PAOLO LA ROSA
AFFRONTARE IL FUTURO
COME FA IL MARINAIO
a cura di Anna Maria Branca
L’ammiraglio Paolo La Rosa,
Capo di Stato Maggiore
della Marina
Militare Italiana
«Continuità
e cambiamento, ossia
affrontare il futuro
come fa il marinaio,
abituato a guardare lontano
verso l’orizzonte, scrutarne
il limite per anticipare
tutte le situazioni, avendo
però la certezza dei propri
mezzi. All’ingresso
del palazzo della Marina
ci sono due ancore,
simbolo della solidità.
È questo ciò che
noi diamo: sicurezza»
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ontinuità e cambiamento»: con due semplici ma complesse parole, che riguardano un mondo articolato, composito, fatto di materiale umano di alta professionalità e di tecnologie sempre più sofisticate, di operatività delicata in un ambiente vasto e mutevole come il mare, l’ammiraglio Paolo La Rosa definisce il suo programma di Capo di Stato Maggiore della Marina.
Parla con la semplicità diretta e concreta dell’uomo di mare, abituato ad affrontare l’emergenza anche nel momento più imprevedibile e tranquillo. Continuità e cambiamento per lui sono il criterio sotteso alle esigenze della Forza Armata della Difesa italiana: rinnovarla per adeguarla all’evoluzione dei tempi nell’organizzazione, negli uomini, nella struttura. Ciò con una mentalità soprattutto aperta al nuovo, a rivedere i propri obiettivi e le strade più adatte a raggiungerli, mantenendo, nella continuità, i riferimenti solidi, le basi concrete che l’hanno sempre caratterizzata. Quali sono questi riferimenti?
L’alto ufficiale li elenca senza esitazioni anche se trovano accoglienza sempre più rara nei discorsi attenti al politically correct: «Sono la nostra storia, le tradizioni, i principi e i valori rispetto ai quali non possiamo fare a noi stessi nessuna concessione. Rimangono i punti fermi con i quali ancorare il nostro futuro a un passato solido, riconosciuto e condiviso, che ha trasmesso al presente tutta la somma di valori rispetto ai quali noi guardiamo alla nostra Forza Armata con la consapevolezza che è un’istituzione nella quale il Paese intero deve riporre la massima fiducia».
Questo significa, per La Rosa, continuità e cambiamento: affrontare il futuro come fa il marinaio che è abituato a guardare lontano, verso l’orizzonte, a scrutarne il limite per anticipare tutte le situazioni, avendo però la certezza di avere una struttura che dia sicurezza. Aggiunge: «Quando va per mare, il marinaio vuole che la propria imbarcazione sia sicura. La stessa ancora è simbolo della solidità. All’ingresso del Palazzo della Marina a Roma vi sono due grandi ancore che hanno un significato preciso per la mentalità del marinaio proiettata verso l’orizzonte: per guardare lontano bisogna avere certezze su tutto ciò che è intorno».
Figlio di un ufficiale dell’Esercito, il giovane La Rosa conosceva la vita militare, l’attiravano l’ordine, la disciplina, la possibilità di formarsi con rapidità e profondità. Non conosceva il mare mentre pensava ancora di seguire il padre nell’Esercito. Nel Liceo si iscrisse alla Scuola navale Morosini di Venezia. E scoprì il fascino, la grandezza, il significato della parola «mare». Al punto di farne l’habitat della propria carriera professionale.
Domanda. Perché arruolarsi in Marina piuttosto che nell’Esercito o in Aeronautica? Che differenza c’è tra un marinaio e un soldato?
Risposta. Il giovane entra in Marina perché è l’istituzione nel suo complesso che l’attrae, che gli dà basi certe, gli ispira fiducia, sin dalla formazione come preparazione di una professionalità che può dare prospettive future tanto nella stessa Marina quanto nella vita civile. Credo comunque che la differenza non sia tanto nel momento della scelta quanto in quello formativo. Molti giovani presentano domanda per tutte le Forze Armate e scelgono dopo. Probabilmente perché, di norma, essi non conoscono il mare, che è l’elemento con il quale dobbiamo confrontarci. Il nostro è un Paese a vocazione prettamente marinara. Ciò si esprime nel diporto, nelle vacanze, nello sport, non sempre in tutti gli aspetti del mare, che sono quelli da cui il Paese prevalentemente dipende e rispetto ai quali è necessaria una consapevolezza diffusa, soprattutto nei giovani. Coloro che entrano in Marina l’acquisiscono strada facendo, e allora viene fuori la passione per il mare come elemento distintivo della propria identità, un modo di essere che entra dentro e determina le caratteristiche di chi vive sempre a contatto con l’acqua. Gli ufficiali e i sottoufficiali si preparano con un corso formativo di cinque anni, acquisiscono nozioni di carattere tecnico e scientifico e hanno, fin dall’inizio, molte occasioni per confrontarsi con il mare e acquisire quella professionalità che consentirà loro, un domani, di operare con efficacia.
D. Quale può essere il ruolo della Marina nella sicurezza della regione mediterranea?
R. Un ruolo importante: il Mediterraneo rappresenta geograficamente l’uno per cento della superficie acquea mondiale, ma in termini economici vale molto di più. Il 20 per cento del traffico mercantile mondiale passa in esso. E l’Italia dipende economicamente in grandissima misura dal mare poiché il 90 per cento del nostro traffico commerciale avviene via mare; è chiaro che questa dipendenza economica e sociale deve trovare quelle garanzie di sicurezza che consentano di ricevere dal mare tutti quei beni, innanzitutto di carattere energetico, che sono attesi. La funzione fondamentale della Marina è garantire questa sicurezza al Paese e all’economia nel Mediterraneo, per noi un ambito marittimo allargato che va dai confini occidentali, quindi da Gibilterra, a quelli orientali, che sono il Mar Nero da un lato, il Canale di Suez e l’Oceano Indiano dall’altro. L’interesse geostrategico della Marina militare si estende in tutto questo mare, con un ruolo essenziale per l’Italia e per la stessa Europa di cui l’Italia rappresenta la proiezione mediterranea.
D. Per garantire questa sicurezza all’Europa quali compiti svolge la Marina?
R. Rispetto all’Europa il ruolo della Marina è rilevante poiché noi rappresentiamo uno dei punti di riferimento fondamentali per tutti i problemi del continente che attengono al mare. Recentemente ci siamo fatti portatori di un nuovo progetto, fra tutti gli interlocutori mediterranei, diretto allo scambio di informazioni sulla situazione del traffico mercantile. Quest’idea è stata da noi realizzata creando nei pressi di Roma una centrale operativa in cui vengono concentrati i dati sul traffico provenienti dai vari Paesi mediterranei, che poi vengono fusi, analizzati e diffusi. Il programma è cominciato concretamente nell’ottobre 2006, con un accordo operativo firmato da 17 Paesi mediterranei, mentre altri stanno aderendo ritenendolo di grande interesse e capace di produrre un deciso salto di qualità rispetto all’esigenza di tutte le Marine. Ciò è fondamentale per garantire la sicurezza, consentendo di intervenire con immediatezza dove necessario. Il mondo di oggi è globalizzato, interdipendente, caratterizzato da flussi di ogni tipo e carattere commerciale, comunicativo, turistico, culturale, sociale, che hanno il loro ambiente naturale nel mare. Oltre a costituire un forte elemento di progresso per lo sviluppo delle nostre civiltà, nel grande movimento si possono annidare anche minacce, celare gravi rischi rappresentati dalla proliferazione di armi di distruzione di massa, da traffici illeciti di clandestini o di droga, da pirateria e, soprattutto, dal terrorismo, fattore catalizzatore di tutte le altre minacce. Per questo è necessaria una conoscenza molto accurata di ognuna delle duemila navi di stazza superiore a 300 tonnellate che solcano il Mediterraneo ogni giorno. Di ognuna dobbiamo sapere tutto, da dove proviene, dove va, la storia, il passato e il futuro, chi è il suo comandante. È un lavoro molto difficile che richiede la partecipazione di tutti. Noi siamo il punto focale di questa nuova dimensione che si sta sviluppando. La nostra idea è diventata una proposta, un progetto, ora una realtà con l’estensione a tutti i soggetti interessati alla sicurezza del Mar Mediterraneo.
D. La nostra flotta e le sue componenti sono adeguate alle esigenze di oggi e del prossimo futuro?
R. Naturalmente abbiamo bisogno di una Marina all’altezza di queste esigenze, dal punto di vista organizzativo, strutturale, dei mezzi e della preparazione del personale. Per quanto riguarda la flotta, dunque i mezzi, la dimensione della nostra Marina nel tempo si va riducendo ma ne aumenta la qualità.
D. Perché si va riducendo?
R. Perché oggi abbiamo meno bisogno che nel passato di una presenza massiccia nel mare, mentre perseguiamo una presenza di qualità per svolgere in mare funzioni che sono sempre più complesse, con sistemi più sofisticati e personale sempre meglio addestrato. Dobbiamo anche avere le capacità di confrontarci con realtà internazionali con cui il marinaio e la Marina sono normalmente chiamati a operare nell’ambito di grandi formazioni alleate. In questa collaborazione anche operativa, i nostri mezzi e il nostro personale devono essere in grado di operare all’altezza degli altri, con i medesimi sistemi di comunicazione e di scambio dei dati e con un pari livello tecnologico e sistematico. In questo senso la nostra flotta, nel tempo, è andata gradualmente rinnovandosi.
D. Rinnovata più che ridotta quindi: in quale proporzione rispetto agli altri?
R. È un discorso difficile. Un tempo le Marine si misuravano in funzione proprio della quantità. Si diceva: «Questa è una Marina di 250 mila tonnellate»; oggi non si misura più in funzione del tonnellaggio ma della capacità che riesce a esprimere dal punto di vista operativo. Non ha molto senso parlare di dimensione e di numero, elementi che sono certamente inferiori. Prima della guerra avevamo cento sommergibili, oggi ne abbiamo sei: qual è il senso? Che il numero è molto ridotto, ma la capacità e la qualità delle navi è all’altezza delle esigenze. Tra le Marine convenzionali i mezzi che abbiamo sono tra i migliori in circolazione. Un aspetto è importante: abbiamo programmi caratterizzati da tempi lunghi. Dal momento del progetto al momento in cui la nave viene consegnata alla Marina trascorrono alcuni anni. In questo momento vediamo entrare nella flotta nuove navi che sono state impostate molti anni fa. In particolare entrerà in linea, l’anno prossimo, la nuova ammiraglia della Marina, la nave Cavour da 26 mila tonnellate, con un deciso miglioramento della capacità operativa della nostra flotta. Nei prossimi due anni entreranno in linea navi dotate di sistemi per la difesa antiaerea.
D. Sono di produzione nazionale?
R. La nostra capacità produttiva nazionale è molto qualificata e per determinate navi siamo completamente indipendenti. Per altre è conveniente farne oggetto di cooperazioni internazionali. In particolare realizziamo le navi di difesa antiaerea in cooperazione con la Francia.
D. Perché è stata scelta la Francia?
R. Perché coincidevano i requisiti operativi e temporali, oltre alla considerazione che una realizzazione congiunta di più unità su scala internazionale comporta ottime economie fiscali. Peraltro il prodotto è risultato anche migliore poiché ciascuno ha posto nel programma cooperativo il meglio delle proprie capacità industriali. La cooperazione con la Francia per le unità di superficie sta procedendo in maniera vantaggiosa, cosicché in futuro realizzeremo insieme le fregate, mentre con la Germania realizziamo i sommergibili, per i quali questo Paese è rinomato. Ne abbiamo due nuovi, il primo è già stato consegnato alla Marina, l’altro lo sarà molto presto. Realizziamo programmi in cooperazione con altri Paesi anche in campo aeronautico, soprattutto negli elicotteri, divenuti ormai una componente organica delle navi, dotate tutte della piattaforma per l’atterraggio. È stata proprio la Marina italiana, negli anni 60, la prima nel mondo a mettere su tutte le navi gli elicotteri.
D. Come è composta attualmente la sua flotta?
R. È ben bilanciata in tutti i settori dell’attività per mare. Questo vuol dire che noi pianifichiamo la composizione della flotta preoccupandoci che abbia tutte le componenti perché, se oggi la minaccia può manifestarsi in maniera prevalente sotto determinate forme, dobbiamo altresì essere preparati anche per gli altri tipi di minaccia che potrebbero manifestarsi nel futuro. Il bilanciamento della flotta comporta la presenza di unità «di altura», cioè portaerei, unità di difesa aerea, fregate, in genere unità di maggiore dimensione che operano soprattutto in alto mare e che hanno capacità di intervenire in qualunque situazione. Ne abbiamo complessivamente undici. Poi vi sono le «unità di seconda linea», più piccole, con una flessibilità d’impiego molto maggiore, che possono essere usate molto più facilmente, costano di meno, hanno meno uomini a bordo, sono più rapide e vengono usate per la sorveglianza delle acque del sud dell’Italia, per la vigilanza della pesca e per ogni tipo di intervento di emergenza. Quindi abbiamo le unità specialistiche e, fra esse, quella della componente «anfibia»: si tratta di unità navali che trasportano le nostre truppe anfibie e consentono le operazioni dal mare verso la terra. In maniera molto efficace e significativa sono state la prima unità italiana in Libano. La componente anfibia interforze è partita il 29 agosto 2006 a bordo delle nostre unità anfibie, scortate dalla nave Garibaldi; dopo tre giorni è sbarcata, ha raggiunto l’area assegnata al confine tra il Libano e Israele, dove ha costituito un contingente di base a terra. Trascorsi due mesi, le truppe anfibie sono rientrate, sostituite da truppe dell’Esercito che sono ancora in loco con duemila uomini. L’operazione iniziale è dunque partita con le forze navali che hanno potuto avvalersi della loro versatilità strategica e autonomia logistica per il primo ed essenziale intervento.
D. Questo è un compito vostro?
R. È un compito tipico della Marina: raggiungere dal mare le aree critiche in vari Paesi, prossime al mare. L’operazione in Libano è stata esemplare per questo: mentre forze di altri Paesi erano bloccate nei porti e, una volta sbarcate, trovavano le strade interrotte, le nostre forze anfibie sono andate direttamente dalla spiaggia di sbarco alla zona assegnata, assistite tecnicamente, logisticamente e operativamente dal mare. Ecco perché attribuiamo grande importanza alla proiezione dal mare verso terra di capacità militari o civili, in particolare quelle umanitarie: è questa una funzione strategica fondamentale della Marina insieme alla sorveglianza degli spazi marini. Una visione moderna della Marina che, dall’inizio del mio mandato, mi sono preoccupato di aggiornare con la definizione dei due ruoli fondamentali di impiego: la proiezione di capacità e la sorveglianza sul mare. Sorveglianza vuol dire conoscenza di tutto ciò che avviene nel mare sia in campo nazionale sia nel rapporto con le altre Marine del Mediterraneo e con le istituzioni statali.
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