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DIARIO ITALIANO

I ragazzi del sipario
ovvero il mondo
delle cooperative sociali

di Giorgio Fozzati


Un’esperienza
diretta di come
funziona a Firenze
una delle
cooperative sociali
che costituiscono
una risposta concreta
all’inserimento
nel lavoro dei ragazzi
diversamente abili,
i quali si sentono
orgogliosi di svolgere
qualunque lavoro,
anche impegnativo

etti un giorno qualsiasi a pranzo. Esci di casa a fine mattina, dopo le consuete ore di lavoro e di sopportazione dell’umana natura. Magari ti sei anche svegliato mica tanto ok. Anzi, ti è spuntato il solito dolorino muscolare che infastidisce ogni bravo cinquantenne che si rispetti. Stefania e Marco ti hanno invitato al loro ristorante. Non hanno insistito, ma l’invito è difficile da relegare tra quelli che «se posso vengo». La città è bella, perché Firenze è sempre bella. Forse diventa un po’ difficile quando piove, un po’ come tutte le città. Mi ci sono trasferito dopo diciotto anni trascorsi a Roma, la più bella città del mondo e, chissà, anche tra le meno facili da vivere. Mi sono portato via un bel baule di amicizie, esperienze, ricordi e fregature.

Anche le fregature ho deciso di mettere nel baule: le ritengo essenziali per una crescita armonica di ogni personalità, hanno l’indubbia caratteristica di forgiare il carattere, di abituare all’imprevisto anche nelle situazioni più scontate e sicure, sono un ottimo allenamento per la pazienza e la comprensione. Chiariamoci subito: in ogni città ci sono le fregature, ma quelle prese a Roma hanno un sapore tutto particolare, sono sempre ben congegnate, non lasciano nulla all’improvvisazione. C’è come una sorta di professionalità del bidone, della «sòla» come viene definita nel dialetto storico romanesco.

Si parte dagli appuntamenti, sempre faticosi da prendere e altrettanto improbabili da mantenere. Incontriamoci la prossima settimana, poi ci telefoniamo per metterci d’accordo, ti confermerò l’appuntamento qualche giorno prima. Scusa il ritardo ma, sai, il traffico, c’era il raccordo bloccato (il raccordo è sempre bloccato da qualche parte, con i suoi 60 chilometri di circonferenza si va sul sicuro). Insomma: solo per quanto riguarda gli appuntamenti, a Roma l’happening è di casa. E così si impara a fare qualcosa nell’attesa, ci si prepara un paracadute: quella visita in libreria che da tempo volevamo fare e non trovavamo mai il tempo, un salto dal barbiere che per miracolo è libero, la visita improvvisata a un amico che lavora nelle vicinanze del nostro bidone.

È un allenamento costante, capita anche più di tre volte alla settimana, che è la cadenza suggerita ai maratoneti per prepararsi alle gare. A Firenze non abbiamo questi benefit: una volta preso l’appuntamento, quello è e quello resta, puoi stare tranquillo che, anche dopo due settimane, all’ora in punto fissata ci si vede, pure nel luogo stabilito. Dunque nessuna sorpresa, nessun dubbio, non c’è scusa di traffico che tenga: tutti arrivano puntuali e gli incontri non si prolungano mai oltre il necessario.

Pietro passa a prendermi con lo scooter, mezzo ideale per girare la città, oltre ai piedi e alla bicicletta che offrono altri indiscutibili vantaggi fisici e di collaborazione alla diminuzione del buco dell’ozono. Nel tragitto mi parla del suo lavoro all’Università, è laureato in Filosofia e sta terminando il dottorato in Estetica. Mi ritorna in mente Fiodor Dostoievskij, la bellezza ci salverà. Dov’è il nuovo ristorante di Stefania e Marco? Mi ritornano in mente le trattorie e i ristoranti romani, sempre pieni di avventori intenditori.
Renzo mi diceva che a Roma si mangia bene dovunque e, detto da un milanese, è fuor di dubbio un gran bel complimento. Qui a Firenze il turismo è concentrato in pochi isolati del centro, l’invasione quotidiana è avvertita in modo pesante, sono rimasti in pochi ad abitare le belle case del centro storico, troppi rumori e fastidi, divieti e sporcizie. I ristoranti proliferano con le trattorie tipiche, un po’ più timidamente fanno capolino i fast food e gli happy hours. Meno male.

Il quartiere del ristorante nuovo è Porta Romana, con la buffa scultura di Michelangelo Pistoletto piazzata proprio davanti alla porta della città. «Dietrofront»: si intitola così la statua in piedi, che ha il suo doppio che si gira indietro, poggiato sulla testa della prima in un equilibrio grottesco. Ai fiorentini non è piaciuta, o meglio ad alcuni non è piaciuta e si sono messi a questionare. Ad altri è piaciuta e ne hanno sostenuto la validità. Ma qui il litigio è sport nazionale, praticato da tutti e da tutti accettato.
Porta Romana è un bel quartiere, case antiche di là dell’Arno, bei palazzi e giardini nascosti, strade piccole con l’acciottolato, lampioni in ferro battuto e «madonnini» agli angoli delle strade. È abitato da molti stranieri, inglesi, americani e tedeschi per lo più. Vengono, prendono in affitto un appartamentino di quelli con le travi in legno a vista e il cotto a terra, e sono tutti contenti di trasformarsi in fiorentini per una manciata di giorni. Qualcuno poi decide di rimanere tale vita natural durante.

Siamo arrivati, Stefania l’abbiamo incontrata per strada mentre si affrettava a giungere puntuale all’appuntamento con noi. Nel ristorante lavora Cosimo, suo figlio, che ha compiuto 22 anni tre giorni fa. Il personale è tutto sotto i 30 anni. Laura, che si prende cura di noi con solerzia e garbo, ha 21 anni, un bel sorriso e gli occhi neri dietro a occhiali professionali à la page. Fabio ha lo stile confidenziale proprio di alcuni camerieri, si avvicina e mi squadra poi, avvicinandosi al mio orecchio, mi chiede che lavoro faccio.
Gli parlo di «Specchio Economico», ché ogni volta che lo faccio è un figurone assicurato. Gli prometto un articolo, che è quello che sto scrivendo. Ci porta l’acqua minerale, liscia e gassata, e mezzo litro di vino sfuso, della casa. Marco non è in giornata ed è leggermente più scorbutico del solito. Passa un po’ il limite quando scopre che sono un tifoso interista e me ne dice di tutti i colori. Primo piatto: tortellini in brodo, caldi e ben cotti. Ci volevano proprio, il freddo preso in scooter stava già facendo effetto.
Nel locale sono entrati altri avventori: una mamma dai tratti nordici con il figlioletto biondo e un cagnolino al guinzaglio che si accuccia buono sotto il tavolo, altre tre donne al tavolo n. 2, un avvocato con due clienti, poi papà, mamma e due ragazze che fanno subito girare la testa a Fabio, cameriere intraprendente e assai socievole. Altri ancora stanno entrando, ma Marco ha cominciato a parlare. È seduto davanti a me e mi racconta di questa impresa che, insieme a Stefania e ad altri soci, ha voluto fare.

Per dare una risposta concreta al così tanto auspicato inserimento lavorativo dei ragazzi diversamente abili. Sì, perché qui dentro ci sono loro a fare tutto, dalla cucina al servizio ai tavoli, ognuno con la sua bella divisa e il grembiule, orgogliosi di stare a pieno titolo dentro la società, a svolgere un lavoro come un altro, eppure impegnativo come la ristorazione. Si affaccia il cuoco, ben piazzato come devono essere i veri cuochi, perché si tratta di un lavoro duro, sempre in piedi, attorno ai fuochi, attenti alle cotture, pronti a recepire gli ordini dalla sala. Ha in testa un elegante copricapo da chef francese, tutto in regola con tutte le regole della Asl e della famosissima legge 626.

Paolo è anche lui socio della cooperativa sociale di tipo «B», finalizzata alla ristorazione, che ha da poco avviato la propria attività con l’apertura del primo ristorante a Firenze gestito da ragazzi disabili intellettivi e sensoriali: «I ragazzi del Sipario». È un volontario educatore e il suo sforzo principale è fare in modo che i ragazzi svolgano davvero i propri compiti con la maggiore professionalità possibile e non si distraggano troppo a intrattenere i clienti, che parlano con ciascuno di loro come non hanno probabilmente mai fatto in vita loro.

L’atmosfera è particolare, fa anche freddo perché non sono ancora venuti a montare gli apparecchi che avevano promesso, ma il calore umano ha raggiunto una buona temperatura. Ci vuole pazienza da parte di tutti, ogni pranzo si costruisce insieme ai ragazzi. Chiedo a Laura di portarmi l’olio e il sale (ancora non mi sono abituato a mangiare «sciocco» come si dice in riva all’Arno). Mi guarda, sorride, si batte la mano sulla fronte e ricompare con l’oliera e il sale. Proprio come in ogni altro ristorante. Anzi no. Laura, Fabio, Marco, Cosimo e tutti gli altri sorridono: ti guardano e, senza parole, chiedono se anche tu sei dalla loro parte, se hai capito bene cosa stanno facendo e perché.

Adesso è Stefania che mi sventola sotto il naso il comunicato stampa del Quirinale: il Presidente della Repubblica, nel discorso in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità, ha citato anche loro, «I ragazzi del Sipario», insieme agli altri esempi già esistenti in Italia, dalla «Trattoria degli Amici» a Trastevere alla «Locanda dei Girasoli».
Mi guardo intorno e in tutti i tavoli l’allegria è di scena, non c’è una faccia lunga. Qui il piatto forte della casa è pane e amore, la fantasia ce l’hanno messa in abbondanza tutte le Stefanie e i Marchi, papà e mamme di questi ragazzi. Sto per uscire e vedo che Fabio, che è sordomuto, guarda Marco e con gesto significativo chiede perché mai non abbiamo pagato il conto. Oggi siamo stati ospiti, gli fa capire Marco. Usciamo con il sorriso di Fabio che ci corre dietro.

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