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PAOLO DEL MESE :

SGRAVI ALLE IMPRESE CHE ASSUMANO GIOVANI
A TEMPO INDETERMINATO

a cura di Luca Cari

Paolo Del Mese,
presidente della Commissione
Finanze della Camera dei Deputati



Come tanti italiani
anch’io ho dei figli,
e non solo come politico
ma come padre di famiglia
mi pongo il problema
di cosa li attenderà
fra venti anni: se tutto
rimarrà com’è oggi,
il rischio per loro
di non avere pensione
è reale. Se devo
compiere un sacrificio
per garantire un futuro
ai miei figli e nipoti
lo faccio volentieri;
ma non lo faccio se
e nella misura in cui
i miei sacrifici possono
avere una destinazione
diversa. Il punto sta
tutto nella finalizzazione.


uali istanze devono essere esaudite con le risorse del «tesoretto» generato dal surplus di entrate fiscali nel 2006? Serve veramente una riforma del sistema delle pensioni e quali fini deve avere? Quanti e quali investimenti occorrono per il Sud? A questi ed altri interrogativi risponde, in maniera non sempre convenzionale, il presidente della Commissione Finanze della Camera Paolo Del Mese, eletto deputato nel 2006 per le liste dell’Udeur.

Domanda. È ormai prossima la scadenza del 30 giugno per l’approvazione del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria. La strada seguita sarà ancora quella dei tagli, così come nel 2006?
Risposta. Voglio prima di tutto esprimere un’eccezione di fondo rispetto al termine del 30 giugno, che ritengo inopportuno. In quella data, infatti, non ci sono ancora i dati di cassa finali e ci si basa, perciò, su una previsione che viene poi puntualmente smentita comportando, perciò, modifiche successive. Come Gruppo Udeur abbiamo presentato, subito dopo la Finanziaria 2007, una proposta per spostare al 30 settembre il termine di presentazione del Dpef. Ciò premesso, e per rispondere alla domanda, ritengo che non ci sarà bisogno di una ulteriore Finanziaria «pesante», purché venga rispettata la destinazione esatta del «tesoretto», che peraltro mi pare sia anche maggiore di quanto previsto in un primo momento. Ovviamente l’iniziativa spetta al Governo, anche se poi sarà il Parlamento a decidere. Penso, in ogni caso, che il Dpef si limiterà a proseguire nella strada intrapresa nell’anno precedente, e volta a raggiungere il pareggio di bilancio per la fine di questa Legislatura.

D. Sulla destinazione del «tesoretto» ciascuno propone la propria ricetta. Quali sono, secondo il presidente della Commissione Finanze della Camera, le priorità da soddisfare?
R. La discussione in corso sul cosiddetto «tesoretto» mi pare per certi versi superflua. Più volte ho detto e ripeto che l’Italia non ha risanato la propria posizione economica e finanziaria. Sono d’accordo quindi con la richiesta dell’Unione Europea, per la quale dobbiamo pensare prima di tutto a ridurre il nostro debito pubblico. Sarebbe sbagliato procedere con interventi settoriali e, magari, a confrontarci con il problema dei conti pubblici nella prossima Finanziaria. Mi sembra molto più serio destinare queste risorse al risanamento.

D. Uno dei punti fermi dell’attuale Governo, fin dal suo insediamento, è consistito nella lotta all’evasione fiscale. Quali interventi sono previsti per dare continuità a questo impegno?
R. Quello dell’evasione è un problema annoso, del quale sento parlare fin dall’inizio della mia esperienza di parlamentare, ormai di lunga data. Ma non mi pare un argomento sul quale si debbano fare troppi proclami: combattere l’evasione è un dovere, non un’eventualità; il non farlo dovrebbe suscitare scalpore, non il contrario. Lo dico da cittadino che paga le tasse fino all’ultimo centesimo e che non vuole, perciò, assistere a scene indecorose riguardo a modalità di accertamento e di riscossione che non riescono ad individuare fino in fondo fonti finanziarie ed economiche pure molto sviluppate. È doveroso, da parte dello Stato, intervenire per tirare fuori il cosiddetto sommerso. E se finora ciò non è accaduto, parte delle responsabilità ricade sullo Stato stesso che, almeno fino a qualche tempo fa, invece di eliminare ogni dubbio sull’illiceità di certi comportamenti, li ha, al contrario, alimentati.

D. Il sommerso però tuttora esiste, e in misura rilevante. Perché?
R. Si stanno compiendo dei passi in avanti e, da questo punto di vista, la Guardia di Finanza è meritevole di attenzione, di considerazione e di elogio, ma è ancora poco. Anzitutto credo che il cittadino debba avere piena coscienza del fatto che pagare le tasse è un dovere. Lo Stato non va visto come un avversario e, al posto di una contrapposizione, tra fisco e contribuente c’è bisogno di collaborazione. Fortunatamente, da questo punto di vista, fra Agenzia delle Entrate e contribuente si è instaurato un rapporto migliore, che lascia ben sperare per il futuro.

D. Altra questione al centro del dibattito politico, e non solo, è la riforma delle pensioni. Occorre davvero un ulteriore intervento su questa materia?
R. Come tanti italiani anch’io ho dei figli, e non solo come politico ma come padre di famiglia mi pongo il problema di che cosa li attenderà fra vent’anni, trent’anni: se tutto rimarrà com’è oggi, il rischio per loro di non avere alcuna pensione è reale. Non scendo nel merito dei singoli interventi, ma faccio una valutazione più complessiva: se devo compiere un sacrificio per garantire un buon futuro ai miei figli e nipoti lo faccio volentieri; ma non lo faccio se e nella misura in cui i miei sacrifici possono avere una destinazione diversa. Il punto sta dunque nella finalizzazione.

D. Oggi non è così? Crede, cioè, che sul problema delle pensioni ci sia un’impostazione sbagliata?
R. Esattamente. Si discute ancora sullo scalone, ma l’Italia si trova in Europa, in un sistema completamente globalizzato in cui non si possono più ingaggiare battaglie di retroguardia. Servono assunzioni di responsabilità da parte di tutti, compreso il sindacato, per trovare soluzioni che siano sì meno dolorose, ma con la consapevolezza che comunque comporteranno qualche sacrificio. Un sacrificio che tutti i cittadini ben pensanti hanno, a mio avviso, il dovere di sostenere, senza fare né confusione né qualunquismo.

D. Che cosa intende dire?
R. È facile dire che si vuole la pensione e che la si vuole la più elevata possibile. In realtà, il problema primario, e socialmente enorme, è costituito dalle pensioni minime, che sono ancora troppo basse. Per cui se ci sono delle disponibilità, con senso di responsabilità da parte di tutti, bisogna prima agire per elevare queste. Gli attuali limiti di risorse impongono delle scelte. E allora prima il rigore, tenendo d’occhio i bisogni dei cittadini più poveri, e poi, se ci saranno spazi, interventi equi per favorire il miglioramento complessivo.

D. Altra questione verso la quale il Governo ha mostrato la propria attenzione, ulteriormente ribadita dopo il Family Day del 12 maggio, sono gli aiuti alle famiglie. Sono giusti gli interventi in questo senso?
R. Qualche tempo fa parlavo di questo tema con Giulio Andreotti, il quale mi raccontava di come la Costituente si fosse preoccupata, all’epoca, di fare riferimento in maniera non corposa all’azione familiare, in reazione alla legislazione, invece assai corposa, in favore della famiglia prodotta nel corso del precedente regime fascista. Oggi siamo all’estremo opposto: la famiglia è il nucleo fondamentale di una società civile e, anche mettendo da parte le polemiche sui Dico, da sempre quanto più è solida la famiglia tanto più cresce la società. Attualmente vi sono molte famiglie bisognose, con il problema soprattutto della casa. La Finanziaria ha previsto interventi al riguardo, ma occorre fare di più per salvaguardare il benessere della società. Dall’altra parte, però, mi pare che si faccia troppo appello alla piazza: le manifestazioni vanno bene per rappresentare un problema, ma poi la discussione deve avvenire nei luoghi preposti a livello istituzionale. Comportarsi altrimenti è sintomo, a mio avviso, di un’involuzione.

D. Altri temi delicati sono quelli dell’occupazione e del precariato. Qual è il suo punto di vista in merito?
R. Quello del precariato è un problema che ritorna puntualmente. Non vi è dubbio che la legge Biagi abbia avuto ed abbia un grande merito, quello di dare ai giovani la prospettiva di un inserimento, anche se temporaneo e a termine, nel mondo del lavoro. Però non è risolutiva, perché spesso un giovane entra sì in un contesto lavorativo, ma poi torna punto e daccapo, come se non fosse accaduto nulla. Quindi, da un punto di vista di principio rispetto a un principio di equità generale, interventi tesi alla sanatoria del precariato sono opportuni e vanno adottati. Vanno però considerati aspetti di carattere giuridico, a volte di natura complessa, oltre che i soliti vincoli di bilancio. E tuttavia una risposta convincente va data, perché se la politica non è in grado di prospettare soluzioni ai problemi dei giovani, crescono inevitabilmente la disaffezione e il distacco di questi ultimi.

D. Cosa dovrebbe fare il Parlamento per tentare una soluzione su questi temi?
R. Adottando interventi come, ad esempio, le detrazioni fiscali fino a diecimila euro per le imprese che assumano giovani a tempo indeterminato, si può cominciare a superare una fase di transizione che dura da troppo tempo. Sperare nell’intervento dell’Amministrazione pubblica per superare i problemi occupazionali del Paese è illusorio, perché non ci sono risorse. Dobbiamo invece creare un Pubblica amministrazione snella, professionalmente aggiornata, capace di rispondere alle esigenze del mercato e della società. In generale, occorre creare un sistema più dinamico. Ricordo che negli Stati Uniti non esiste alcuna sicurezza del posto di lavoro.

D. È un modello che potrebbe essere esportato anche in Italia?
R. Quello americano è un sistema assai diverso dal nostro, ma è altrettanto vero che l’Italia ha il dovere di migliorare il proprio, ormai antiquato. È quello che stiamo facendo, con una politica dei «piccoli passi» i cui risultati forse non si colgono ancora, e che tuttavia opera per cercare di snellire l’attuale farraginosità della macchina pubblica e creare occasioni di sviluppo. Personalmente credo molto nell’iniziativa privata: compito dello Stato è realizzare le infrastrutture e, in generale, creare le condizioni perché un’iniziativa economica privata abbia risultati pratici anche in termini occupazionali.

D. Il mondo del pubblico impiego continua però ad essere percorso da malumori e malesseri, sia in chi vi opera sia nei cittadini che fruiscono dei suoi servizi. Come uscire dall’impasse?
R. Per prima cosa i contratti vanno rispettati. Detto questo, parlare di centouno euro lordi in più al mese può sembrare ben poca cosa; però poi bisogna moltiplicare questa piccola cifra per il numero dei dipendenti pubblici, e allora le cose cambiano. Personalmente provengo dalla Pubblica amministrazione e ho sperimentato direttamente quanto sia sbagliato concentrare l’attenzione sempre sul miglioramento economico tout court.

D. Perché?
R. Perché, pur continuandosi sempre a parlare di produttività e di raggiungimento di obiettivi, quando nella pratica c’è da decidere come destinare disponibilità in favore dei dipendenti pubblici si finisce sempre con il seguire un criterio paritario: se ci sono mille euro, si fa uno per ciascuno e non se ne parla più. Bisogna invece, a mio avviso, inserire dei meccanismi che premino il merito, in modo da trasformare progressivamente il pubblico impiego come un elemento di traino e non di peso per il funzionamento dell’economia nazionale.

D. Si riferisce alla possibilità di privatizzazione?
R. Non è pensabile privatizzare settori strategici per la vita del Paese, ma altri sì, fra cui tutto ciò che riguarda i servizi. Personalmente, non nascondo che privatizzerei per intero il settore della sanità.

D. Fra i settori strategici figurano le infrastrutture, nelle quali l’Italia accusa un ritardo drammatico. Ci sono, intanto, le risorse finanziarie per terminare i lavori già iniziati?
R. Non si può costruire tutto contemporaneamente, una selezione va compiuta ed è giusto farla. Le risorse disponibili vanno concentrate in primo luogo nelle opere che devono essere completate, altrimenti si aprono tanti cantieri che poi, poco a poco, siamo costretti a chiudere. È stato sempre questo, inutile nasconderlo, uno dei più gravi difetti italiani.

D. Quali investimenti sono prioritari, in particolare, per il Sud?
R. Innanzi tutto quelli per la Salerno-Reggio Calabria, che è l’opera più importante. Anche in questo caso ritengo però che si debba fare qualcosa in più, di nuovo voglio dire, al di là della del ponte sullo Stretto di Messina il cui dibattito mi sembra, in verità, ridicolo: se si ragiona in termini di priorità, e se si pensa ai problemi della Sicilia, il ponte sullo Stretto non mi pare che si trovi in cima alla lista.

D. Cosa pensa della politica delle privatizzazioni in economia? Ritiene corretta la strada intrapresa e se sì, come va continuata?
R. Sono favorevole alle liberalizzazioni in materia economica, ma sono per interventi più programmati. Ci sono settori rispetto ai quali lo Stato non ha più la necessità di presenza, e l’esperienza delle partecipazioni statali è tramontata in tutto il mondo. Tuttavia, se non si fa attenzione, fra poco si rimpiangerà quel tipo di sistema che ha garantito, perlomeno, una serietà di interventi e di impegni. Credo nelle liberalizzazioni serie, che rispondano prima di tutto ad esigenze di un’economia globalizzata. La difesa della cosiddetta italianità è ridicola, nella misura in cui non si tratti di difendere settori particolari. Prendiamo l’esempio Telecom Italia: è chiaro che la rete telefonica non deve andare in mano agli stranieri, ma per quanto riguarda il servizio, non credo che l’arrivo degli stranieri sarebbe così deleterio.

D. E per l’Alitalia?
R. Credo che sia possibile arrivare ad una svolta per l’Alitalia. L’attuale procedura di gara, con la partecipazione di importanti realtà industriali e finanziarie sia italiane sia straniere, mi sembra andare nella direzione giusta. Di sicuro non bisogna cedere rispetto alle tentazioni di rinviarne la soluzione: momenti di indecisione non sono condivisibili.

D. Un’ultima domanda. Si discute, anche all’interno del Governo, di rendite patrimoniali, di revisione degli estimi catastali, di riduzione dell’Ici per la prima casa. A quale conclusione si arriverà?
R. Il tema è molto delicato ed oggetto, in questo momento, di discussione della Commissione da me presieduta. Personalmente ritengo che un provvedimento relativo all’Ici sulla prima casa debba essere collegato ad una revisione degli estimi catastali. Nello stesso tempo, sarebbe un errore rivedere gli estimi senza poi ridurre l’Ici. Credo, insomma, che sia giusto fare le due cose contemporaneamente.

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