back


Utopie e realtà

Come riconquistare
la libertà nell’attuale
regime di libertà

di Giorgio Fozzati


d eccoci ancora una volta buoni a tutti i costi, buoni per legge: è l’utopia della città perfetta, il sogno dei politici eterni candidati a tutto. Oggi ci sono le buche per strada, domani, con me, tutto andrà meglio. Sorridiamo guardando i manifesti elettorali, ci divertiamo a far impazzire i sondaggi, rispondiamo in un modo ma sappiamo che agiremo in un altro. Vogliamo avere la regia della nostra vita, siamo poco disposti a cederla in comodato gratuito. Chi dice che inasprirà il sistema di riscossione delle tasse per combattere l’evasione, riesce a offendere tutti quelli che le pagano e a lasciare indifferenti chi da anni si dedica a questo poco nobile sport.

Chi dice che va tutto bene, mente sapendo di mentire: crescono i nuovi poveri, diminuiscono i veri ricchi, spuntano come funghi i nuovi facoltosi. Sparisce la classe di mezzo, di nobili in giro se ne vedono pochi, quelli veri faticano a sopravvivere. La classe operaia non è andata in paradiso e, se continua a dar retta ai cattivi maestri, si sogna anche il purgatorio. Qualcuno dice ancora che sono tutte balle: non esiste l’inferno, e nemmeno il purgatorio. E nel caso in cui esistesse, te lo dice il saggio di turno, è vuoto. Temo che quando dovranno contraddirsi sarà tardi. Ci vediamo dopo.

Il quotidiano più sfogliato d’Italia sferra attacchi acuti contro la religione cattolica, ma mette in prima pagina la satira che adira l’imam. Inutile protestare: su Gesù Cristo e la sua Chiesa è consentito sputare, lo hanno fatto fin dall’inizio, confrontare il Vangelo per credere. Dan Brown ha il permesso di oltraggiare tutto e tutti, di sparare le panzane più inverosimili: tanto è una fiction. A Trebisonda, che non è un paesino della Lucania ma una città della Turchia, un prete cattolico viene freddato a colpi di pistola nella sua chiesa. Questa non è fiction, è la realtà figlia della fiction e dell’intolleranza islamica.

Nel libro, che ha arricchito a dismisura lo scrittore americano e la casa editrice, la povera Opus Dei ci fa la figura della congrega assassina e spregiudicata. Conosco centinaia di donne e di uomini dell’Opus Dei che da anni si sporcano le mani in ogni angolo del mondo per tirare fuori dalla miseria intere popolazioni, che non hanno mai ammazzato nessuno e neppure se lo sognano. Che faticano a trovare aiuti economici perché i giornali dicono che l’Opus Dei è potente e ricca, e invece non è vero.

Onore agli sputati: sono tutti sulla strada giusta. Attenzione agli osannati, così come sono portati in tripudio mediatico presto potrebbero essere messi alla gogna, sempre mediatica. L’informazione ci condiziona, dirige il nostro pensiero, lo piega alla volontà del patto di sindacato che lo governa. Ma il cervello riesce sempre a dare un colpo di reni all’intelligenza delle cose e capiamo tutti che il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio non è stato disarcionato per una telefonata notturna o per quattro regalini, seppure inopportuni. Basta seguire quel che è successo dopo, quel che viene fuori dagli intrecci di una finanza spregiudicata che di certo non ha fatto gli interessi dei risparmiatori, categoria anche questa in via di estinzione. Viviamo un momento di caos, alcuni ci sguazzano, altri annaspano, i più soccombono.

Navighiamo immersi in una selva di regolamenti, divieti e permessi. Dal momento in cui usciamo di casa per andare al lavoro ci sono almeno dieci telecamere che, a nostra insaputa, spiano ogni movimento. Centinaia di persone sono pagate per guardarci, per verificare se entriamo nel Centro storico con o senza permesso, se dimentichiamo il nostro zainetto sulla panchina della stazione, se entriamo in banca e che cosa facciamo, se oltrepassiamo la linea del semaforo quando è rosso. Multe, sanzioni, verbali, accertamenti, adempimenti. Ci sono moduli da riempire per tutto, le firme per la tutela della riservatezza, le targhe pari e quelle dispari, le domeniche a piedi, i lunedì in tram. Divieto di fermata obbligatorio.

La riflessione tocca un punto nevralgico della nostra esistenza: come è possibile essere persone responsabili in mezzo a questo infittirsi di regole di comportamento che vorrebbero costringerci ad essere cittadini esemplari? Dove applichiamo la nostra sapienza, frutto della conoscenza e dell’esperienza? Che ne è della nostra libertà? Che fine ha fatto la coscienza individuale? Se la domanda che prevale è «Posso o non posso fare?», allora la domanda vera, «Che cosa è bene che io faccia?», scompare e con essa si arresta il processo di crescita responsabile. Ci vogliono le leggi, la giustizia è lo specchio della sicurezza per la convivenza di ogni Paese democratico. Ci vogliono i regolamenti, applicativi delle leggi. Ma non possiamo continuare a vivere in una società nella quale si pongono rimedi costringendo le persone dentro le regole.

Discutere di etica del comportamento senza i presupposti della coscienza è un po’ come cuocere una pizza senza pomodoro: manca l’ingrediente. Quando un funzionario ci risponde di applicare il regolamento, che se fosse per lui le cose andrebbero diversamente, è chiaro che non sta facendo bene il proprio lavoro, perché non vuole assumersi le responsabilità di applicare proprio quel regolamento alla singola persona che gli sta davanti. Allora è meglio un risponditore automatico, un robot: costa meno e non sciopera. Tanto il funzionario pubblico, come il dipendente dell’ impresa privata, deve sforzarsi di applicare la legge, il regolamento, al caso concreto: non può rimandare la responsabilità di una risposta vera ad altri.

Quanti solerti consulenti finanziari hanno rifilato le obbligazioni Cirio o Parmalat, o quelle del debito pubblico argentino, a migliaia di risparmiatori delle categorie più fragili come i pensionati, le vedove, gli extracomunitari? Hanno applicato le direttive dei loro superiori senza scrupoli, cioè senza coscienza. Hanno obbedito agli ordini senza il filtro della propria responsabilità. Si tratta di crimini gravi ai quali il nostro sistema giudiziario, così solerte e onnipresente, non ha saputo e voluto dare un’adeguata risposta. E il motivo è che un ordinamento giudiziario non può prevedere tutto: diventerebbe un elenco interminabile di casi e situazioni che perderebbe di forza proprio a causa della sua presunta completezza.

Il confine tra fare il bene e operare il male non è un’equazione algebrica, richiede una conoscenza dei fatti e delle situazioni, delle circostanze e delle condizioni personali. Bisogna riconoscere il male, individuare il bene. C’è bisogno di capacità di discernimento. Allo stesso modo i confini della libertà personale cominciano e finiscono dove si incrociano con la libertà degli altri. Occorre tornare alla formazione della coscienza: il mondo del lavoro ha bisogno di uomini e donne coscienziose, che si formino idee proprie, che sappiano guardare alla persona e si assumano volentieri le proprie responsabilità. Così potremmo procedere a una sana pulizia di leggi e regolamenti, con meno telecamere e divieti. Sarà una vita più difficile, perché è più comodo delegare ad altri le scelte da fare. Ma riconquisteremo una maggiore libertà personale, che è sempre frutto della responsabilità dei propri atti.

back