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FILIBERTO CECCHI:

COSI' NASCE,
RAPIDAMENTE, IL NUOVO
ESERCITO ITALIANO



Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito
illustra gli impegni, le prospettive
e i programmi della Forza Armata
italiana del dopo-leva,
ossia dopo la recente abolizione
del servizio militare obbligatorio,
in un momento ancora molto
delicato sotto il profilo internazionale


«Nell’Accademia
Militare abbiamo
45 domande per ogni
posto da Allievo
Ufficiale disponibile,
a Viterbo abbiamo
128 candidati per ogni futuro Sottufficiale;
anche per le nuove
figure dei Volontari
in ferma prolungata
i primi concorsi
hanno fornito
indicazioni confortanti:
3 candidati per ogni
posto a concorso»


a leva militare obbligatoria si è conclusa ormai da oltre un anno, esattamente da 14 mesi, ma la riorganizzazione della Forza Armata italiana, basata sulla completa professionalizzazione dello strumento, è tuttora in atto: i vertici militari sono impegnati in quest’opera molto delicata sia in se stessa sia in rapporto a tre altre condizioni ineludibili: la necessità di un contestuale ammodernamento tecnologico dei militari; le operazioni internazionali che coinvolgono sempre più l’Italia e che esigono la disponibilità di uno strumento dotato di particolare preparazione e attitudine; la limitatezza delle risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato. Creare, in questo quadro, la Forza Armata del futuro costituisce, pertanto, un compito particolarmente impegnativo. Fa il punto sui risultati finora conseguiti, sugli adempimenti in atto e sui programmi futuri il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale Filiberto Cecchi.

Domanda. Lei ha assunto il Comando dell’Esercito nel luglio del 2005, poco dopo la definitiva sospensione del servizio di leva; cosa cambierà nella Forza Armata sotto la sua guida?
Risposta. La mia azione non può che essere improntata alla continuità. La necessità di assicurare allo strumento terrestre flessibilità e versatilità, indispensabili per fare fronte ai compiti sempre più articolati e complessi, e la consapevolezza della difficile congiuntura economica che incide pesantemente sul bilancio della funzione Difesa, impongono infatti di proseguire con equilibrio e coerenza nel percorso di trasformazione avviato dai miei predecessori. In tal senso ritengo prioritario che il passaggio dal modello di leva al sistema professionale, sia portato a termine rapidamente e senza traumi per la Forza Armata.

D. Per l’Esercito si prevedono 112 mila uomini dei quali 76 mila volontari. Come procede il reclutamento?
R. Per quanto attiene al reclutamento degli Ufficiali e Sottufficiali, peraltro ormai consolidato, siamo ampiamente soddisfatti: nell’Accademia Militare, infatti, abbiamo 45 domande per ogni posto da Allievo Ufficiale disponibile, mentre a Viterbo nella Scuola Sottufficiali il rapporto è ancor più favorevole arrivando a ben 128 candidati per ogni futuro Sottufficiale. Nel settore dei volontari, con la sospensione della leva sono state introdotte le nuove figure dei Volontari in ferma prolungata. Anche in questo caso, comunque, i primi concorsi hanno fornito indicazioni confortanti, tanto che possiamo disporre di 3 candidati per ogni posto a concorso. Tutto questo, però, non è di per sé sufficiente. Al fine di rendere la professione militare appetibile e concorrenziale nel mercato del lavoro, infatti, è indispensabile assicurare il continuo miglioramento della qualità della vita, da conseguire attraverso l’attuazione di alcuni provvedimenti in diversi settori, tra i quali, in primo luogo, quello delle infrastrutture, con particolare riferimento agli alloggi per il personale volontario, ma anche tutti gli interventi finalizzati a dare risposta alle aspettative dei nostri uomini e delle nostre donne, sia dal punto di vista delle possibilità di carriera sia da quello di una migliore remunerazione di rischi, disagi e responsabilità, tipici della condizione militare.

D. L’Esercito contribuisce con quasi 10 mila uomini alle missioni operative. Può illustrare gli attuali impegni dell’Esercito in ambito internazionale?
R. Attualmente circa 7 mila militari sono impegnati fuori dai confini nazionali, in teatri operativi sovente caratterizzati da alto livello di degrado e di rischio. Un impegno forte, corrispondente al 75-80 per cento dell’intero dispositivo militare nazionale che fa ricadere proprio sulla componente terrestre l’onere maggiore per lo sviluppo delle attività connesse con le «Crisis Responce Operations» e per gli interventi di ricostruzione, stabilizzazione e assistenza umanitaria. Si tratta di un sforzo quantitativo ma anche qualitativo notevole, che non ha precedenti dalla fine del secondo conflitto mondiale, soprattutto se si tiene conto che l’Italia ha di recente assunto la guida delle missioni in Bosnia, Kosovo e Afghanistan.

D. La recrudescenza della minaccia terroristica ha portato in primo piano la necessità di incrementare la «homeland security». Qual è in Italia il contributo dell’Esercito?
R. La componente terrestre contribuisce in modo significativo ad incrementare la sicurezza nel territorio nazionale attraverso una capillare opera di prevenzione, sviluppata assicurando il controllo dei cosiddetti obiettivi «sensibili». All’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, ad esempio, l’Esercito impiegò ben 4 mila soldati nella vigilanza di più di 150 installazioni in tutto il territorio nazionale, in ausilio delle Autorità di Pubblica Sicurezza. Questo impegno, naturalmente, prosegue ancora oggi con ben 2.500 uomini e donne quotidianamente impegnati nella vigilanza di porti, aeroporti e altri obiettivi a rischio. Non va inoltre dimenticato che, oltre agli uomini per la vigilanza, l’Esercito dispone anche di assetti specialistici «on call» quali le unità Cinofile, NBC e i Team Eod (Explosive Ordnance Disposal) chiamati ad intervenire in caso di emergenza.

D. Di fronte a questi impegni ritiene possibile una riduzione di personale, rispetto al modello, a 112 mila unità?
R. In realtà il problema non è legato al numero di uomini quanto alle capacità che lo strumento nella propria interezza è chiamato ad esprimere. La dimensione quantitativa è il risultato e non la premessa di un processo che, partendo dal livello di ambizione del Paese, definisce le capacità che lo strumento militare deve possedere. In una simile situazione, peraltro, è necessario considerare nel complesso, come un insieme integrato, sia la quantità e la qualità degli uomini ossia il livello di addestramento, sia la quantità e la qualità dei mezzi e dei materiali in dotazione, cioè il livello tecnologico. In sostanza, se si riduce solo la quantità di personale si ridurrà inevitabilmente la capacità operativa dello strumento che, conseguentemente, non sarà in grado di mantenere i numerosi impegni operativi in atto, derivanti dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato, oppure dalle decisioni del Governo e del Parlamento. Se, poi, l’intento di ridurre deriva dalla volontà di risparmiare, occorre precisare che una contrazione di personale, nel breve e medio periodo, non produrrebbe significativi guadagni dal punto di vista finanziario, ma condizionerebbe di sicuro la «presenza sul terreno» dell’uomo-soldato, rivelatasi fattore determinante nelle recenti missioni. In sintesi, pur senza inutili preclusioni concettuali, credo che risparmiare sull’elemento a «più alta redditività», l’uomo, non rappresenti una scelta oculata.

D. In che misura i tagli di bilancio della Difesa influenzeranno le attività dell’Esercito?
R. Se i tagli avessero inciso su un'organizzazione «in salute» dal punto di vista finanziario, non avremmo avuto, nel breve periodo, sensibili ricadute negative sulla capacità operativa dello strumento. Nel nostro caso, però, le fortissime riduzioni previste dal bilancio 2006, che assegnano alla funzione Difesa solo lo 0,84 per cento del prodotto interno lordo, non sono un episodio contingente ma aggravano una situazione pregressa già deficitaria. Esse, infatti, colpiscono «un malato già debilitato», in un momento storico particolarmente critico, allorché gli impegni operativi sono al loro apice e il processo di professionalizzazione, con il provvedimento di sospensione della leva, si trova nella fase di ultimazione. Più concretamente, tutto ciò implicherà una battuta d’arresto nell’ammodernamento, in quanto nel 2006 l’investimento si è pressoché dimezzato rispetto a quello del 2005, ma soprattutto, considerati i fortissimi tagli nel settore dell’esercizio, pari al 43 per cento, ci costringerà a ridurre drasticamente il livello di efficienza dei mezzi e dei materiali, la formazione del personale e l’appostamento. A tal proposito è bene ricordare che un professionista non va solo preparato con cura nel momento del suo arruolamento, ma deve anche mantenere nel tempo le proprie capacità. Al pari di tutti i professionisti altamente specializzati, infatti, anche il soldato, senza un continuo e ripetuto addestramento, tenderà a perdere le proprie capacità professionali. Riassumendo, la prospettiva di una drastica riduzione delle risorse finanziarie si tradurrà in un abbassamento della capacità operativa dell’intero strumento terrestre, ma potrebbe avere effetti negativi anche sulla sicurezza del personale, chiamato ad operare senza un adeguato addestramento e impiegando materiali e mezzi con livelli di efficienza ben lontani dagli standard nazionali e internazionali finora ritenuti accettabili.

D. Lei è capo di un’organizzazione di antiche tradizioni che tra tutte le Forze Armate ha subito in pochi anni la trasformazione più profonda e radicale. Come vede l’Esercito del futuro?
R. Personalmente vedo un futuro nel quale la tecnologia assumerà un’importanza via via crescente ma non soppianterà quella che è e rimarrà la risorsa primaria della nostra istituzione e il fulcro sui cui si equilibra il processo di trasformazione: l’uomo. Dovremo, pertanto, essere in grado di assicurare una capacità operativa a 360 gradi, investendo in tecnologie, equipaggiamenti e sistemi compatibili con quelli degli altri eserciti della Nato, in grado di conferire maggiore efficacia, efficienza e protezione al singolo soldato che, domani ancor più di oggi, sarà chiamato ad agire sul campo con i colleghi di altri Paesi, in contesti operativi sempre più complessi e insidiosi. L’auspicio, naturalmente, è che tali obiettivi siano sostenuti da una disponibilità finanziaria che consenta di soddisfare le esigenze di un Esercito quantitativamente e qualitativamente al passo con i tempi. Bisognerà vedere, in sostanza, quante risorse si vorranno mettere a disposizione per la nostra organizzazione o, in altre parole, quanto si è disposti ad investire in uno strumento che è divenuto una componente sempre più credibile e spendibile del sistema di stabilità e sicurezza nazionale e internazionale.

D. Quali sono i principali programmi della Forza Armata?
R. L’intenso e continuativo impegno delle unità dell’Esercito ha imposto di operare un ammodernamento a tutto campo, che va dal «combat power» al supporto di fuoco, alla logistica. Particolare attenzione, inoltre, viene rivolta a quei settori che le esperienze maturate sul campo ci hanno indicato come più critici ai fini della condotta delle operazioni; mi riferisco, ad esempio, alla protezione individuale, del mezzo e collettiva, alla capacità di operare in ambiente notturno, nonché alla cosiddetta «situation awareness», ovvero alla capacità di visualizzazione dell’area di interesse ottenuta mediante l’impiego di sensori a vista o strumentali, indispensabile ai Comandanti di ogni livello per poter disporre, in tempo reale, delle informazioni necessarie per pianificare, organizzare e condurre le attività di competenza. Altro aspetto di rilievo riguarda la costituzione delle cosiddette «nicchie di eccellenza», ovvero di quei settori nei quali il nostro strumento militare ha maturato esperienze rilevanti e mostrato capacità all’avanguardia, spendibili in Italia e all’estero. In tale ottica l’Esercito possiede già, e dovrà ulteriormente potenziare, una gamma di unità nei settori «Intelligence» e «Guerra elettronica», difesa NBC, cooperazione civile-militare, rilevazione e bonifica da ordigni esplosivi, operazioni psicologiche (Psyops) ecc. Dal punto di vista generale, infine, risulta di vitale importanza il programma di digitalizzazione delle unità, vero e proprio comune denominatore per tutte le Brigate e i complessi di forze terrestri. Essa è da considerare il requisito indispensabile per mantenere il passo con i principali eserciti europei, che si sono già dotati o si stanno dotando delle cosiddette capacità Network Centric Oriented. Con la digitalizzazione deve viaggiare di pari passo anche il completamento del pool di forze medie di cui la Forza Armata intende dotarsi per migliorare la flessibilità e la mobilità operativa dello strumento, e che rende fondamentale l’acquisizione nei tempi pianificati, ossia a partire dal 2006, della nuova piattaforma blindata VBC 8X8.

D. Quali sono i principali elementi del progetto «Soldato futuro»?
R. L’obiettivo di incrementare l’efficienza operativa del combattente ha fatto emergere la necessità di dotarsi di equipaggiamenti individuali innovativi e completamente integrati tra loro al fine di realizzare una sorta di «sistema soldato» basato sulla sinergia uomo-materiale. Il programma, denominato «Soldato Futuro», prevede di accrescere le capacità in alcuni settori. Letalità: l’aumento dell’efficacia scaturirà dallo sviluppo combinato e integrato delle nuove tecnologie che interessano le armi e le munizioni, gli apparati per l’acquisizione di obiettivi, il controllo del tiro, le comunicazioni e la gestione delle informazioni. Sopravvivenza: sarà accresciuta grazie all’inserimento delle tecnologie che assicurano la protezione contro le minacce presenti in un moderno scenario operativo; in tale quadro sarà sviluppata la protezione balistica, anti-NBC, antilaser, climatica ecc. C4I: saranno potenziati i sistemi di comunicazione e i sensori per migliorare sia la percezione globale che il combattente ha della situazione, sia la sua capacità di agire con tempestività ed efficacia; il progetto prevede l’introduzione di appositi presentatori dati, computer individuali, GPS e radio individuali. Mobilità: sarà migliorata attraverso accurati studi sull’ergonomia dei materiali, sul peso degli equipaggiamenti e sul trasporto ottimizzato e modulare del carico; sarà inoltre esaltata la capacità di muovere e osservare anche in ambiente notturno. In sostanza la tecnologia, pur essendo parte integrante dell’evoluzione dello strumento, non sostituisce la «capacità primaria» della nostra organizzazione, il fattore uomo. È l’uomo-soldato, infatti, con le proprie qualità morali e professionali, nonché con la capacità di giudizio e di discernimento, che rimane l’elemento discriminante in grado di caratterizzare qualsiasi Esercito efficiente.

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