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LIVIA TURCO:

Sanità pubblica apprezzata,
ma certamente da migliorare

La senatrice Livia Turco,
ministro per la Salute



«La sanità italiana
è apprezzata in primo
luogo i cittadini
ma anche da organismi
internazionali
- Organizzazione
Mondiale della Sanità
in testa -, che ci pongono
tra i migliori servizi
sanitari del mondo.
Esiste tuttavia
una disomogeneità
nei livelli di assistenza
tra le Regioni:
su questo dobbiamo
lavorare insieme,
Governo e Regioni,
per l’unitarietà
di tutto il sistema»


inistro per la Solidarietà sociale nella XIII legislatura con il Governo Prodi quindi con i Governi D’Alema e Amato, Livia Turco, all’epoca deputato, si è sempre dedicata a temi di grande attualità e rilevanza sociale: quelli della famiglia, dell’infanzia, della disabilità, dell’immigrazione ecc. Promotrice di significative leggi che hanno contraddistinto la politica del centrosinistra dal 1996 al 2001- esempi la Turco-Napolitano sull’immigrazione e quelle sulla realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali e sul sostegno della maternità e paternità -, nella successiva XIV legislatura ha fatto parte della Commissione Affari sociali della Camera. In occasione delle elezioni politiche dell’aprile 2006 che hanno dato avvio alla XV Legislatura, è stata eletta senatrice e subito dopo, il 17 maggio 2006, ha assunto in seno all’attuale Governo Prodi un ancor più impegnativo incarico nel settore da lei prediletto: quello di ministro della Salute. Un compito impegnativo che svolge con grande passione e attivismo.

Domanda. Quali sono le priorità concrete e irrinunciabili dell’azione di Governo per migliorare le prestazioni sanitarie ai cittadini?
Risposta. L’ultima indagine Istat sulla valutazione della sanità da parte degli italiani mostra qual è il vero problema del nostro sistema sanitario: la disuguaglianza. Di fronte a un giudizio positivo medio del 60,2 per cento, che in ogni caso dovrebbe far riflettere i tanti detrattori della sanità pubblica sul fatto che questa gode di ampio favore da parte dei cittadini, registriamo infatti picchi di giudizi positivi anche del 70-80 per cento nel Centro-Nord, cui si specchiano però percentuali uguali, ma di segno opposto, in molte regioni del Sud. Questo ci pone una prima grande priorità, che è quella dell’unitarietà del sistema. Che vuol dire garantire pari livelli di qualità, accessibilità e appropriatezza in tutto il Paese.

D. Quali sono le priorità che debbono essere attuate dalle Regioni in base alle loro specifiche competenze?
R. Alle Regioni spetta la gestione completa della sanità. A loro è, quindi, affidata la responsabilità di un uso attento e programmato delle risorse messe a disposizione dalla finanziaria sia per quanto riguarda le spese correnti che per la partita degli investimenti a medio e lungo termine. È proprio nell’efficiente utilizzazione delle risorse, nella capacità di spenderle nei tempi e per obiettivi precisi di salute, che vedo la maggiore responsabilità del buon governo regionale. Per il resto sta alle Regioni, nella loro autonomia, avviare quelle politiche sanitarie che meglio rispondono alle esigenze della popolazione residente.

D. A suo giudizio, ma soprattutto in base alla sua conoscenza diretta, qual è lo «stato di salute» del servizio sanitario erogato ai cittadini?
R. La sanità italiana è una buona sanità. Lo riconoscono in primo luogo i cittadini, come ho già sottolineato, ma anche gli organismi internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità in testa, che ci pongono tra i migliori servizi sanitari del mondo. Esiste tuttavia un problema di disomogeneità nei livelli di assistenza tra le Regioni e soprattutto tra quelle del Nord, del Centro e del Sud. Su questo dobbiamo lavorare insieme, Governo e Regioni, perché la battaglia per l’unitarietà riguarda tutto il sistema.

D. Può esprimere una valutazione e possibilmente una graduatoria dei servizi erogati dalle singole Regioni?
R. Ho trovato aspetti eccellenti in ogni Regione, ma è evidente che i sistemi sanitari di quelle settentrionali e di gran parte di quelle del Centro-Italia godono di una storica supremazia in termini di appropriatezza e di qualità diffusa.

D. Dopo la triste vicenda dell’ospedale di Castellaneta dove per un errore nell’erogazione dell’ossigeno e dell’azoto sono deceduti alcuni pazienti, Lei ha annunciato la presentazione in Parlamento di un disegno di legge diretto a garantire la qualità e la sicurezza delle cure erogate attraverso l’istituzione, in ogni Asl e ospedale, di specifiche unità aventi il compito di prevenire errori ed evitare il malfunzionamento degli impianti. Può specificare quali saranno la struttura organizzativa e le funzioni di queste unità, i loro compiti all’interno delle Asl e degli ospedali, i metodi di reclutamento e la competenza degli addetti, il loro potere di intervento nei casi di carenze accertate, le sanzioni nei confronti degli eventuali responsabili e il costo complessivo che è stato previsto?
R. Non si tratta di creare nuovi organismi. Si tratta di dare vita a precise funzioni che in molte Regioni sono già attive e funzionanti con gli attuali livelli di finanziamento. Abbiamo voluto una legge proprio al fine di dare una spinta a tutto il Paese per andare in quella direzione, che è quella della qualità e della sicurezza delle cure. Per farlo ogni Azienda sanitaria deve prevedere una specifica funzione di controllo, di verifica e di manutenzione delle apparecchiature, ma anche di prevenzione degli errori in corsia. Si tratta di gestire il rischio clinico e questo si può fare, riducendo drasticamente gli incidenti e gli errori dei medici e del sistema. Anche questa è una battaglia per l’unitarietà, e sono convinta che siamo in grado di vincerla.

D. Un recente annuncio del suo Ministero riguarda la regolamentazione dell’attività «intramoenia» dei primari ospedalieri. È possibile prevedere una loro consistente preferenza per l’attività «extramoenia», con il rischio di abbassare la preparazione specifica dei medici ospedalieri, privati in tal modo della guida di validi primari?
R. Escluderei questa ipotesi. Fin dall’inizio della riorganizzazione dell’attività libero-professionale si è capito che i medici italiano scelgono l’intramoenia. Una scelta confermata anche dopo la Riforma Sirchia che aveva concesso ai primari di lavorare anche fuori dell’ospedale. Insomma, i dati parlano chiaro: se in questi sette anni la percentuale dei medici che hanno scelta l’esclusività non è mai scesa sotto il 95-90 per cento, una ragione ci deve essere. La mia percezione, confermata anche dai tanti incontri avuti in questo primo anno di Governo, è che i nostri medici hanno un forte senso di appartenenza alla struttura nella quale operano, primari compresi. Spetta a noi valorizzare questo attaccamento e fare della libera professione una grande opportunità per il cittadino e per le stesse aziende sanitarie.

D. Il provvedimento legislativo in oggetto, secondo quanto pubblicato dalla stampa, prevede che l’uso di ambulatori extramoenia possa essere consentito solo sotto lo stretto controllo delle Asl, con centri unici di prenotazione per le visite con il Sistema sanitario nazionale e a pagamento. L’esperienza diretta di molti cittadini documenta lunghissime attese prima di avere risposta dal centro di prenotazione, con il rinvio di settimane o di mesi per ottenere l’appuntamento richiesto. Sono casi reali e frequenti, non frutto di abituali lamentele o di insofferenza. È possibile una più efficace organizzazione dei centri di prenotazione, e in quale modo?
R. Proprio questo è il problema. Sviluppare e attivare in tutta Italia i centri di prenotazione centralizzati è la prima cosa da fare per superare le disfunzioni e i disservizi che si rilevano a volte nell’esercizio della libera professione. Con il provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il mese scorso abbiamo mirato anche a questo: a spingere le Regioni a utilizzare i fondi stanziati per creare spazi specifici per l’intramoenia, per attivare i Cup ma anche per sondare ipotesi di soluzione nuove e non ideologiche, come quella di affittare, convenzionare o acquistare questi spazi ambulatoriali nei quali garantire la libera professione. Ma nell’ambito di regole certe sia per la prenotazione della visita che per l’emissione delle fatture per le prestazioni erogate. Ambedue questi momenti devono essere gestiti dalle Asl. È questa la prima garanzia contro abusi ed evasioni fiscali.

D. È prevista una riorganizzazione della figura del medico di base, non facilmente rintracciabile, a detta dei pazienti, al di fuori delle tre o quattro ore di servizio giornaliero per cinque giorni settimanali?
R. È uno dei miei principali obiettivi. È infatti fondamentale far sì che il cittadino possa contare su un’assistenza extraospedaliera in modo continuativo 24 ore su 24, ed anche di sabato e domenica. Si tratta di costruire il secondo pilastro della sanità che affianchi l’ospedale, con pari dignità e autorevolezza. Per farlo abbiamo avviato un confronto serrato con i medici di famiglia ma anche con i pediatri e gli specialisti ambulatoriali, per costruire insieme le Case della salute. La Casa della Salute non è un modello di riorganizzazione della medicina territoriale, è un’opportunità. Una proposta di una sperimentazione da condividere in un contesto di ascolto e valorizzazione delle tante esperienze territoriali. Non è qualcosa che abbiamo inventato a tavolino al Ministero della Salute, ma un’idea che cresce, che abbiamo raccolto e che sarà utile perché si tradurrà in esperienze concrete, di cui moltissime già avviate in tutta Italia. Essa scaturisce da un bisogno rilevante dei cittadini, che dobbiamo saper raccogliere oggi e non domani: quello della continuità dell’assistenza, e di una medicina vicina ai cittadini, accessibile e fruibile.

D. Un recente episodio di cronaca, consistente nel ribaltamento di un automezzo scolastico che ha causato la morte di due bambini e il ferimento di vari altri, ha fatto riavanzare la proposta di un test antidroga sugli autisti: il test compiuto è risultato positivo per l’uso di alcool e di cannabis effettuato dal guidatore del veicolo in oggetto. Nei riguardi delle droghe leggere si è assistito, negli ultimi tempi, alla richiesta di rivedere le norme in vigore. Lo stesso sindaco di Torino Sergio Chiamparino, e non solo lui, ha chiesto che «per le sostanze considerate pericolose non ci sia nessuna ipocrisia sulle dosi minime garantite, dosi che portano con sé tutta la catena criminale dello spaccio e inviano anche un messaggio profondamente sbagliato, cioè quello di dire: si può fare». Qual è il suo commento alla richiesta del sindaco Chiamparino?
R. Condivido l’appello di Chiamparino: dobbiamo far capire ai nostri giovani che tutte le droghe fanno male. Non esistono sostanze buone e sostanze cattive. E questo vale per la droghe illegali, tutte, ma anche per quelle legali come il fumo e l’alcol che, se consumati in modo smodato, nuocciono gravemente alla salute. Il problema è come condurre questa battaglia. Personalmente ho quattro parole chiave: educare, prevenire, curare, non incarcerare. La nuova legge che stiamo predisponendo per iniziativa del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero si basa su questi principi per prevenire e combattere il consumo di droga. La legge Fini-Giovanardi, invece, fa del consumatore un potenziale criminale, a prescindere da tutto: a decidere se egli è solo un consumatore o un criminale non è una valutazione attenta della persona, ma un grammo in più o meno di droga che può essere trovato in suo possesso. Questa logica ha fatto entrare nel circuito penale migliaia di giovani fermati con pochi grammi di marjuana. Che poi, magari, sono stati prosciolti dalle accuse, ma intanto hanno dovuto confrontarsi con il carcere, con il processo, con gli avvocati. Serve tutto questo? È questo il sistema giusto per convincere un ragazzo a non fumare gli spinelli? Io penso di no.

D. Nei giorni scorsi la Camera dei Deputati, dopo aver discusso le linee generali del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 23 del 20 marzo 2007 recante «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario», ha approvato un emendamento che sostituisce in toto l’unico articolo del provvedimento che era già stato approvato dal Senato. Che cosa ha reso necessario tale modifica integrale per la quale il Governo ha ritenuto di dover chiedere la fiducia?
R. Con questa legge abbiamo attuato due interventi molto rilevanti. Abbiamo eliminato il ticket di 10 euro sulla ricetta per le prestazioni specialistiche e diagnostiche, che era risultato inadeguato; e, soprattutto, abbiamo dato il via al piano di sostegno finanziario per il recupero dei disavanzi sanitari pregressi in alcune Regioni che versano in particole difficoltà. Entro il 2010 queste Regioni avranno i conti in regola. Questo è l’obiettivo principale dei piani di rientro che abbiamo siglato con il Lazio, con la Campania, l’Abruzzo, il Molise e la Liguria. E lo faremo tagliando sprechi e inefficienze storiche e facendo, del risanamento finanziario, il fattore cardine del miglioramento dei servizi regionali in chiave di appropriatezza e qualità delle cure. Azzerare gli storici indebitamenti significa operare un cambiamento profondo nell’assetto sociale, economico e anche civico di un territorio. È un obiettivo storico. Per questo deve essere condiviso da tutta la comunità. Che ne deve percepire il vantaggio: quello di liberare risorse da destinare ai servizi che servono davvero alla salute.

  • Gli ospedali pubblici ed equiparati sono 669, le case di cura private convenzionate 553, quelle non convenzionate 73
  • Costo medio per ricovero (entità media delle risorse impiegate per ciascun ricovero): 3.735 euro
  • Costo medio per giornata di degenza (entità media delle risorse impiegate per ogni singola giornata di degenza): 637 euro
  • Costo medio annuo per posto letto (entità media delle risorse impiegate per ciascun posto letto): 183.291 euro
  • Costo medio totale del personale (costo medio di ciascuna unità impiegata indipendentemente dal ruolo ricoperto): 40.557 euro
  • Costo medio del personale sanitario (costo medio di ciascuna unità impiegata per il ruolo sanitario): 46.914 euro
  • Costo medio del personale tecnico (indicante il costo medio di ciascuna unità impiegata per il ruolo tecnico): 25.424 euro
  • Costo medio personale ruolo amministrativo (costo medio di ciascuna unità impiegata per il ruolo amministrativo): 28.331 euro
  • Il numero di medici operanti nelle strutture di ricovero pubbliche ed equiparate nel 2005 era pari a circa 120.100 unità, compreso il personale universitario
  • Il numero di medici operanti nelle case di cura private nel 2005 era pari a circa 20 mila unità
  • La dotazione di personale che opera negli ospedali pubblici rispetto ai ricoveri è mediamente adeguata, ma presenta alcune disomogeneità tra una regione e l’altra
  • Nel 2005 negli ospedali pubblici ed equiparati il personale del ruolo amministrativo ammontava a circa 53.500 unità; il personale sanitario non medico (personale infermieristico, tecnico-sanitario, di riabilitazione, di vigilanza e ispezione) era pari a 308.400 unità; gli ota (operatori tecnici assistenziali) erano oltre 33.000.
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