestra di pensare a un meccanismo elettorale idoneo a favorire larghe intese moderate: basta continuare con l’attuale «muro contro muro» in Senato, con qualche ulteriore accorgimento - soglia di sbarramento, voto di preferenza -, ossia con quanto si era pensato di fare prima dell’intervento di Ciampi. «Con il vento che tira nulla potrebbe impedire al centrodestra di vincere anche alla grande, addirittura senza l’Udc»

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