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LEONARDO DOMENICI,
IL SINDACO
DI TUTTI I COMUNI d’ITALIA

 


Leonardo Domenici,
presidente
dell’Associazione Nazionale
dei Comuni d’Italia


«Il ruolo istituzionale
del Comune è mutato
nella sua configurazione ordinamentale e negli
interessi rappresentati;
è cambiato il rapporto
fra cittadino e istituzione
comunale, fra sindaci,
amministratori
e comunità locale;
maggiore autonomia,
peso politico e visibilità
portano a chiedere
di più, anche ciò che
non possiamo
o non dobbiamo fare »


on oltre 100 anni di attività e circa 7 mila Comuni aderenti comprendenti il 90 per cento della popolazione italiana, l’Anci, Associazione nazionale dei Comuni, non solo rappresenta le Pubbliche Amministrazioni più vicine ai cittadini, ma costituisce un robusto strumento di unificazione del Paese in quanto fornisce indirizzi e supporti a una miriade di istituzioni amministrative lontanissime tra di loro, diffuse da un estremo all’altro del Paese lungo oltre mille chilometri, e dislocate nelle situazioni geografiche, orografiche, ambientali più diverse. Non solo: i suoi vertici e la sua struttura si trovano a dover offrire soluzioni univoche ai problemi di Amministrazioni pubbliche sia di grandi metropoli di qualche milione di abitanti come Roma e Milano, sia di minuscoli Comuni popolati - o forse spopolati - da poche decine o centinaia di residenti. Negli ultimi decenni, e in particolare negli ultimi anni le Amministrazioni comunali sono state investite da tre nuove ondate di problemi: le nuove e crescenti esigenze della popolazione locale bisognosa di servizi sempre più avanzati; le numerose riforme legislativi susseguitesi dal 1990 nell’organizzazione dei Comuni stessi; l’afflusso pressoché incontrollato di immigrati che ha aumentato il numero e ampliato la dimensione dei problemi già esistenti. E proprio dalla città amministrata dal presidente dell’Anci, Leonardo Domenici, sindaco di Firenze, quindi neppure di uno dei più grandi Comuni italiani, è balzato alla ribalta nazionale un tema che esisteva da tempo e cresceva continuamente ma che le migliaia di amministratori locali ufficialmente ignoravano: la difesa del cittadino dalla presenza certamente minoritaria ma fastidiosa, offensiva, aggressiva e soprattutto impunita, di immigrati giunti in Italia non per lavorare e integrarsi nella società, ma per sopraffare e spesso delinquere.

È stato appunto il sindaco di Firenze, a capo di una maggioranza di centrosinistra, ad emanare i primi provvedimenti per limitare l’invadenza e l’aggressività di una numericamente limitatissima frangia di stranieri, spesso clandestini, dediti al vagabondaggio, allo sfruttamento, alla microcriminalità. Nato nel 1955 a Firenze dove si è laureato in Filosofia morale, Leonardo Domenici ha cominciato presto, a 21 anni, il proprio impegno politico. Dopo essere stato segretario della Federazione del Pds di Firenze e consigliere comunale dal 1990 al 1995, nel 1994 fu eletto deputato nel collegio Chianti-Valdarno e confermato, nelle successive elezioni, candidato della coalizione dell’Ulivo. Nella sua attività di parlamentare si è dedicato alla riforma delle Regioni e degli enti locali presentando varie proposte di legge sulla tutela della città d’arte, sui parcheggi, sull’ordinamento federale della Repubblica, sull’elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia. È stato anche responsabile degli enti locali per i Ds.

A capo di una coalizione di centrosinistra il 13 giugno 1999 è eletto al primo turno sindaco di Firenze e nel 2000 presidente dell’Anci, per la quale ha promosso la valorizzazione del patrimonio tipico degli 8 mila Comuni italiani. Nel 1999 come sindaco ha organizzato a Firenze il vertice «Il riformismo nel XXI secolo» cui hanno partecipato i presidenti degli Stati Uniti Bill Clinton e del Brasile Enrique Cardoso e 5 capi di Governo europei: Lionel Jospin, Tony Blair, Gerard Schroeder, Antonio Guterres e Massimo D’Alema. Nel 2000 ha conferito la cittadinanza onoraria al Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan.
Nell’estate 2002, dopo il fallimento della «vecchia» Fiorentina, ha evitato la cancellazione dal calcio professionistico della squadra di calcio di Firenze dando vita a una nuova società affidata in seguito all’imprenditore Diego Della Valle. Nello stesso anno ha ospitato a Firenze il Social Forum Europeo chiuso dalla manifestazione per la pace che vide sfilare per le strade di Firenze un milione di persone. Sotto la sua amministrazione la città ha avviato un’imponente fase di ammodernamento, con la realizzazione di grandi opere per le infrastrutture, la mobilità, la riqualificazione urbana. Il 27 giugno 2004 è stato rieletto sindaco di Firenze per il secondo mandato.

Domanda. Dalla legge 142 del 1990 in poi si sono susseguite numerose e sostanziali leggi di riforma dell’ordinamento degli enti locali. Ritiene che nel complesso abbiano migliorato la pubblica amministrazione locale?
Risposta. Certamente grandi e significativi passi in avanti sono stati compiuti nel mondo delle autonomie locali nell’ultimo quindicennio, anche in seguito alle riforme amministrative e poi alla revisione costituzionale. Oggi la funzione, lo status istituzionale del Comune è profondamente mutato, sia nella sua configurazione ordinamentale che nella dimensione degli interessi generali rappresentati. È cambiato il rapporto fra cittadino e istituzione comunale, così come il rapporto fra sindaci, amministratori e comunità locale. Maggiore autonomia, peso politico e visibilità portano a chiedere di più, anche ciò che non possiamo o non dobbiamo fare, ciò che non ci compete e che attiene alla sfera di altre istituzioni. Tra le innovazioni più significative posso ricordare l’elezione diretta del sindaco, le leggi di decentramento amministrativo che sicuramente hanno ampliato i compiti dei Comuni e poi la riforma della Costituzione. Credo si possa dire che a livello locale, in un contesto politico certamente peculiare come quello dei primi anni 90, si sia data una risposta chiara e proficua all’esigenza allora fortissima di cambiamento e di governabilità, un’esigenza che con specificità diverse vedo tornare oggi. Ma anche di trasparenza, di rafforzamento del vincolo democratico e fiduciario fra elettore ed eletto e di capacità di dare risposte alle istanze dei cittadini. Possiamo promuovere a pieni voti questa scelta: nella maggioranza dei casi si sono avute Amministrazioni locali stabili per tutto il mandato, senza scioglimenti anticipati dei Consigli, cosa che, in un Paese come il nostro con una cinquantina di Governi nazionali in mezzo secolo, è già un successo. Sono cambiate la vita amministrativa delle città, il grado di visibilità e di incisività delle azioni di governo, la capacità del cittadino di percepire e comprendere le soluzioni attuate; molti sindaci, di piccole, medie e grandi città, sono riusciti a trasmettere motivazioni forti alla convivenza civile delle proprie comunità. È emerso un nuovo ceto politico, spesso realmente diverso rispetto alle esperienze precedenti di Amministrazione locale. Molti sindaci, grazie al prestigio e alle proprie capacità, sono divenuti attori di rilievo nazionale in grado di partecipare alla vita politica con peso e autorevolezza.

D. Ritiene positiva la norma che nei Comuni con oltre i 15 mila abitanti prevede assessori scelti dal sindaco - in pratica su indicazione dei partiti di maggioranza -, al di fuori del Consiglio comunale? È giusto che i consiglieri di maggioranza scelti dagli elettori abbiano, in sostanza, solo il compito di ratificare i provvedimenti della Giunta?
R. Si tratta di una di quelle questioni che si presta a diverse e contraddittorie letture. È vero che si può ritenere che la scelta da parte del sindaco dei componenti della Giunta al di fuori del Consiglio comunale possa essere condizionata da indicazioni delle forze politiche, è anche vero però che consente al sindaco di individuare assessori al di fuori delle strette appartenenze politiche. Così è avvenuto e avviene in molti casi nei quali vediamo assessori aventi profili tecnici oppure espressione, come si dice, della società civile. Comunque è un tema su cui si può e si deve riflettere ancora.

D. Visto che anche l’azione dei consiglieri di minoranza è ininfluente sui provvedimenti del sindaco e della Giunta, nei suddetti Comuni non potrebbero, paradossalmente, abolirsi i Consigli comunali conseguendo un risparmio finanziario, semplificando le procedure e abbreviando i tempi dell’entrata in vigore delle misure adottate?
R. No, senza dubbio non sono d’accordo. Il governo di un Comune, come degli altri livelli territoriali, è espressione di un indirizzo politico, di una piattaforma ideale e programmatica su cui i cittadini hanno manifestato la loro opinione. I consiglieri comunali sono parte di questo fondamentale processo democratico e svolgono un ruolo insostituibile nella vita democratica e istituzionale all’interno dell’ente locale. La dialettica, il confronto è sempre necessario; così come è giusto che chi poi deve adottare delle scelte possa farlo autonomamente e responsabilmente. Quindi, ripeto è importante la dialettica, è imprescindibile la funzione di stimolo e controllo che ogni forza di opposizione svolge all’interno dei consigli, ma mai ritenere che questo possa portare a forme vecchie di cogestione. Altra questione poi è quella che riguarda la valorizzazione del ruolo attraverso una riduzione del numero dei consiglieri. Su questo l’Anci ha mostrato sempre ampia disponibilità ad un confronto sul merito.

D. A rigore di logica, visto che gli assessori non rappresentano gli elettori ma sono nominati dal sindaco che può revocarli in ogni momento, non potrebbero essere sostituiti da semplici dirigenti trasformando il sindaco stesso non in un podestà nominato dal prefetto ma in un governatore eletto dalla base?
R. Le aggiungo e preciso che la nomina degli assessori da parte del sindaco non significa necessariamente che questi decida «legibus solutus»; è evidente che ogni Giunta rappresenta la composizione ideale e politica della maggioranza che la sostiene e, ancor prima, della coalizione che ha consentito la sua elezione. Certamente tutto questo non potrebbe essere garantito da figure tecniche. La possibilità di revocare l’assessore assicura, peraltro, maggiore governabilità e stabilità al governo locale.

D. Non sarebbe opportuno semplificare e omogeneizzare i sistemi elettorali e gli organi di governo di Comuni, Province e Regioni?
R. Sarebbe opportuno da vari punti di vista: pensiamo ad esempio alla disciplina dei mandati per cui sindaci e presidenti di provincia hanno un vincolo preciso e gli altri livelli di governo no. Ci sono anche molte incongruenze in tema di incompatibilità. È però una questione che è difficile, se non impossibile, risolvere attraverso un provvedimento normativo unico toccando distinte sfere di autonomia normativa. Sui sistemi elettorali credo non vi siano profonde differenziazione essendo tutti impostati sul modello dell’elezione diretta, e ritengo che i risultati siano positivi.

D. Lo stesso sistema non dovrebbe essere esteso agli organi rappresentativi degli altri enti sovracomunali: Comunità montane, Unioni di Comuni o altri?
R. Ritengo che il tema dell’associazionismo intercomunale sia strategico per rinnovare il nostro sistema istituzionale. La strada è quella della semplificazione, rafforzando il modello unico delle Unioni di Comuni, come forma associativa a vocazione generale, riportando la comunità montana entro un ambito legato alla sua funzione originaria, la cura del territorio montano. Tutto questo dentro un programma straordinario di sostegno alle gestioni associate, anche obbligando i piccoli Comuni ad associarsi se vogliono svolgere talune funzioni.

D. C’è ancora qualcuno in Italia che crede all’istituzione delle città metropolitane, pure prevista da una legge e mai attuata?
R. Chi crede nella esigenza di dare poteri, compiti, risorse, organizzazione alle grandi città, crede ancora nella possibilità di fare le riforme, necessarie e attese, nel nostro Paese. C’è qualcuno che pensa che uno Stato moderno, che ambisce a un ruolo forte o comunque significativo sulla scena della globalizzazione, possa vivere e prosperare se è privo di città nel proprio territorio? Può un sistema istituzionale fare a meno di porsi questa domanda? Il concetto di città è legato alla tipologia dei servizi offerti, alla capacità di attrazione di attività e imprese innovative, alla capacità di essere nodi-leader nel maggior numero possibile di settori dell’economia mondiale. In questo senso le città possono assumere anche le forme istituzionali e gli aspetti territoriali più diversi. È una domanda a cui i processi di strutturazione delle nostre città stanno già dando una risposta, ma è una domanda che deve stimolare di più e certamente anche un adeguato assetto istituzionale che si può raggiungere anche in via graduale, non necessariamente dando vita ad un nuovo livello di governo, ma aiutando le grandi città e chi le amministra con strumenti, poteri e funzioni più ampie.

D. Visti i risultati negativi dell’applicazione in Italia dello spoils system, è opportuno continuare ad importare istituti vigenti in altri Paesi completamente diversi da noi per storia, cultura, tradizioni, costume ecc., ad esempio il sistema elettorale per Camera e Senato?
R. Ciò che viene etichettato con il termine spoils system, inteso con un’accezione non positiva, è il limitato risvolto patologico di un fenomeno importante di trasformazione della pubblica amministrazione, che io ritengo abbia introdotto principi di efficienza e di responsabilità. Altra cosa è oggi apportare quelle correzioni che consentono di evitare gli eccessi e gli abusi e, soprattutto, di garantire che alla valorizzazione dei ruoli risponda maggiore produttività ed efficienza.

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