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GIORGIO BENVENUTO: giusto spiegare alla gente tutti i perché
della finanziaria

Giorgio Benvenuto,
presidente della Commissione Finanze
del Senato


«Gli obblighi
verso l’Unione Europea
si sono ripercossi
sulla predisposizione
di una Finanziaria
che appare ancor più severa
se si pensa all’incauta
campagna elettorale
cui avevamo assistito;
basta ricordare
le promesse di alcuni
suoi protagonisti
di abolire l’Ici, togliere
tasse di qua, tagliarle
di là, creando così
molte aspettative
che devono fare
i conti con la realtà»


residente della Commissione Finanze del Senato, il sen. Giorgio Benvenuto è stato, per la propria carica ma anche per la lunga esperienza di sindacalista e di difensore non solo dei lavoratori ma di tutti i cittadini, tra i più coinvolti nell’arroventato clima instauratosi a Palazzo Madama durante il dibattito sulla legge finanziaria relativa al 2007: e in particolare sulle misure fiscali adottate nell’ambito della cosiddetta manovra finanziaria. Oltre alla ridottissima maggioranza di cui dispone, alle perplessità nel proprio interno, alla pesante offensiva scatenata per l’occasione dalla minoranza di centrodestra, il centrosinistra ha dovuto affrontare il malcontento di vaste categorie e in particolare dei lavoratori autonomi, dai liberi professionisti ai più modesti possessori di partita Iva, colpiti non solo dagli inasprimenti fiscali ma da obblighi, adempimenti e procedure pesanti e per di più, secondo loro, di incerta efficacia. In questa intervista a Specchio Economico il presidente Benvenuto illustra i motivi che hanno indotto il Governo a varare una Finanziaria così pesante e le possibilità esistenti di attenuarne, ove possibile, via via il rigore recependo le istanze di vaste categorie.

Domanda. Perché una Finanziaria a detta di tutti così severa?
Risposta. La Finanziaria 2007, con i decreti legge connessi, è partita con limitati spazi di manovra in quanto il Governo di centrosinistra doveva comunque onorare l’impegno, in precedenza assunto dal Governo di centrodestra con l’Unione Europea, di far rientrare il debito pubblico nei parametri stabiliti nel Trattato di Maastricht. I Governi che si susseguono, anche se di diverso colore politico, non possono ignorare o disconoscere gli impegni internazionali del Paese; devono sempre osservare una certa continuità di azione.

D. La partecipazione all’Unione Europea quindi si traduce in maggiori imposte?
R. Se è vero che noi abbiamo questo vincolo europeo, è anche vero che ci si sono presentate due opportunità. La prima, costituita dal maggiore prestigio che l’Italia, con il concorso di tutte le forze politiche interne anche di opposizione, ha acquisito sui temi di politica europea e internazionale in seguito all’invio del nostro contingente militare nel Libano; questo impegno ha rafforzato la nostra posizione nei confronti dell’Europa. Proprio a causa di ciò, la seconda opportunità consiste in una maggiore comprensione per le manovre che dovranno essere attuare non solo per risanare le finanze del Paese, ma anche per creare le condizioni per modernizzarlo.

D. A che cosa va attribuito l’aumento del gettito fiscale che si è registrato negli ultimi mesi?
R. Io ritengo inesatto attribuirne il merito all’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti o all’attuale viceministro Vincenzo Visco. È l’effetto di due fattori: la fine della stagione dei condoni che era già cominciata un anno fa, e una rinnovata efficienza da parte dell’apparato fiscale e della Guardia di Finanza. Le cause sono queste; come si può pensare che, solo perché sia cambiato il Governo, i contribuenti si mettano a pagare più imposte e tasse?

D. Gli inasprimenti fiscali e le penalizzanti procedure imposte per i pagamenti delle prestazioni dei lavoratori autonomi non rischiano di bloccare sul nascere la piccola ripresa economica che si annunciava?
R. Gli obblighi che abbiamo verso l’Unione Europea si sono ripercossi fatalmente sulla predisposizione di una legge finanziaria che appare ancor più severa se si pensa all’incauta campagna elettorale cui avevamo assistito: basta ricordare le promesse, fatte da alcuni suoi protagonisti, di abolire addirittura l’Ici, di togliere le tasse di qua, di tagliarle di là e così via. In tal modo si sono create molte aspettative che, naturalmente, devono fare i conti con la realtà. Agli elettori, e agli italiani in particolare, bisogna invece dire sempre la verità, spiegare sinceramente e dettagliatamente la situazione e le prospettive.

D. Ma questa legge finanziaria è positiva o negativa, penalizzante o equa per gli italiani?
R. A mio giudizio essa contiene alcuni cardini essenziali per le finanze pubbliche e per favorire la ripresa economica. Le sue misure sono improntate infatti al rigore, e il rigore è un fattore diverso dai tagli. Da anni siamo abituati a sentire parlare di tagli, ma questi riguardano la spesa pubblica in generale, anche quella necessaria al buon funzionamento dello Stato e degli enti locali; il rigore, invece, consiste nell’affrontare il problema degli sprechi, del parassitismo. Noi sappiamo dove si annidano queste sacche negative, per cui riteniamo che la legge finanziaria contenga buone intenzioni. Essa non riesce, tuttavia, a coprire tutta l’area in cui si dovrebbe intervenire per migliorare i conti dello Stato, a cominciare dal settore previdenziale.

D. Perché tanta insistenza nel volere la riforma delle pensioni?
R. La riforma del sistema pensionistico è di importanza fondamentale perché alcuni dati obiettivi dimostrano l’aumento della vita media della popolazione, un fenomeno che rende necessaria una revisione dei meccanismi dello Stato sociale. Al momento la questione si è dovuta rinviare di tre mesi, da gennaio a marzo, in base a un impegno assunto con i sindacati. Ma è un’esigenza fondamentale, come lo sono quelle relative ai tagli, agli sprechi, ai costi della politica. Bisogna riconoscere che tutto questo nella legge finanziaria è evocato, ma la sua attuazione deve fare i conti con la realtà.

D. Per stimolare la ripresa occorrono investimenti, ossia immissione di capitali nel processo produttivo e quindi nei consumi; l’aumento delle imposte sottrae invece disponibilità alle famiglie e alle imprese, riduce i consumi, la produzione, l’occupazione senza corrispondenti investimenti pubblici. Non è una contraddizione?
R. Solo apparente, perché una parte delle nuove entrate fiscali vanno proprio destinate agli investimenti pubblici, ovviamente scelti sulla base di opportune priorità. So di attirarmi le critiche di molti se dico che, proprio per stimolare lo sviluppo, è opportuno rinviare a tempi migliori la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. Perché, a mio giudizio, vanno affrontati e risolti prima i problemi dell’alta velocità, della mobilità di merci e passeggeri, delle infrastrutture insufficienti in Piemonte, in Lombardia, in Liguria e in altre aree del Paese in cui più intensa è l’attività economica. Poiché i fondi pubblici sono limitati, bisognerebbe immaginare qualcosa di diverso dal progettato impiego, in opere pubbliche, del trattamento di fine rapporto dei lavoratori; bisognerebbe avere nuove idee per coinvolgere i capitali privati nella realizzazione delle infrastrutture, per stimolare un interesse in tale direzione.

D. Ritiene che le misure fiscali non determinino una maggiore evasione? E che la lotta contro questa possa dare risultati consistenti e soprattutto nel breve termine?
R. Sono convinto che l’evasione fiscale, che si calcola ammonti a 200 miliardi di euro l’anno, vada combattuta decisamente perché la sua dimensione è patologica, doppia di quella, fisiologica, esistente negli altri Paesi europei. Riguarda una quota consistente del prodotto interno, è così imponente che, per combatterla, occorrono strumenti e sistemi diversi. Ma respingo anche la spiegazione che le prospettate misure fiscali costituiscano una vendetta dei poveri contro i ricchi, come pure non ritengo produttivo criminalizzare la categoria dei liberi professionisti. Non comprendo questa divisione in poveri e ricchi, in ceto medio e in non so quale altro ceto. A mio parere siamo tutti ceto medio. Ho fatto il sindacalista e per tutta la vita mi sono impegnato per far scomparire la povertà, per far star meglio la gente; non ho mai considerato il ricco un nemico, né ritenuto la proprietà un furto; non sono neppure convinto che un cammello possa passare per la cruna di un ago più facilmente di un ricco. Ma ritengo l’evasione fiscale oltreché iniqua, dannosa per il mercato, per cui va contrastata.

D. Non si evade il fisco perché le tasse sono eccessive? E perché è difficile, se si pagano tutte, pareggiare il bilancio familiare o dell’impresa?
R. Quando si pensa all’evasione fiscale si evocano le figure dell’idraulico, del parrucchiere, del gioielliere, ma vanno considerati ben altri casi. Cito due esempi. Iva al lordo e Iva al netto: su 110 miliardi lordi di euro che dovrebbero costituire l’ammontare del gettito dell’Iva, lo Stato incassa realmente, al netto delle restituzioni, 80 miliardi; questo indica che, tra tante piccole e medie aziende oneste, ve ne sono molte costituite solo per emettere false fatture. È un aspetto che va affrontato, perché è caratteristico di come si arrangia il Paese. Un altro esempio riguarda le compensazioni: il contribuente può compensare la somma che deve versare al fisco con quella che deve riavere da esso, ma a volte sono operazioni indebite, che riescono perché non vengono fatti i necessari controlli a posteriori. A proposito di controlli, un altro esempio, legato ai condoni: una norma stabiliva che il cosiddetto «condono tombale» scattasse al pagamento della prima rata dell’imposta evasa; molti evasori, per mettersi in regola, hanno versato la prima rata, hanno beneficiato del condono tombale ma si sono «dimenticati» di pagare quelle successive.

D. Il Fisco quindi non incassa le somme accertate agli evasori?
R. Il problema di fondo del Paese è costituito dall’evasione fiscale ma anche dalla riscossione. Va riconosciuto all’ex ministro dell’Economia Tremonti di aver fatto qualcosa che adesso noi desideriamo perfezionare; ma se si accertano 100 euro di tasse evase, se ne riscuotono 5 mentre il procedimento costa 6 euro. È una situazione che non va, il fenomeno dell’evasione fiscale, che è reale, deve ridursi. Ci sono commercianti che non rilasciano gli scontrini, ma non si può pensare che l’evasione fiscale si combatta facendo pagare di più quelli che guadagnano 70 mila euro all’anno perché paradossalmente, nel momento in cui si concentrano gli accertamenti su quello che costoro dichiarano, si finisce per far pagare meno tasse proprio ai gioiellieri che prima sono stati messi alla gogna perché i redditi che dichiarano sono i più bassi.

D. Che significa questo?
R. Che occorre rivedere gli studi di settore, raggiungere un’intesa con i liberi professionisti, perché lo Stato da solo non ce la fa a combattere l’evasione fiscale. La gente la combatte se sa che i proventi servono non ad alimentare spese senza fondo, ma a ridurre la pressione fiscale. Per fare questo abbiamo bisogno degli intermediari, che sono i commercialisti, i liberi professionisti ecc. Poiché è necessaria un’ampia collaborazione, non si possono mettere le dita negli occhi alle libere professioni; se non si colloquia con loro non si riesce a nulla, perché l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, che pure svolgono un’attività eccellente, non sono sufficienti per svolgere un’azione così diffusa; hanno bisogno di aiuto. Anche con i cittadini va rispettato lo statuto del contribuente, va mantenuto un rapporto leale, che oggi bisogna recuperare.

D. Come fanno gli altri Paesi?
R. In Spagna per combattere l’evasione fiscale il momento della percezione del reddito è stato avvicinato a quello della dichiarazione: questa si presenta alla fine dell’anno ed entro il marzo successivo il fisco conosce quello che il contribuente ha guadagnato; in Italia le scadenze sono troppo diluite, le aziende nate per emettere fatture false fanno in tempo a scomparire. Nella Finanziaria 2007 si è previsto di anticipare le scadenze, ma per fare questo si creano problemi con gli Ordini professionali e con i cittadini. Il Governo manifesta buona volontà ma non può imporre dall’oggi al domani una mezza rivoluzione. Ho sentito criticare la manifestazione di protesta dei liberi professionisti, io invece dico che bisogna capirli; sono stati colpiti 50 mila professionisti che rappresentano una consistente parte del Paese. Non possiamo distinguere le manifestazioni buone da quelle cattive, tutti devono essere ascoltati. Con gli Ordini professionali va ricreato un buon rapporto, perché il loro aiuto è fondamentale nella lotta all’evasione.

D. E con tutti gli altri contribuenti?
R. I problemi sono molti, non siamo in un’epoca in cui si possono fare riduzioni fiscali. Ma va spiegato meglio come e perché vengono modificate le aliquote delle imposte, e occorre essere ragionevoli perché molti provvedimenti sono discutibili. Quando il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi afferma che l’attuale manovra fiscale colpisce l’operaio con un reddito inferiore a 40 mila euro, non si può accusarlo di essere nemico del presidente del Consiglio Romano Prodi. Dice la verità, compie il proprio dovere. Bisogna introdurre correzioni, essere lineari, concentrare le riduzioni fiscali soprattutto sui figli e sulla famiglia anche indipendentemente dal reddito, perché la popolazione italiana ha il drammatico problema di una progressiva estinzione. È l’unico Paese in Europa che perseguita chi ha figli; è stata una politica costante di tutti i Governi degli ultimi anni. Se si vara una manovra fiscale, si deve tenere conto di chi è più povero ma svolgere anche un’azione coraggiosa in favore di chi ha figli. Oggi fare figli viene visto come un atto di destra o clericale; io ricordo che nel bellissimo dipinto di Pelizza da Volpedo che rappresenta i lavoratori in marcia ed è certamente di sinistra, figurano in primo piano una donna con il suo piccolo in braccio e nella prima fila un uomo con un bambino per mano.

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