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Ambiente

PAOLO TOGNI:
UNA LEGGE
PER IL BENESSERE FUTURO DELLE POPOLAZIONI


Il prof. Paolo Togni, direttore dell'Ufficio per la Comunicazione
e le Relazioni con il Pubblico
del Ministero dell’Ambiente

 

pprovata dal Parlamento allo scadere della Legislatura, una legge di estrema importanza per il benessere futuro della popolazione è passata pressoché sotto silenzio forse a causa del surriscaldato clima pre-elettorale e dei drammatici avvenimenti internazionali. Si tratta di un provvedimento con il quale il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare una serie di decreti legislativi per coordinare e integrare le norme su rifiuti, siti contaminati, gestione delle acque, tutela dall’inquinamento, difesa del suolo, lotta alla desertificazione, gestione delle aree protette, uso delle specie di flora e fauna protette, risarcimento dei danni ambientali, valutazione di impatto ambientale, tutela dell’aria, riduzione di emissioni nell’atmosfera.

Si tratta di una legge dalla quale scaturiranno una serie di norme destinate a colmare molte lacune e a porre l’Italia tra i Paesi più progrediti nella difesa dell’ambiente, della vivibilità, della salute e del benessere dei cittadini. Norme, alcune, audaci e rivoluzionarie, come quelle destinate a razionalizzare la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani con la creazione di grandi ambiti territoriali, dirette anche a stroncare le irregolarità e le infiltrazioni della criminalità organizzata.
Direttore dell’Ufficio per la Comunicazione e per le Relazioni con il Pubblico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, il prof. Paolo Togni ha seguito minuto per minuto la preparazione e l’iter parlamentare della legge delega; in questa intervista ne illustra alcuni significativi aspetti.

Domanda. Prevedendo l’emanazione di una moltitudine di decreti legislativi, non c’è grande incertezza sui tempi di attuazione della legge, anche in considerazione dell’incerto esito delle elezioni politiche del 9 aprile prossimo?
Risposta. Sono già pronti e saranno varati entro marzo una trentina di decreti attuativi dei circa 50 previsti. Qualunque sia l’esito delle elezioni, l’approvazione della legge da parte della maggioranza di centrodestra fornirà uno strumento utile per qualsiasi futura maggioranza, vantaggioso per tutta la popolazione e utile per le imprese.

D. Quale atteggiamento ha avuto la minoranza in Parlamento?
R. Ha attuato un’opposizione totale. Ma anche nella maggioranza non tutti erano consapevoli dell’importanza di questa normativa; è scarsa la conoscenza del campo ambientale, una lacuna che ancora non si riesce a colmare. Si attendeva il parere della Conferenza unificata degli enti locali, non preparata a ricevere questo provvedimento e tenuta a dare una risposta entro 30 giorni; i documenti le sono stati consegnati il 7 dicembre, con scadenza il 6 gennaio ma, ritenendo essa il provvedimento contrario alla Costituzione, non ha espresso un parere. Solo a fine gennaio la Conferenza, limitata però alle sole Regioni, ha espresso un parere, e neppure in maniera formale ma con un comunicato stampa.

D. A che punto è l’attuazione del nuovo sistema idrico nazionale?
R. La riforma delle gestioni idriche risale all’inizio del 1994, quindi siamo in grande ritardo. Nei 12 anni trascorsi è stato compiuto appena metà del lavoro. Questa estrema lentezza è da imputare sia all’azione ritardatrice svolta dai Comuni che provvedono direttamente e autonomamente alla gestione dei relativi servizi e non intendono rinunciarvi, sia alle perplessità suscitate in molti dall’incertezza delle procedure e delle prospettive. Ma si tratta di preoccupazioni infondate, determinate dalla sottovalutazione dei benefici che l’industrializzazione di un servizio o di un’attività arreca a chi ne usufruisce.

D. Quante sono le nuove aziende?
R. Per le gestioni idriche, con la riforma sono stati creati in Italia circa 120 ambiti territoriali e di questi, secondo le nostre risultanze, solo 8 hanno ottenuto un affidamento del servizio corretto; degli altri 112 circa la metà non l’hanno ancora avuto, e l’altra metà l’hanno ottenuto ma in maniera dubbia in quanto si è fatto ricorso a sotterfugi per dimostrare la partecipazione alle società di gestione di soggetti diversi, mentre in realtà i veri beneficiari erano sempre gli stessi. A rivelare nomi e cognomi è stata l’Unione Europea nel procedimento per infrazione alle direttive comunitarie avviato contro l’Italia per questo tipo di affidamenti. Tra i numerosi gestori coinvolti in questa attività l’Unione Europea ha citato l’Acea, la grande azienda al 51 per cento di proprietà del Comune di Roma, che fornisce energia elettrica, teleriscaldamento e acqua potabile e gestisce le acque reflue e le fognature di Roma e ora anche del Lazio.

D. Quali vantaggi avrà l’utenza?
R. Industrializzare significa aumentare la produttività e ridurre i costi per l’utenza, o anche mantenerli stabili in una fase in cui potrebbero facilmente lievitare, come quella attuale. E comunque diventano trasparenti: in passato, ad esempio, nei piccoli Comuni che gestivano direttamente il servizio idrico il costo del fontaniere veniva addebitato genericamente al Comune e pertanto inserito, nel bilancio comunale, nei costi di tutto il personale. Non si conosceva il reale vantaggio che al Comune e agli utenti derivava da tale gestione. Del resto rientra nella moderna organizzazione dello Stato la possibilità di affidare a terzi, dietro corrispettivo, la gestione dei servizi, mentre si finanziano con i proventi della fiscalità generale le attività non rientranti in tale settore.

D. Come si gestiranno i rifiuti?
R. Su tale problema abbiamo sostenuto che, se da un processo produttivo derivano scarti che possono essere riusati o nello stesso processo o in un altro, essi non devono essere considerati rifiuti, perché rifiuto è tutto ciò che non può essere reimpiegato in alcun modo. Il metodo della sinistra e dei verdi, che potrei definire «giurassici» in quanto ancorati a situazioni che non esistono più o non sono mai esistite, consiste nel compilare elenchi estremamente complessi di prodotti da trattare come rifiuti, e nell’imporre ai cittadini determinati comportamenti. Noi intendiamo, invece, stabilire obiettivi e suggerire come raggiungerli, senza imposizioni. Pertanto nella gestione dei rifiuti siamo passati dalla logica prescrittiva a quella prestazionale per evitare, con controlli severi, che nel perseguimento degli obiettivi si eludano le procedure, consentendo a qualcuno di seguire strade non perfettamente lecite. L’interesse della sinistra, in questo campo, consiste nel detenere posizioni di controllo nell’ambito della Pubblica Amministrazione e della Magistratura, parte della quale, a nostro avviso, o ignora le regole o non le fa rispettare.

D. Può fare qualche esempio?
R. La scorsa estate un pubblico ministero di Venezia ha sequestrato un carico di rottami nocivi, giunti via mare, applicando in modo errato una sentenza della Corte europea di giustizia. Contro tale decisione è stato presentato un ricorso; al giudice delle indagini preliminari la difesa ha precisato il quadro giuridico esistente allegando un articolo pubblicato da «Il Sole 24 Ore» e una lettera con la quale il capo del Gabinetto del Ministero dell’Ambiente ha invitato gli operatori danneggiati da analoghi provvedimenti a ricorrere contro i provvedimenti dei giudici, assicurando che il Ministero si sarebbe posto al loro fianco. È bastato questo a chiarire la situazione e a risolvere il caso.

D. Perché il centrodestra non dispone di organizzazioni ambientaliste come la sinistra, che invece ne ha molteplici?
R. Noi crediamo che, in questo come in altri campi, si debba seguire piuttosto il principio democratico secondo il quale è la maggioranza che deve prevalere.

D. Quali altri interventi di rilievo ha attuato il Ministero dell’Ambiente?
R. Un’altra iniziativa riguarda l’attuazione della direttiva dell’Unione Europea numero 35 del 2004, che ci ha spinto a definire la disciplina riguardante il danno ambientale. L’articolo 18 della legge 349 del 1986 prescrisse l’obbligo, per chi danneggia l’ambiente, di risarcire il danno. Di conseguenza fu stabilita una procedura che in 20 anni di applicazione ha fruttato alle casse dello Stato meno di un milione di euro, una somma irrisoria rispetto alla gravità dei danni ambientali provocati in quell’arco di tempo. Senza più ricorrere alla procedura dell’articolo 18, con la nuova disciplina varata il Ministero dell’Ambiente ha incassato, fino ad oggi, più di 800 milioni di euro; accertati i fatti denunciati o segnalati da enti locali, da associazioni ambientaliste o da cittadini, il ministro può emettere un’ordinanza immediatamente esecutiva.

D. Il danno involontario va risarcito come quello volontario?
R. Il nuovo meccanismo annualmente farà affluire alle casse dello Stato dai 2 ai 4 miliardi di euro, che serviranno per intervenire laddove i responsabili non abbiano provveduto in prima persona a ripristinare la situazione. Poiché il danno ambientale può essere anche accidentale, la procedura prevede che, al momento del suo insorgere, il responsabile è esente dall’ordinanza se lo comunica entro 24 ore all’organo competente; se non presenta la denuncia, si presume l’esistenza del dolo. Si assiste a episodi di inquinamento che, inizialmente di piccola entità, con il tempo diventano gravissimi. Per esempio, se 50 litri di sostanze altamente inquinanti impiegate da una tintoria finiscono in un acquedotto o in un fiume, danneggiano irrimediabilmente, o quasi, le acque e la fauna.

D. Che fa il Ministero in proposito?
R. Svolge attività di recupero dell’ambiente, di abbattimento di manufatti abusivi e di eliminazione degli illeciti nelle aree protette; interventi che annualmente raggiungono un discreto volume. In campo ambientale non ha più valore il principio classico del diritto privato, secondo il quale nessuno è obbligato a risarcire un danno in misura superiore alle proprie possibilità; il principio della non diretta collegabilità del danno alla struttura che l’ha determinato è stato affermato per la prima volta negli Stati Uniti, in seguito al naufragio della petroliera Exxon Valdez, avvenuto nel marzo del 1989 sulle coste dell’Alaska, quando dalla nave uscirono 40 mila tonnellate di petrolio che contaminarono 1.300 miglia di costa causando la morte di 250 mila uccelli marini; la compagnia fu costretta a pagare 20 miliardi di dollari tra multe e costi per il disinquinamento.

D. A quanto ammontano le somme stanziate dal Ministero?
R. Per interventi di reintegro delle situazioni di emergenza sono stati stanziati dai 3 mila ai 4 mila milioni di euro, 500 dei quali per la prevenzione. Si stima che la messa in sicurezza di tutto il territorio italiano costerebbe intorno ai 40 mila milioni di euro. Quando si formò l’alleanza che ha dato vita alla maggioranza di centrodestra, nel programma fu inserito l’impegno a stanziare, per la difesa del suolo, almeno 2 mila milioni di euro annui; la situazione economica successivamente determinatasi non l’ha consentito. Se si stanziasse quella cifra, in 10 o 12 anni potrebbe essere messo in sicurezza tutto il territorio nazionale con risparmi economici e di vite umane. Se la maggioranza uscente vincerà le elezioni, il progetto potrebbe essere perseguito o con fondi statali o con un prestito nazionale perché gli italiani sono sensibili a questo tema, o basandosi su norme europee. Inoltre abbiamo razionalizzato tutto il sistema delle VIA, le valutazioni di impatto ambientale che vengono svolte da vari organi del Ministero. Con la nuova normativa abbiamo creato una Commissione unica competente in materia, articolata, in una prima fase di attuazione, in Sottocommissioni che si occuperanno di ogni singolo problema. In questo modo si accelerano notevolmente le procedure. Nel 2001 per avere un giudizio Via si dovevano attendere 8 mesi o un anno, oggi per una Via ordinaria bastano 4 o 5 mesi, e per una Super Via circa 90 giorni.

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