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VINCENZO PANDOLFO:

DOBBIAMO PENSARE
IN ALLUMINIO

a cura di Luigi Locatelli


Vincenzo Pandolfo,
amministratore delegato
della Pandolfo Alluminio spa


Non la stessa
fortuna dell’acciaio
del Chrysler o del ferro
della Torre Eiffel ha avuto
l’alluminio, non meno
prezioso né meno
importante ma meno noto ai più, sebbene la sfera
lanciata dall’uomo
nello spazio nel 1957
superando per la prima
volta la forza di gravità
fosse una sfera
di alluminio
di 84 chilogrammi


l 99 per cento degli edifici di grandi dimensioni ormai sono con la pelle in alluminio, lo scheletro in alluminio autoportante rinforzato con strutture di acciaio all’interno e vetro sulla facciata. I pannelli vetrati che offrono un effetto di uniformità sono sigillati alla struttura con prodotti speciali resistenti nel tempo e al calore. L’alluminio viene impiegato comunemente non solo nell’edilizia ma anche nella carrozzeria delle automobili, nei motori, negli arredamenti, nei mobili, nei telai di porte e finestre. È molto più leggero del ferro e dell’acciaio e, se rinforzato nei punti critici, crea una specie di gabbia di sicurezza. Nelle automobili consente di ridurre il peso, i motori sono più leggeri e hanno prestazioni migliori, minori sono i costi di produzione e anche minori i rischi perché l’alluminio viene curvato a caldo e non ha i punti di saldatura dell’acciaio. La lavorazione è meno complessa perché è un metallo duttile che può prendere qualsiasi forma geometrica: tutto questo e molto altro ancora è l’alluminio nella vita dei distratti e disinformati contemporanei, un metallo analizzato per la prima volta nel 1820.

Bianco, leggero, duttile, malleabile, facile da lavorare, abbondante in natura, poco meno dell’ossigeno e del silicio, ossia dell’aria e dei sassi, fondamentale nell’industria aeronautica, automobilistica, elettrica, elettronica, meccanica, chimica, nei trasporti su nave, su gomma e ferro, nell’edilizia, nell’arredamento, nell’industria del freddo. Purtroppo non ha ancora raggiunto i fasti monumentali del ferro o dell’acciaio. Come per esempio la Torre che in due anni, tra il 1887 e il 1889, l’ingegnere francese Gustave Alexandre Eiffel costruì con 15 mila pezzi di ferro a Parigi nel Campo di Marte, come icona dell’Esposizione Universale che a fine secolo doveva celebrare le conquiste della modernità e le scoperte scientifiche e tecnologiche: 7.341 tonnellate, 321 metri di altezza, forse l’opera dell’uomo più famosa del mondo contemporaneo. Per l’acciaio basta citare il Chrysler Building terminato da Van Adler nel 1930, che è ancora oggi l’edificio più elegante dello skyline di Manhattan con la sua cuspide Art Déco ad archi sovrapposti. E per i giorni nostri lo stadio olimpico di Berlino dell’architetto von Gerkan e molti altri edifici.

Non altrettanta fortuna ha avuto l’alluminio, non meno prezioso del ferro, non meno importante dell’acciaio, sebbene l’oggetto lanciato dall’uomo nello spazio nel 1957 superando per la prima volta la forza di gravità, lo Sputnik 1, fosse una sfera di alluminio di 84 chilogrammi. Per chi si contenta, un primo riconoscimento può venire dalla Torre Agbar, un cilindro di 142 metri, 35 piani, in acciaio e vetro nel cielo di Barcellona, rivestita nell’apice a cupola e nella facciata da moduli in lamiera di alluminio ondulato laccati in 25 colori con un effetto cromatico cangiante.

Anche l’ingegnere elettronico Vincenzo Pandolfo, amministratore delegato della Pandolfo Alluminio di Padova - incrociando competenze ingegneristiche specialistiche con economia e marketing e una carriera professionale iniziata come dirigente alla società internazionale di consulenza Arthur D. Little e chiamato dopo tre anni alla Value Partner dal presidente Giorgio Rossi Cairo come unico esterno in un gruppo di transfughi della McKinsey -, sebbene figlio di un imprenditore dell’alluminio ha dovuto imparare termini e significati nuovi come estrusione, ossidazione anodica, billetta. «Pensare in alluminio» è il titolo significativo di un fascicolo descrittivo dell’azienda padovana Pandolfo Alluminio che viene distribuito ai clienti.

Recatosi negli Stati Uniti nel 1987 dopo la laurea a Padova, oggi l’ingegner Pandolfo non solo pensa in alluminio ma dell’alluminio conosce tutto. Come corso di studi avrebbe preferito Economia e Commercio alla Bocconi di Milano, ma desiderava nello stesso tempo rimanere vicino casa. La Facoltà di Economia era a Venezia, così scelse Ingegneria elettronica a Padova. «Oggi in famiglia–dice con orgoglio–rappresento la terza generazione, quella che sviluppa l’azienda. È un passaggio generazionale non semplice come per tutti i quaranta-cinquantenni come me, che vi sono entrato a 43 anni. Il mio sforzo, sulla base delle mie esperienze precedenti, oggi è quello di rimodernare il lavoro sotto l’aspetto tecnologico, strutturale, organizzativo e commerciale. Più siamo bravi a lavorare, più siamo competitivi, più riusciamo a produrre tonnellate di alluminio. Lavoriamo circa 23-24 mila tonnellate l’anno e abbiamo un obiettivo di medio termine intorno alle 30 mila tonnellate nel 2011.

Domanda. L’esperienza in campo economico e nel marketing le è stata utile quando è entrato nella sua azienda?
Risposta. Certamente. Ho beneficiato tantissimo dei quasi cinque anni di lavoro a Milano, ma anche in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1995 sono stato chiamato a casa perché la Schuco International, la società tedesca rappresentata in Italia dalla Pandolfo Alluminio, ci ha offerto di acquisire la divisione commerciale con l’esclusiva sul territorio nazionale. Era difficile rifiutare una proposta venuta dal leader mondiale dell’alluminio nella vendita e commercializzazione di componenti per la costruzione di facciate, coperture, porte, finestre in alluminio, e ultimamente anche di pannelli solari fotovoltaici e termici, con circa 1,9 miliardi di fatturato mondiale e 90 milioni di euro in Italia. La trattativa su questa offerta era complessa così io ho preso un periodo di aspettativa dalla Value Partners per gestire questo difficile negoziato che si è concluso con successo. Ed è nata un’altra società, la Schuco International Italia con sede a qualche centinaia di metri da noi, a Sarmeola, alle porte di Padova.

D. Poi che cosa è avvenuto?
R. Ho vissuto quel periodo nella Schuco con un doppio cappello, poiché la completa uscita da parte della famiglia Pandolfo dalla partecipazione alla Schuco è avvenuta nel 2002. Un periodo che sono riuscito a gestire bene perché i tedeschi hanno apprezzato la mia fattiva collaborazione al punto di propormi di entrare come amministratore delegato proprio nella Schuco. Nel periodo del mio incarico la società dai 27 milioni di euro di fatturato nel 1995 è arrivata alla soglia degli 80 milioni di euro. Ho avviato una politica più espansiva dal punto di vista commerciale, e nel contempo ho pianificato una ristrutturazione logistica e organizzativa basandomi sulla mia esperienza in consulenza.

D. Qual’è ora la situazione?
R. Completata questa fase sono uscito ufficialmente dalla Schuco il 30 aprile di quest’anno, anche se ero già amministratore della Pandolfo dalla metà 2006; e concordemente con tutte le parti coinvolte, oggi sono al 100 per cento della Pandolfo Alluminio e ho il proposito di avviare nuove strategie e realizzare un passaggio generazionale non semplice. Adesso sono amministratore delegato della Pandolfo Alluminio spa e rimango in consiglio di amministrazione della Schuco International Italia, che è uno dei principali clienti della Pandolfo Alluminio. Ci legano vincoli storici e di conoscenza reciproca per cui continuerò un rapporto che è ben impostato.

D. Come sono gestiti gli assetti proprietari della Pandolfo s.p.a.?
R. La proprietà è solo della famiglia. Mio padre è presidente del consiglio di amministrazione. C’è poi mio zio, anche lui socio dell’azienda che si occupa prevalentemente del filone immobiliare perché abbiamo scorporato gli immobili.

D. In che cosa consiste la vostra attività di estrusione?
R. Sono due i processi principali di lavorazione dell’alluminio: la laminazione che sfrutta le sue caratteristiche di malleabilità, riducendolo in fogli di diverso spessore, e l’estrusione che è il cuore delle nostre attività e che consiste nel riscaldamento di una billetta, ovvero di un cilindro di alluminio pieno che viene spinto con forza attraverso una matrice, cioè uno stampo, e fuoriesce modellato sulla sagomatura richiesta. Dalla pressa di estrusione può uscire quindi una componente dei telai di una finestra, di una porta, di un mobile, dell’oggetto che si vuole costruire. La billetta esce già sagomata secondo il progetto, ma di una lunghezza commerciale di 6 metri, sarà poi il nostro reparto di lavorazioni meccaniche a trarne la componente per conto del nostro cliente; oppure saranno il serramentista, il costruttore o l’installatore a ridurre la barra alla lunghezza richiesta. Stiamo valutando in questi mesi se aprirci al mercato poiché nel campo dell’estrusione sono in atto rilevanti operazioni di concentrazioni.

D. Quali in particolare?
R. La nordamericana Alcoa vuole acquisire la concorrente canadese Alcan con un’offerta di 33 miliardi di dollari diventando così il numero due mondiale con una capacità di oltre 21 milioni di tonnellate di alluminio. Il numero uno è ancora la russa Rusal che si è già fusa con altre società di quel Paese. In Italia esiste una polverizzazione con una quarantina di estrusori di vario tipo, di varia qualità e professionalità e anche di varia capacità di sviluppare l’azienda, per cui prevedo che anche in Italia si svolgerà un processo di aggregazione sebbene questo sia molto difficile per la mentalità dell’imprenditore italiano e le sue note logiche affettive e familiari.

D. L’alluminio ha costi molto alti come in genere le materie prime e specialmente i metalli?
R. L’alluminio primario costa attualmente sul mercato internazionale quasi 3 dollari al chilo e il profilo in alluminio tra i 3 e i 4 euro, ma le imprese che producono o commercializzano la componente finale chiedono molto di più per il valore aggiunto. Sono settori in cui l’alluminio domina perché è un metallo molto apprezzato da stilisti, architetti, arredatori, designers. Nell’arredamento è una componente molto usata ed è anche un punto di forza per molte aziende perché è un metallo di facile lavorazione, resistente, leggero.

D. Quanto se ne trova in natura?
R. Moltissimo, ma il processo per l’estrazione dalla bauxite è abbastanza costoso, richiede molta energia elettrica, quindi c’è una tendenza sul mercato all’aumento dei costi. Ma è possibile riciclarlo e questo processo in alcuni Paesi è molto praticato. Negli Stati Uniti, uno dei maggiori produttori con la Russia, si raccolgono le lattine in apposite cassette; nei supermercati vengono pagate in base al peso. È uno dei pochi metalli per i quali esiste una vera organizzazione anche nella raccolta e nel riciclo.

D. Come viene utilizzato il materiale riciclato?
R. Con la rifusione, come per l’acciaio. Le macchine sono caricate con l’alluminio sporco come barattoli, parti di finestre, mobili che contengono anche delle plastiche, verniciature o trattamenti superficiali che devono essere eliminati, e attraverso processi chimici e fisici si separano le impurità e le billette in uscita sono pronte per il nuovo processo di estrusione. Noi abbiamo una fonderia presso lo stabilimento di Lentiai, in provincia di Belluno, e stiamo autorizzando l’investimento per una grande fonderia nella zona di Maniago, in provincia di Pordenone. Sarà un impianto per quasi 50 mila tonnellate all’anno, dimensionato quindi per lo sviluppo della società ben oltre l’attuale consumo di materia prima.

D. Si può ripetere all’infinito il riciclo o il metallo si esaurisce prima?
R. All’infinito no; per esempio quando tende a diventare un metallo troppo ricco di ferro, quindi per noi non buono, viene alleggerita la percentuale ferrosa aggiungendo alluminio puro. Al mercato delle materie prime di Londra si comprano i pani di alluminio che poi vengono trasformati in billette. Questa fase è svolta da grandi aziende multinazionali nord-europee, norvegesi in particolare, che usufruiscono di agevolazioni rilevanti nell’energia elettrica e riescono ad essere competitive nella produzione del metallo; tra esse figura la Dubai Alluminium, una grande società molto ben organizzata. I grandi produttori non sono nei Paesi più ricchi di minerale, ma in quelli in cui i costi energetici sono minori. In Italia è difficile sviluppare questa attività perché oltre alle barriere tecnologiche ve ne sono anche di tipo finanziario. Un tempo in Sardegna operava l’Alumix che poi fu chiusa. Per coprire l’ammortamento degli alti costi delle macchine e dell’energia che assorbono, gli impianti devono lavorare quasi di continuo, con soste solo per il cambio dello stampo, senza tempi morti.

D. È l’alto assorbimento di energia elettrica che rende costosa la produzione?
R. Questo avviene sia per chi produce il materiale di ingresso, cioè la billetta che noi compriamo dagli Stati Uniti o dai norvegesi, sia per gli estrusori, cioè le industrie come la nostra che la lavorano per ottenere il prodotto finito. Oltre al metallo che si aggira sul 70 per cento del valore del prodotto, l’energia elettrica e il gas metano sono componenti essenziali del nostro conto economico. Quindi per noi praticamente il margine è molto stretto, dobbiamo calcolare tutti i costi di produzione, amministrativi, commerciali, finanziari, fiscali e altro.

D. Quanta manodopera assorbono queste lavorazioni?
R. Dipende dalla vetustà degli impianti e dall’organizzazione della produzione. Come tutte le aziende che operano con processi continui l’obiettivo è far lavorare le macchine il più a lungo possibile e in questo punto la maggiore flessibilità di altri Paesi è premiante. Se si fermano, gli impianti hanno bisogno di un certo tempo per essere rimessi in moto, inoltre occorrono tempi di fermata per la manutenzione. Noi lavoriamo in media cinque giorni alla settimana, oltre al tempo per la manutenzione. Vorrei organizzare i turni di lavoro in modo da produrre anche di sabato ed eventualmente anche la domenica mattina.

D. Come è organizzata la produzione?
R. Abbiamo due siti produttivi a cinque chilometri di distanza uno dall’altro, il primo a Lentiai in provincia di Belluno, il secondo a Feltre, con impianti di lavorazione e di trattamento dell’estruso, cioè la verniciatura e l’ossidazione anodica, e con lavorazioni meccaniche in centri di lavoro avanzati, che realizziamo per conto dei nostri clienti, dislocati in Italia, che è il secondo mercato europeo, e moltissimi in Germania, primo mercato europeo e di grande traino dal punto di vista meccanico e industriale. In Europa la Germania è il Paese industrialmente più avanzato in questo campo, seguito dalla Francia, dai Paesi dell’Est, dalla Gran Bretagna e dalla Scandinavia.

D. Quanti dipendenti occupate?
R. Il nostro organico è di 400 unità. Nel 2006 abbiamo registrato un fatturato consolidato di 90 milioni di euro, nel 2005 eravamo a 70 milioni. È stata una consistente crescita dovuta in parte all’aumento della materia prima. Il capitale sociale è di 18 milioni di euro. Nel 2005 abbiamo compiuto investimenti per 8 milioni di euro, nel 2006 per 3 milioni di euro, soprattutto nel campo informatico.

D
. Quali sono i vostri clienti più importanti?
R. Abbiamo circa 700 clienti attivi che comprendono nomi di rilievo come la Bosch operante nell’automazione, la Permasteelisa negli involucri edilizi, la BTicino nell’illuminazione, la Comau nella metallurgia, la Jacuzzi nell’idromassaggio, la Schiffini nelle cucine, la Teuco nell’arredobagno, la Schuco International nei serramenti e molti altri. Per l’espansione del mercato puntiamo all’Italia e all’estero, soprattutto alla Germania che è molto conveniente e dove si registra attualmente una domanda sostenuta.

D. In base alla sua esperienza di imprenditore come vede l’economia italiana?
R. Dal mio punto di vista la vedo in ripresa ma ancora un po' affaticata, mentre la Germania è in pieno rilancio perché ha alle spalle una soddisfacente situazione infrastrutturale di banche, di servizi, di normativa. È un sistema che funziona, con una forte presenza internazionale. In Cina, per esempio, i tedeschi sono presenti da vent’anni, noi ci siamo andati quest’anno per la prima volta ed è sembrato un evento. I tedeschi hanno una valida organizzazione e al momento della ripresa hanno dimostrato uno scatto in più degli altri Paesi, mentre noi siamo ancora in ritardo. Registriamo un certo risveglio ma dobbiamo sperare che non venga subito sopito dall’eccesso di norme, di difficoltà burocratiche, dai tanti impedimenti. Abbiamo una situazione fiscale assolutamente penalizzante per le imprese che già guadagnano relativamente poco e che devono compiere molti investimenti nell’aggiornamento degli impianti. La nostra pressione fiscale è di oltre il 45 per cento, il massimo. Per noi, in relazione all’alto numero di dipendenti, è particolarmente gravoso il peso dell’Irap, un’imposta assolutamente eccessiva.

D. Ha citato i benefici fiscali sull’energia elettrica in alcuni Paesi. In Italia esiste qualche cosa del genere, almeno per voi produttori?
R. Nulla di simile. Siamo soggetti a un’imposta sul reddito del 33 per cento, a un’Irap del 13 per cento, in totale arriviamo al 46 per cento. Sono le aliquote normali per le aziende e rappresentano un carico che rende il lavoro dell’imprenditore molto frustrante. Lo è soprattutto per noi che lavoriamo in un mercato europeo nel quale è fondamentale raggiungere competitività ed efficienza elevate. Il nostro prodotto non ha un brand proprio, anzi spesso i clienti ci chiedono di consegnarlo imballato e con sopra stampato il loro logo, per questo investiamo particolarmente in adeguate campagne di comunicazione e di promozione per aumentare la visibilità del nostro marchio e condensare in esso i risultati positivi del nostro lavoro: la competenza, l’innovazione la predisposizione alla partnership con la clientela. Tutto ciò viene però messo a repentaglio da una tassazione insopportabile. In conclusione, con un carico fiscale del 46 per cento ci chiediamo se lo sforzo di impresa è compensato adeguatamente.

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