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Terrorismo 1

Il nuovo reato
di arruolamento
di persone
per atti di violenza

Terrorismo 2


Addestramento nell’uso delle armi
e degli esplosivi

di Antonio Marini

 



Il nuovo reato di arruolamento di persone per atti
di violenza

La Convenzione di Varsavia del 16 maggio 2005 sulla prevenzione del terrorismo internazionale ha imposto agli Stati firmatari, tra cui l’Italia, l’obbligo di punire con pene «efficaci, proporzionate e dissuasive» non solo i delitti di terrorismo in senso stretto, ma anche quelle condotte che risultano funzionali e prodromiche alla realizzazione degli atti terroristici, in particolare il reclutamento delle nuove leve e l’addestramento all’uso delle armi e degli esplosivi. In ottemperanza a tale obbligo, con la nuova legge antiterrorismo del 27 luglio 2005 sono state introdotte nel Codice penale due nuove fattispecie di reato, riguardanti l’una l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, l’altra l’addestramento ad attività terroristiche.

La prima è contemplata nell’articolo 270 quater, il quale stabilisce che chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni. Come si evince dalla clausola di riserva, tale norma trova applicazione solo quando la condotta criminosa non configura la fattispecie generale dell’associazione terroristica o eversiva prevista dall’articolo 270 bis.
L’introduzione di una figura autonoma di reato trova giustificazione nella necessità di colpire quelle condotte individuali che l’esperienza giurisprudenziale aveva considerato rivelatrici di una realtà terroristica, indipendentemente dall’adesione a un’organizzazione e dalla sussistenza di un vincolo associativo. Sotto questo aspetto la scelta operata dal legislatore si è rivelata oltremodo opportuna, viste anche le difficoltà che in passato si sono incontrate nella repressione del fenomeno del reclutamento in territorio italiano di gruppi di militanti destinati a sostenere la Jihad nei teatri di guerra all’estero.

Difficoltà alle quali si è tentato di sopperire - senza successo - facendo ricorso ad altre figure di reato presenti nel nostro ordinamento, come quelle previste negli articoli 244 e 288 del Codice penale e 4 della legge 12 maggio 1995 n. 210, di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’uso, il finanziamento e l’istruzione di mercenari, adottata il 4 dicembre 1989 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
In realtà, l’articolo 244 (arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero) punisce la condotta di chiunque effettua arruolamenti o altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra. Tale elemento restringe l’ambito di operatività della norma incriminatrice in misura tale da renderla sicuramente inadeguata a reprimere le condotte di arruolamento di terroristi internazionali.

A sua volta l’articolo 288 (atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra) prevede soltanto l’ipotesi di arruolamento o armamento nel territorio dello Stato di cittadini perché militino al servizio o a favore dello straniero. Tale norma non può essere estesa, per il divieto di analogia in campo penale, all’arruolamento di stranieri, sia pure nel territorio dello Stato, per mandarli a combattere all’estero.

Quanto all’articolo 4 della legge 210 del 1995, che prevede l’ingaggio di mercenari sia per combattere in conflitti armati nel territorio di uno Stato estero, sia per partecipare ad azioni preordinate e violente contro l’ordine costituzionale o l’integrità territoriale di uno Stato estero, è stato giustamente osservato che tale norma, sebbene sia più aderente alle prescrizioni della Convenzione di Varsavia rispetto alle previsioni codicistiche, appare di scarsa applicabilità, in quanto la qualificazione del reclutato come mercenario richiede la prova della percezione di un corrispettivo economico o di altra utilità. Tale elemento, senza dubbio costitutivo del reato di reclutamento, non sempre si riscontra nell’ambito dell’arruolamento terroristico, anche se accanto agli incentivi politici e religiosi non mancano quelli economici, compresa l’assistenza finanziaria in favore delle famiglie dei caduti.

Pertanto, nessuna delle previgenti disposizioni in tema di arruolamento o di reclutamento appariva adeguata a contrastare tale fenomeno. La nuova norma colma così un vuoto legislativo, rendendo più efficace l’azione di contrasto contro il terrorismo, anche sotto il profilo giudiziario. Essa consente di perseguire anche la condotta dell’arruolatore isolato, cioè del reclutatore che agisce al di fuori di qualsiasi realtà associativa o organizzativa. Inoltre per la sussistenza del nuovo reato di arruolamento è indifferente il luogo dove vengano compiuti gli atti di violenza o di sabotaggio. È indifferente, cioè, che tali atti siano compiuti in Italia o all’estero, nei confronti di Stati nazionali o di istituzioni o organismi internazionali.

Resta aperto il problema della punibilità dell’arruolato. La nuova norma, infatti, punisce soltanto chi «arruola» e non anche chi «si arruola». Escluso che si tratti di una svista del legislatore, la dottrina prevalente tende a ritenere che si sia voluto circoscrivere la punibilità soltanto alla condotta di costituzione, equiparando l’arruolatore a coloro che promuovono, costituiscono, organizzano, dirigono o finanziano le associazioni di cui all’articolo 270 bis, tant’è che la pena prevista è identica. Con la conseguenza che l’arruolato, in quanto pienamente assimilato al partecipe di tali associazioni, è assoggettabile allo stesso trattamento sanzionatorio ad esso riservato, ferma restando la punibilità per la commissione dei reati-fine, ovvero dei reati per i quali è stato ingaggiato.



Addestramento nell’uso delle armi e degli esplosivi

Il nuovo delitto di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge 155 del 2005 per rendere punibile, in via autonoma rispetto all’appartenenza del reo a un’associazione terroristica, una condotta che viene considerata prodromica e funzionale alla realizzazione delle attività terroristiche. La scelta del legislatore di punire autonomamente l’attività di addestramento rispetto al reato associativo è motivata dalla volontà di ottenere una notevole anticipazione della soglia di rilevanza penale ed è giustificata dall’elevato e concreto allarme sociale derivante da questo tipo di comportamento.

La nuova fattispecie delittuosa è prevista nell’articolo 270 quinquies, il quale punisce con la reclusione da cinque a dieci anni la condotta di chi, al di fuori dei casi di cui all’articolo 270 bis, con finalità di terrorismo anche internazionale addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza e di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata.

Come si vede, a differenza dell’articolo 270 quater che punisce soltanto la condotta posta in essere dall’arruolatore, tale norma equipara invece sotto il profilo sanzionatorio la condotta dell’addestratore a quella dell’addestrato. Secondo alcuni, la stessa norma escluderebbe la punibilità di chi recepisce le istruzioni per la preparazione o per l’uso delle armi o degli altri mezzi o metodi di offesa. Tale peculiarità troverebbe la propria giustificazione non solo nella diversa pericolosità insita nei due diversi comportamenti relativi all’addestrare e al fornire istruzioni, ma anche nel diverso tipo di relazione che si instaura tra chi fornisce l’addestramento o l’istruzione e chi raccoglie tali insegnamenti. Nell’addestramento, infatti, si verificherebbe un contatto più stretto tra la persona che addestra e quella che è addestrata, poiché l’addestramento si configura come una serie ripetuta e costante di esercizi teorico-pratici, con compartecipazione di chi insegna e di chi apprende, volta a far acquisire all’addestrato la padronanza delle tecniche insegnate; mentre nel fornire istruzioni il rapporto tra «maestro» e «allievo» sarebbe meno stretto e avrebbe una connotazione molto più teorica rispetto a quella presente nel caso di addestramento.

Tale opinione non può essere condivisa. È vero che la norma distingue la condotta di addestramento da quella di istruzione, la prima risultando condotta qualificata rispetto alla seconda, configurata come alternativa e residuale; ma è anche vero che l’espressione «comunque», usata nel testo legislativo, finisce per equiparare le due condotte e conseguentemente le condotte di chi riceve l’addestramento e di chi recepisce le istruzioni per la preparazione o per l’uso delle armi. A tal riguardo è stato giustamente osservato che, in realtà, l’addestramento dei terroristi consiste proprio nel fornire loro particolari istruzioni, sicché quella di istruzione non è condotta diversa rispetto all’addestramento, rappresentandone anzi i più tipici contenuti.
Del resto l’articolo 7 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del terrorismo - adottata dal Comitato dei ministri dell’Unione europea il 3 maggio 2005 e sottoscritta dall’Italia a Varsavia il 13 giugno 2005 e in conseguenza della quale è stato introdotto nel nostro Codice penale il nuovo reato di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale -, identifica i due concetti definendo come condotta di addestramento al terrorismo quella di «fornire istruzioni per la preparazione o per l’uso di esplosivi, di armi da fuoco ovvero per metodi o tecniche speciali, con l’intento di commettere o di contribuire alla commissione di delitti di terrorismo, sapendo che le istruzioni fornite sono destinate ad essere utilizzate per tali scopi».

In questo contesto è opportuno ricordare che con la stessa legge antiterrorismo, che ha dato attuazione alla Convenzione di Varsavia, è stata introdotta un’ulteriore fattispecie delittuosa in tema di addestramento, inserendo l’articolo 2 bis nella legge 895 del 1967 che disciplina il controllo delle armi. Tale norma punisce con la reclusione da uno a sei anni chiunque, al di fuori dei casi consentiti da disposizioni di legge o di regolamento, addestri qualcuno o fornisca istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da guerra, di aggressivi chimici o di sostanze batteriologiche o di altri congegni micidiali.
Con tale norma si colpisce la condotta di addestramento o di fornitura di istruzioni indipendentemente dalla sussistenza della finalità terroristica. Nella stessa norma si precisa che l’addestramento e la fornitura di istruzioni alla preparazione e all’uso delle armi possono avvenire in qualsiasi forma, anche anonima o per via telematica. Si tratta di un’opportuna precisazione, alla luce delle smisurate possibilità offerte da internet nello scambio e nella diffusione di notizie, purtroppo già ampiamente sperimentato anche dai gruppi terroristici.

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