back

CARLO LONGO:

DISTRETTI
ALLA RISCOSSA,
L’ESEMPIO PARTE
DA PRATO

 

Carlo Longo,
presidente dell’Unione
Industriale Pratese

«Passato il primo
periodo di crisi,
durato qualche anno,
si è assistito all’inizio
della resurrezione.
Attualmente, nonostante
la persistenza di alcuni
problemi, le aziende
del distretto tessile
di Prato hanno
ricominciato a lavorare. Non si può affermare che la situazione
sia brillantissima,
ma non si esagera
se si definisce brillante»


ato a Prato nel 1962 e dedicatosi già a 22 anni all’azienda di famiglia operante in quel settore tessile destinato, per la sua operosità ed eccellenza, a creare ben presto uno dei primi e forse il più fiorente distretto industriale italiano, presto Carlo Longo si dedicò al mercato internazionale avviando nel 1995 a New York un’azienda importatrice e distributrice di filati e, un paio di anni dopo, un’altra azienda specializzata nella produzione di ciniglia. Giunta a occupare fino a 90 dipendenti - attualmente ne ha 40 - e un’estensione di circa 9 mila metri quadrati coperti, oggi essa produce e distribuisce negli Stati Uniti circa 2 milioni di chilogrammi di filati. Successivamente Longo ha avviato nello stesso settore della produzione di ciniglia una fiorente attività in Romania. Nella sua Prato ha costituito anche ulteriori società sempre nel campo dei filati per l’arredamento.

Ha avuto varie cariche: presidente dell’Unione Industriale Pratese, carica tuttora ricoperta; membro di Giunta della Confindustria Toscana, consigliere di amministrazione della CariPrato del Gruppo Banca Popolare di Vicenza; consigliere del Cnel. In questa intervista fa il punto sulla situazione odierna e sulle prospettive di uno dei più sorprendenti fenomeni dell’Italia del dopoguerra, tuttora vitale nonostante le difficoltà determinate dalla globalizzazione: il miracolo del distretto tessile di Prato.

Domanda. Quali conseguenze ha avuto l’apertura dei mercati mondiali sul distretto produttivo di Prato?
Risposta. Come la maggior parte dei distretti industriali italiani, anche quello di Prato è stato notevolmente colpito. Ma non si può attribuire la colpa di tutto quanto è avvenuto, e avviene tuttora, alla globalizzazione. Certamente la repentina e rapida apertura dei mercati ha determinato, o quanto meno ha contribuito a determinare un brusco cambiamento nella situazione. Prato è un distretto organizzato a filiera, diverso da altri nei quali si producono, ad esempio, soltanto gli occhiali. Nel distretto di Prato si fa tutto quello che riguarda il settore tessile, quindi una serie di lavorazioni diverse. Questo comporta che alcune di esse possono tuttora conferire al prodotto un valore aggiunto e quindi resistere soddisfacentemente sul mercato, mentre altre hanno maggiori difficoltà nell’evidenziare il loro apporto di valore aggiunto ai prodotti. Per cui il distretto va incontro a vari e rilevanti rischi, il primo di tutti consistente nella mancanza di produzione in una parte della filiera.

D. È possibile fronteggiare questa situazione e in che modo? Come avete reagito a tali fenomeni imprevisti?
R. Innanzitutto ci si è dovuti rendere conto che la globalizzazione è un processo che non lascia alternative. Ma questo non significa che l’apertura dei mercati internazionali non poteva essere in qualche modo prevista e che, pertanto, i responsabili avrebbero potuto e dovuto preparare il mondo imprenditoriale a fronteggiare i relativi rischi.

D. Chi intende, in particolare, per responsabili?
R. Non intendo attribuire la colpa, come solitamente si usa, solo ai politici, ma indubbiamente tutto il sistema è stato in qualche modo colto di sorpresa. Siamo passati di colpo da un anno soddisfacente, che ha presentato risultati positivi, precisamente il 2000, a un anno nel corso del quale abbiamo assistito a un calo della produzione. Nel 2001 si è rovesciata la tendenza e nel giro di appena qualche anno si è verificato addirittura il crollo della produzione.

D. È ancora questa la situazione? Che cosa avete fatto, come hanno reagito gli imprenditori colpiti da questa crisi?
R. Dopo un paio di anni di disorientamento, questa popolazione ha confermato le antiche doti di laboriosità, correttezza, impegno nel lavoro, attaccamento ai principi e alle tradizioni, serietà nei rapporti con i tradizionali interlocutori: banche, sindacati, clienti. La maggior parte degli imprenditori si sono rimboccate le maniche. Il distretto non era e non è costituito da poche e grandi aziende, ma da una miriade di piccolissime imprese, talvolta costituite da due o tre addetti, in grandissima parte a conduzione familiare. Questa struttura ha reso possibile e anzi ha favorito la diversificazione delle attività; quindi, trascorso un primo periodo, la natura del distretto si è via via modificata, ad alcune attività della filiera sono subentrate altre, si sono verificate delle perdite, delle chiusure di aziende, ma in percentuale sono state relativamente limitate rispetto al complesso delle piccole aziende preesistenti. Abbiamo fermato alcune lavorazioni, spostato l’attività verso prodotti più qualificati, adottato decisioni necessarie per ritrovare la produttività. Il distretto sta cambiando e continuerà a cambiare, altre aziende chiuderanno e altre apriranno, come succede da qualche anno. Curiamo settori di nicchia, come quello delle confezioni.

D. La crisi è stata completamente superata o vi sono ancora delle difficoltà? E in quale misura?
R. Passato il primo periodo, durato qualche anno, si è assistito all’inizio della resurrezione. Per cui attualmente, nonostante la persistenza di alcuni problemi, le aziende a Prato hanno ricominciato a lavorare. Non si può certo affermare che oggi la situazione sia brillantissima, ma non si esagera se si definisce brillante. Grazie all’innovazione e all’automazione i risultati sono ridiventati soddisfacenti, e posso affermarlo anche in base alla mia esperienza e alle conoscenze che possiedo grazie alla mia posizione di consigliere di amministrazine della CariPrato, istituto di credito del Gruppo Banca Popolare di Vicenza.

D. Quali sono state le conseguenze sul piano occupazionale?
R. L’occupazione è tornata ai massimi livelli, la disoccupazione oggi esistente è quella fisiologica del sistema, possiamo guardare con maggiore serenità al futuro perché, nonostante la chiusura di alcune aziende, la flessione del 2001 è stata riassorbita. Certo i numeri non sono più quelli del 2000, ma per l’occupazione si assiste a un fatto strano, difficile da spiegare nei dettagli: la disoccupazione è sotto il 5 per cento; nonostante la mobilità e i problemi delle aziende, la manodopera viene riassorbita.

D. Ci sono stati trasferimenti di aziende e di attività all’estero? E in quale misura?
R. Ve ne sono stati molto meno di quanti ci si aspettava. Come è avvenuto anche nella mia azienda, con l’innovazione, l’automazione e la diversificazione si è riuscti a colmare le diseconomie dovute al fatto che la filiera produttiva del distretto non era più competitiva, per cui la crisi è stata superata anche prima di quanto ci si aspettasse. Ma dal momento che oggi l’imprenditore, se vuole sopravvivere, deve impegnarsi a fondo nell’azienda e non può andare in giro a controllare se domani splenderà il sole o pioverà, se avessimo previsto prima la crisi, e più precisamente se chi doveva avvertirci l’avesse fatto, certamente molti danni sarebbero stati evitati o comunque sarebbero stati limitati.

D. Chi vi ha consigliato ad innovare, automatizzare, diversificare, in una parola ad investire e rischiare altri capitali, anziché lasciarli improduttivi o metterli al sicuro all’estero?
R. Non è un problema di consigli: in certi frangenti a un imprenditore, piccolo o grande che sia, si richiede solo il coraggio di compiere determinate scelte, anche rischiose. E posso assicurare che da un male può derivare anche un bene. Un esempio è costituito dal settore delle confezioni, che prima della crisi praticamente non esisteva nel distretto produttivo di Prato, e che ora invece rappresenta il 25 per cento delle esportazioni.

D. Che cosa ha rappresentato e che cosa tuttora rappresenta per voi la concorrenza cinese?
R. Dobbiamo riconoscere per prima cosa che proprio la comunità cinese, molto numerosa nel distretto di Prato, può costituire per noi una grande opportunità. Rimane comunque il grave problema dell’illegalità diffusa in questa comunità. Ma che a Prato arrivino nuove risorse dall’esterno è un fatto positivo. Ricordo che mio padre negli anni 50 emigrò dal Sud d’Italia per venire a lavorare da queste parti, dove tutti potevano crescere e guadagnare perché c’era lavoro per tutti. Anche lui e tanti come lui hanno contribuito a creare una zona ricca, un campione nazionale che a un certo punto era diventato o considerato addirittura scomodo, per la serietà e la laboriosità, dal resto del Paese.

D. Ma come si può dire che oggi sia la stessa cosa di 50 anni fa?
R. Indubbiamente negli ultimi tempi il distretto ha registrato una perdita di competitività rispetto a qualche anno fa, ma non è facile risolvere i problemi: non vi sono 4 grandi aziende ma 7.300 piccole, che trovano ognuna un’infinità di ostacoli allo sviluppo. Basti pensare al costo dell’energia: le piccolissime imprese hanno oneri fiscali molto maggiori dei grandi utenti. Pensiamo anche alle lungaggini amministrative. In altri Paesi i costi per queste voci corrispondono alla metà di quelli che si incontrano in Italia.

D. Molti costi non dipendono anche dalle aziende, ad esempio quelli per l’inquinamento ambientale prodotto dalle aziende stesse, o per la depurazione delle acque?
R. Noi vantiamo una tradizione di esemplare collaborazione con la Pubblica Amministrazione. Nel settore del riciclo e della depurazione delle acque, per esempio, il distretto di Prato registra un sistema unico, con un pregiudizio ambientale bassissimo, affrontando ovviamente alti costi rispetto a chi non si pone questi problemi e scarica ovunque gli scarti delle lavorazioni. È questo il caso dei nostri più agguerriti concorrenti cinesi e di altri Paesi extracomunitari. È per noi motivo di amarezza constatare come le soluzioni che abbiamo adottato non riescano ad essere valorizzate dal punto di vista del mercato.

D. In che consistono tali soluzioni?
R. In un sistema centralizzato di depurazione costituito da impianti collegati con utenti domestici e industriali grazie a un reticolo fognario. Un sistema che offre vari vantaggi: economie di scala sui costi di investimento e di esercizio degli impianti; effetto omogeneizzante della rete fognaria mista; impiego di professionalità specifiche per la gestione; conservazione nelle fabbriche degli spazi per usi più attinenti alla produzione; liberazione delle aziende da gran parte degli oneri organizzativi connessi con la depurazione degli scarichi. Gestito dalla società pubblico-privata Gida, il sistema consente la depurazione dei reflui civili e industriali e il loro affinamento per il riutilizzo a scopi produttivi e di distribuzione. Oggi Prato depura la totalità dei propri scarichi, civili e industriali, condizione rara in Italia perché la Gida gestisce anche l’acquedotto industriale pratese, struttura che non ha uguali in Italia e pochi nel mondo: è una rete parallela a quella dell’acquedotto per uso civile, che serve le sole imprese idroesigenti ed essenzialmente quelle tessili di tintoria e nobilitazione che impiegano molta acqua nelle loro lavorazioni, fornendole di acqua depurata e riciclata, in modo da preservare le risorse idriche naturali.

back