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ENRICO GARACI:

ISS, L’ISTITUTO
CHE MIGLIORA
E CONTROLLA
LA SANITÀ

a cura di
FRANCESCO PIPPI


Il Prof. Enrico Garaci,
presidente dell’Istituto
Superiore dI Sanità



«La presenza di due
‘anime’, quella della
ricerca e quella del
supporto al Servizio
sanitario nazionale,
rende l’Iss diverso sia
dagli altri enti di ricerca
italiani, sia dagli
analoghi Istituti presenti
negli altri Paesi; queste
anime però, lungi
all’essere separate,
si integrano: l’attività
di supporto può essere
efficace solo se fondata
su un’attività scientifica
e di ricerca
di alto livello»


ella bella pubblicazione edita nel 2004 per i settant’anni di vita dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), il presidente Enrico Garaci scrive: «Oggi come ieri l’Istituto è ancora luogo dove si fa ricerca d’eccellenza, destinata al bene e alla salute di tutti». Basterebbe già questo ad indicare il ruolo fondamentale svolto, nel panorama della ricerca italiana, dall’Istituto inaugurato il 21 aprile 1934, tre anni dopo la posa della prima pietra, con il nome di Istituto di sanità pubblica e per iniziativa del Governo italiano e della statunitense Rockefeller Foundation, co-finanziatrice paritetica dell’iniziativa.
Le benemerenze acquisite dall’Iss nel campo della ricerca sono numerose: nei suoi laboratori hanno lavorato, negli anni 40 e 50, premi Nobel come Ernst Chain, che vi studiava il metabolismo dei carboidrati e il meccanismo d’azione dell’insulina, o come Daniel Bovet, che con le sue ricerche sul curaro avrebbe cambiato il futuro dell’anestesiologia. Nello stesso Istituto sono stati messi a punto, a partire dagli anni 60, i fermentatori per fabbricare la penicillina e studiati i meccanismi d’azione delle molecole e della loro sintesi; si sono condotte ricerche sulle sostanze «nemiche» della malaria ed elaborati piani per la sua eliminazione; si sono controllati gli effetti del radio ecc. E, venendo all’oggi, si sono varcate le porte della biomedicina con gli studi sulle cellule staminali, con la messa a punto di vaccini per vecchi e nuovi virus, compreso quello dell’aids, con la ricerca di farmaci basati su profili genetici individuali.

Nella realtà l’Iss fa ancora di più: dopo la riforma del 2001 e l’entrata in vigore del nuovo Regolamento di organizzazione, l’Istituto non solo ha cambiato radicalmente il proprio stato giuridico, diventando un ente di diritto pubblico con una propria autonomia societaria (con presidente, consiglio d’amministrazione, direttore generale ecc.), scientifica e amministrativa; ma ha anche definito il proprio ruolo di principale organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale unendo, alle tradizionali funzioni di ricerca e sperimentazione, quelle di controllo, consulenza, documentazione e formazione in materia di salute pubblica. Il tutto sempre seguendo il filo sottile, ma resistente, di pensare e realizzare una ricerca che sia al servizio della clinica o, per usare le parole dell’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia, «che dai laboratori giunga direttamente alle sofferenze e ai bisogni dei malati in carne ed ossa».
Oggi l’Iss si articola in sette Dipartimenti (Ambiente e connessa Prevenzione primaria: Biologia cellulare e Neuroscienze; Ematologia; Oncologia e Medicina molecolare; Farmaco; Malattie infettive, parassitarie e immunomediate; Sanità alimentare e animale; Tecnologie e salute); e in due Centri nazionali (Epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute; Qualità degli alimenti e rischi alimentari), nei quali lavorano oltre 2 mila persone. Ed è presieduto, appunto, dal prof. Enrico Garaci, chiamato a questa carica proprio nel 2001 dopo l’avvento della riforma, e il cui mandato è stato recentemente confermato fino al 2011.

Primo presidente dell’Iss dopo una lunga teoria di dodici direttori generali succedutisi in quasi settant’anni e le cui foto campeggiano nella sala delle riunioni prospiciente la stanza del presidente, al piano terra della storica sede in Viale Regina Elena di fronte al Policlinico di Roma, Garaci racconta sia il punto in cui si trova oggi la ricerca italiana finalizzata alla salute, sia gli ambiti in cui l’Iss intende operare affinché la salute stessa dei cittadini migliori ulteriormente.

Domanda. L’Iss è oggi, nello stesso tempo, ente di ricerca e organismo di sostegno e controllo al servizio del Ministero della Salute. Si possono svolgere bene insieme due attività così diverse?
Risposta. La presenza di due «anime», quella della ricerca e quella del supporto al Servizio sanitario nazionale, rende l’Iss diverso tanto dagli altri enti di ricerca italiani, al cui comparto appartiene, quanto dagli analoghi Istituti presenti negli altri Paesi. Queste anime però, lungi dall’essere separate, si integrano perfettamente: l’attività di supporto può essere efficace solo se fondata su un’attività scientifica e di ricerca di alto livello.

D. Su quali dotazioni finanziarie conta l’Istituto?
R. Ogni anno lo Stato assegna, tramite la Legge finanziaria, una dotazione che per il 2007 è pari a circa 100 milioni di euro e che serve per le spese fisse e di personale. Ulteriori risorse finanziarie, per un ammontare quasi pari al precedente, vengono dalla capacità dell’Iss di attrarre, grazie alla qualità della propria ricerca, finanziamenti da organismi nazionali e internazionali, Unione europea, Ministeri nazionali ecc.; e da un’attività di trasferimento tecnologico della ricerca che promuove una consistente politica brevettuale.

D. Come sono inquadrate le 2.100 persone che operano nell’Istituto? E quanto guadagnano?
R. Oggi più di 1.400 sono assunte a tempo indeterminato, mentre le altre 700 sono legate da diverse forme contrattuali. Uno dei miei impegni è consistito, in questi anni, nell’ampliare progressivamente l’area del lavoro stabile, in quanto la risorsa umana rappresenta la principale ricchezza di un ente che voglia svolgere ricerca a livelli di eccellenza. Riguardo al trattamento economico, i ricercatori italiani continuano ad essere gravemente penalizzati rispetto a quelli degli altri Paesi europei.

D. Siamo ancora a quanto denunciò il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo messaggio di fine anno, il 31 dicembre 2006, raccontando di una giovane ricercatrice del Cnr di Napoli impegnata, per mille euro al mese, in un progetto avanzato di ingegneria genetica?
R. Purtroppo sì. I compensi previsti per i ricercatori in Italia costituiscono un fattore di scarsissima attrazione per intraprendere la professione. Solitamente si afferma che l’Italia continua a spendere poco in ricerca rispetto agli altri Paesi avanzati, ma occorre distinguere. È vero che la percentuale complessiva di spesa in ricerca e sviluppo rispetto al prodotto interno è pari all’1,1 per cento, cioè notevolmente al di sotto di quella dell’Europa dei 25, che è dell’1,81 per cento; degli Stati Uniti, 2,7 per cento; del Giappone, 3,15 e, in generale, della media dei Paesi Ocse, pari al 2,5. Ma è altrettanto vero che, nel nostro Paese la quota di ricerca e sviluppo finanziata dal Governo, rispetto al totale degli investimenti, è la più elevata tra i principali Paesi, mentre quella finanziata dall’industria è la più bassa.

D. Per quale motivo?
R. Probabilmente la struttura produttiva italiana, caratterizzata dalla preponderanza di piccole e medie imprese, penalizza settori, quali la ricerca, in cui il ritorno dell’investimento può apparire incerto ed è, comunque, differito nel tempo. Ma anche nelle poche grandi imprese operanti in Italia può essere prevalso, malgrado le ripetute dichiarazioni in senso contrario, l’idea che, invece di promuovere la crescita del sapere, fosse più semplice ed economico limitarsi a utilizzare l’innovazione prodotta altrove. Tuttavia negli ultimi anni qualcosa è cambiato: è sempre più diffusa la consapevolezza che sulla crescita della conoscenza e sull’innovazione il Paese si gioca gran parte del proprio ruolo sulla scena mondiale. Non sarà però né facile né breve colmare il ritardo che è stato accumulato.

D. Ci sono i sintomi di risveglio?
R. Lo stesso Iss, grazie alla riforma del 2001 e alla possibilità, in essa prevista, di avviare collaborazioni con enti privati, ha promosso alcuni progetti congiunti, fra cui uno finalizzato alla ricerca di un vaccino contro l’aids e un altro, più recente, che ha permesso di redigere una mappa dell’incidenza sul territorio italiano di tutti i microrganismi agenti eziologici delle varie patologie e della loro resistenza agli antibiotici.

D. A che punto sono le sperimentazioni del vaccino contro l’aids? Questa malattia è un’emergenza?
R. L’aids continua ad essere una grave patologia di ambito planetario. Com’è stato recentemente ribadito in occasione dell’annuale Giornata della lotta contro l’aids, questa patologia tende a rallentare, o meglio ad essere sotto controllo nei Paesi avanzati fra cui l’Italia. Il picco di nuovi casi conclamati fu raggiunto nel nostro Paese nel 1995, con oltre 5.600 casi, mentre per il 2007 se ne sono stimati circa 1.200; in tali Paesi la vita media dei malati si allunga grazie all’uso sempre più vasto delle cosiddette «terapie combinate» a base di farmaci. Ma aids e sieropositività continuano a rappresentare un’emergenza per i Paesi più poveri del mondo: attualmente, dei 33,3 milioni di persone viventi affette da hiv, fra cui 2 milioni e mezzo di bambini, 22 milioni e mezzo vivono nell’Africa sub-sahariana e 4 milioni e mezzo nel Sud-Est asiatico.

D. Quanto tempo manca per avere un vaccino efficace?
R. In collaborazione con importanti centri clinici italiani, l’Istituto sta conducendo da molti anni la sperimentazione di un vaccino basato sulla proteina «Tat», che i nostri ricercatori hanno dimostrato essere capace, nelle scimmie, d’inibire la replicazione del virus hiv. Ora è in corso la sperimentazione clinica sull’uomo: è stata conclusa la prima fase, che ha accertato la sicurezza del vaccino, ed è cominciata la seconda, alla quale ne seguirà una terza, volte entrambe a sperimentare, in un numero crescente di pazienti, l’efficacia del prodotto. Tempi non se ne possono dare, perché quello che stiamo seguendo è un iter scientificamente corretto e, in questo campo, non esistono scorciatoie. Si può dire che finora la sperimentazione procede positivamente. Accanto ad essa, intanto, prosegue il controllo sull’andamento della malattia nel territorio nazionale.

D. Quali sono le più importanti emergenze sanitarie oggi in Italia?
R. Le più frequenti cause di morte fra la popolazione sono note: tumori e malattie cardiovascolari. Sono due ambiti in cui l’Iss opera con impegno nel campo della ricerca - diagnosi precoce, terapia molecolare, farmaci, vaccini ecc. - avendo inoltre assunto, in materia oncologica, il ruolo di coordinatore di «Alleanza contro il cancro», una rete fra gli istituti oncologici presenti in Italia. Vorrei inoltre segnalare gli efficienti sistemi di controllo messi a punto nel campo epidemiologico e in quello della sicurezza alimentare.

D. Quale strategia guida l’Iss in queste attività?
R. La nostra strategia, in linea con quella attuata dalla Pubblica Autorità, parte dal presupposto che la cura più efficace consiste sempre nella prevenzione. Da questo assunto discendono, fra le altre, le campagne di sensibilizzazione e di educazione, alimentare e sanitaria, volte a far adottare alla popolazione stili di vita sempre migliori.

D. Sulla sicurezza alimentare e sul rischio di insorgenza di epidemie ad essa correlate l’opinione pubblica non manifesta una sensibilità eccessiva, simile a volte alla psicosi di massa?
R. L’Iss esercita la massima vigilanza di fronte alla possibile diffusione di nuove epidemie e, negli anni, il sistema dei controlli ha dimostrato di funzionare. Occorre non abbassare mai la guardia su questo fronte ma anche, evitare allarmi ingiustificati nella popolazione.

D. I casi di «mucca pazza» e, ancor più recentemente, dell’«influenza dei polli» non dimostrano che il rischio di una psicosi di massa è sempre in agguato?
R. Oltre che nel vigilare, il compito dell’Iss consiste nel diffondere una corretta e responsabile comunicazione scientifica. È auspicabile, ma al di fuori delle possibilità dell’Istituto, che l’opinione pubblica e i media sappiano sempre interpretare tale comunicazione nel modo giusto, attenendosi alla realtà dei fatti ed evitando emotività e allarmismi.

D. Quali sono i più recenti contributi forniti dall’Istituto in materia di prevenzione?
R. L’Istituto ha elaborato una carta del rischio coronarico e una del rischio cardiovascolare che, costruite sulla e per la popolazione italiana conoscendo il valore di alcuni fattori di rischio, servono a stabilire per ciascuno la probabilità di andare incontro nei 10 anni successivi a un primo evento cardiovascolare maggiore come l’infarto del miocardio o l’ictus: età, sesso, abitudine al fumo, pressione, diabete ecc. Utilizzabili da parte dei medici, tali carte servono per far adottare alle varie categorie della popolazione una serie di comportamenti come screening periodici, abitudini alimentari, stili di vita ecc., in grado di garantire nel tempo un prolungamento delle aspettative di vita.

D. Nelle aspettative di vita la popolazione italiana figura ai primi posti nel mondo: dal 1961 al 2004 la vita media è aumentata da 67,2 a 77,8 anni per gli uomini e da 72,3 a 83,7 anni per le donne. Si potrebbe fare di più?
R. Sì. L’Iss ha calcolato che, adottando i giusti comportamenti, i maschi potrebbero guadagnare altri 5 anni e le donne 2 e mezzo. Tante morti, ancora, possono e debbono essere evitate.

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