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L’inattendibilità
dei sondaggi finalizzati
alla lotta politica interna

di VICTOR CIUFFA

all Street Journal, Heritage Foundation, chi sono costoro? Cosa sanno delle intenzioni di voto degli italiani? E come le sanno? Sostengono che l’Italia è precipitata in un anno, precisamente dal 2004 al 2005, dalla 27esima alla 42esima posizione nella graduatoria dei Paesi «economicamente liberi». L’affermazione è contenuta in un rapporto annuale da essi redatto e pubblicato. Nulla si conosce su come questo rapporto sia stato realizzato, con quali dati, su quali basi, confrontando quali fattori. La massa degli italiani non sa neppure che esiste; le viene solo detto che è stato divulgato in Italia dall’Istituto Bruno Leoni che, se si chiamasse Bruno Vespa, oggi sarebbe certo più conosciuto.

Detratta la «resa», il numero delle copie di un giornale distribuite va moltiplicato per quattro, quanti si presume siano i lettori di una copia; in uno dei primi giorni dello scorso gennaio il Corriere della Sera ha stampato e distribuito 786.628 copie; si pensi al grande numero di lettori che ha avuto l’articolo di fondo di quel giorno, del prof. Angelo Panebianco, basato appunto su quella presunta retrocessione dell’Italia. Lettori che però hanno dovuto accontentarsi di quanto riferito dall’autore, che crede nell’esistenza e nel contenuto di quel rapporto. Ne ha definito infatti «oggettivi» i dati che, a suo parere, sono frutto di analisi «serie e rigorose». Se l’articolista sa per quale motivo il Wall Street Journal e la Heritage Foundation sarebbero oggettivi, non l’ha spiegato; presume che anche i lettori li ritengano tali.

Qualcuno definisce il Wall Street Journal «uno dei più importanti quotidiani finanziari del mondo»; l’Heritage, a sua volta, è un’associazione culturale americana espressione del Partito Repubblicano, ossia dei conservatori; ha lo scopo di diffondere i principi del libero mercato, di riaffermare le libertà individuali, di limitare l’intervento dello Stato, di sostenere i valori tradizionali americani e di promuovere la difesa nazionale; ovvero quella degli interessi degli Stati Uniti, o meglio degli esponenti del Partito Repubblicano, i conservatori. Per raggiungere tali risultati la Heritage Foundation svolge ricerche su temi di attualità della politica interna ed estera statunitense; tra esse rientra la graduatoria annuale sul cosiddetto «indice di libertà economica».

Non è detto, però, che all’attendibilità dei suoi dati, in particolare alla sua classifica, tutti credano. C’è chi è come San Tommaso, se non tocca non crede. La conclusione? Che si può certamente concordare sul calo dei voti registrati in Italia dalla Casa delle Libertà nelle elezioni regionali svoltesi nella scorsa primavera, ma che non c’è assolutamente e aprioristicamente da credere a nessun tipo di sondaggi, non solo italiani ma anche americani.

Esemplari sono quelli sull’atteggiamento degli elettori nei confronti di un Governo, di un partito, di un uomo politico: nonostante i misteriosi metodi con i quali le ricerche sono svolte, i risultati continuano ad essere propinati come sicurissimi, indiscutibili, al di sopra di ogni dubbio; e conseguentemente a influenzare l’opinione pubblica. O almeno questo ritengono i loro committenti. Se un cittadino volesse mettersi oggi a fare il pubblico amministratore o il politico, prima di candidarsi alle elezioni dovrebbe costituire, tramite prestanomi, una società di sondaggi; e affidarle indagini il cui esito sarebbe in tal modo sicuramente a lui favorevole, quindi ideale per influenzare elettori: esiste infatti una massa di gente pronta a votare il preconizzato vincitore.

Si tratta di un trucco di moda anche a livello comunale già una dozzina di anni fa, alla caduta della prima Repubblica: non c’era segretario provinciale di partito o candidato al Parlamento, alla Regione o al Comune, che non si avvalesse di sondaggi attribuiti a società, associazione, staff di giovani. Che ovviamente mostravano risultati a suo favore. I sondaggi sono sempre favorevoli a chi li commissiona; o meglio, si commissionano soltanto perché si è sicuri che il risultato sarà favorevole al committente; se vi fosse un minimo di incertezza, questi si guarderebbe dall’ordinarli, non sarebbe così autolesionista.

L’articolista del Corriere non ha fornito alcun dato «oggettivo» sul quale sia basata la retrocessione dell’Italia dal 26esimo al 42esimo posto della graduatoria della libertà economica; ma ha aggiunto che essa coincide con il miglioramento complessivo delle libertà economiche registratosi nel resto del mondo. Ma se si fanno bene i conti, si vede che solo 16 Paesi, e non il resto del mondo, avrebbero migliorato, precisamente quelli che avrebbero sorpassato l’Italia. Inoltre, se alcuni Paesi hanno migliorato la propria posizione, altrettanti l’hanno peggiorata. Sono concetti di aritmetica e geometria di terza elementare, o di filosofia sofistica dell’antica Grecia?

L’opinionista ammette onestamente che la retrocessione è dipesa non dall’adozione di provvedimenti particolarmente liberticidi, che non ci sono stati; ma dal fatto che altri Paesi hanno adottato serie misure di liberalizzazione; e ammette anche che le analisi «serie e rigorose» della Heritage Foundation indicano solo delle tendenze, che possono essere modificate in tempi brevi se si adottano politiche adeguate; poiché pur avendo avuto il suo Governo 5 anni di tempo, il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi non l’ha fatto, a giudizio dei più seri analisti è colpevole del così miserevole stato della libertà economica in Italia.

Ma poi, a parte dati, analisi, provvedimenti, risultati di Governo, in che cosa consiste alla fine quella «libertà economica» tanto vagheggiata? Più di quella che i nuovi monopoli hanno avuto nel ristrutturare pesantemente le aziende acquistate a prezzo di svendita dallo Stato, nel ridurre il personale, nell’abbassare la qualità dei servizi, nel vendere a gruppi stranieri lucrando cospicue plusvalenze? E infine l’aspetto più assurdo: l’estrema destra americana che si allea con l’estrema sinistra italiana. Perché attaccando Berlusconi per mancata liberalizzazione economica, di fatto sostiene elettoralmente proprio i nemici storici di tale liberalizzazione. A meno che la sinistra sia diventata di destra.

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