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Ripresa


Innovazione e sicurezza
per il mondo del lavoro
e per quello delle imprese


del sen. TIZIANO TREU
presidente della Commissione Lavoro del Senato

Evitiamo di distinguere
fra sicurezza «di sinistra»
per il lavoro dipendente
e «di destra» per l’ordine
pubblico o le imprese.
Occorre garantirle
tutte, formulare
le risposte tenendo conto
delle diversità dei rischi
e dei bisogni, rispondere
meglio a quelli
tradizionali, acutizzatisi,
del lavoro subordinato


n obiettivo fondamentale di questi prossimi mesi è quello di consolidare la ripresa economica appena avviata. Per ottenerlo occorre innovare alcuni fondamentali del nostro sistema: più ricerca e istruzione diffusa e trasferimento tecnologico alle imprese per aiutarle ad innovare; liberalizzazione per rompere protezionismi e rendite. L’innovazione è oggi la condizione primaria dello sviluppo. Ma qui vorrei sottolineare un aspetto meno discusso.

Le politiche dell’innovazione devono essere accompagnate con politiche di stabilizzazione e di sicurezza, per le persone, per i gruppi e per le stesse istituzioni. Non sembri un paradosso; la stabilità e la sicurezza sono necessarie per l’innovazione e per il cambiamento le cui. Le resistenze ad esso sono dovute non solo a interessi egoistici e a stereotipi culturali, ma anche a comprensibili inquietudini di tutti, ceti medi e operai, circa i suoi rischi.
Spetta alla politica e alle istituzioni combattere le resistenze interessate e placare le inquietudini dei cittadini. Per questo dobbiamo costruire un sistema di sicurezze capace di dare risposte sui vari fronti di questa società del rischio e della incertezza: sicurezze per la vita personale e urbana e per le condizioni ambientali, sicurezze sul lavoro e stabilità ragionevole nell’occupazione, sicurezze di fronte ai rischi dell’esclusione e della disoccupazione, risposte ai bisogni delle famiglie, diversificati nei vari momenti della vita, dall’infanzia all’età adulta, alla vecchiaia.

Evitiamo di distinguere fra sicurezza «di sinistra» per il lavoro dipendente e «di destra» che riguarda l’ordine pubblico o le imprese. Occorre garantirle tutte insieme. È necessario formulare le risposte tenendo conto delle diversità dei rischi e dei bisogni. Bisognerà rispondere meglio a quelli tradizionali, ma acutizzatisi, del lavoro subordinato, come abbiamo indicato con le proposte sulle tutele del reddito (i cosiddetti ammortizzatori) e sulla Carta dei diritti di tutti i lavori.

Ma dobbiamo prestare più attenzione alle incertezze e ai rischi che circondano la vita delle imprese, specie quelle piccole, che sono investite da pressioni concorrenziali senza precedenti nel passato. Per questo i riformisti devono dare più importanza alle politiche dedicate alle imprese: politiche economiche e fiscali che le aiutino a superare le loro debolezze storiche - piccola dimensione, debole capitalizzazione, scarsa capacità di internazionalizzazione - ma anche politiche di sostegno nelle crisi aziendali, ad esempio l’estensione della Cassa Integrazione Guadagni e degli ammortizzatori che servono a proteggere non solo i dipendenti ma lo stesso destino dei loro datori di lavoro. Rispondere a questi bisogni e, prima ancora, comprenderli con l’ascolto è una condizione essenziale per interloquire utilmente con il mondo della piccola impresa e del lavoro autonomo, per vincere una diffidenza storica verso la politica che allontana anche settori e ceti medi ben disposti e interessati ad accettarla.

Infine voglio sottolineare che le necessità di innovazione e di sicurezza valgono sia per il mondo del lavoro come per quello delle imprese. Non è un avvicinamento di comodo o generico; come dire che «siamo tutti nella stessa barca». Oggi come non mai le sfide sono comuni anche per questi mondi, e vanno affrontate con un di più di azione comune, per motivi non contingenti ma fondamentali e durevoli; per il fatto che nel mondo attuale, globalizzato e tecnologico, è cresciuta l’interdipendenza fra le scelte personali e collettive, fra quelle dei vari Paesi, vicini e meno vicini, e quindi anche fra imprese e lavoro.

Fra questi due mondi c’è un legame specifico legato non solo al contesto di competizione globale, ma alle caratteristiche dell’economia post fordista. Nella logica fordista la partecipazione rappresenta un corpo estraneo ed è ostacolata anche in Paesi meno segnati del nostro da contrapposizioni ideologiche. Nella nuova economia il coinvolgimento del lavoro nell’impresa è richiesto dalle accresciute esigenze di qualità, dal contenuto di conoscenza sempre più presente nei sistemi produttivi e quindi dall’urgenza di mobilitare le conoscenze diffuse dei lavoratori scolarizzati.

Ho sentito richiamare questi motivi, con inusitata sincerità, non solo fra gli studiosi di relazioni industriali, ma nel mondo delle piccole imprese e della cooperazione. Si riconosce la necessità che essi siano raccolti dalle parti perché gli esiti di queste esigenze partecipative non si determinano autonomamente. Le pratiche partecipative vanno attivate dalle imprese e dal lavoro, ma vanno facilitate dalle istituzioni e dalla politica.

Si richiedono politiche convergenti perché le politiche per la buona occupazione non possono essere separate da buone politiche per l’impresa e da regole giuste per il mercato. Non basta praticare la concertazione periodica, pure necessaria; occorre costruire una cultura e una pratica continua di partecipazione. Il modello partecipativo così ostracizzato in Italia va riproposto alla nostra politica perché è uno strumento utile per ottenere gli obiettivi che ci proponiamo: per l’innovazione, per la stabilità e per la sicurezza.

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