back


LUCIO STANCA:

era digitale, più diritti
del cittadino,
più efficienza del sistema

Il ministro per l’Innovazione
e le Tecnologie Lucio Stanca

«Dal gennaio scorso
è in vigore il Codice
dell’Amministrazione
digitale che definisce
diritti e opportunità
per i cittadini tra cui
quello di rivolgersi
alla Pubblica
Amministrazione
per via telematica; ciò
si traduce in maggiore
efficienza e velocità
e quindi in garanzia
di certezza della risposta
e di trasparenza
dei processi, oltreché
di risparmio
di tempo e denaro»


l cambiamento costituisce il tratto essenziale della società contemporanea, ma la percezione diffusa è che lo sviluppo tecnologico, con le sue molteplici implicazioni, corre velocemente verso traguardi sempre più avanzati e complessi, al di là di ogni spericolata immaginazione. Si parla molto di «cittadini digitali», con tanto di certificato di nascita: il primo gennaio 2006. Di che si tratta? Che hanno di diverso? Lo spiega in un’ampia intervista il ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca.

Domanda. Cosa lo contraddistingue dal cittadino pre-digitale?
Risposta. Il cambiamento è la caratteristica dei tempi in cui viviamo. Questo cambiamento è frutto dell’accumulazione del sapere e in particolare di quello scientifico. È proprio dallo sfruttamento di questo sapere e di conseguenza dalla «creazione» di nuove tecnologie in molti campi che avvertiamo il senso del cambiamento. Trasformazioni radicali di cui va sottolineata la grande velocità di realizzazione, che certamente è molto più elevata rispetto al passato. Un processo molto positivo perché migliora le condizioni dell’uomo non solo per gli aspetti economici, ma anche e soprattutto per la qualità della vita, della salute. In definitiva, è un’evoluzione molto benefica per l’umanità perché tocca tutti gli aspetti della vita reale. I tempi in cui viviamo sono stati caratterizzati dalla progressiva affermazione delle tecnologie digitali, in una società sempre più basata sul loro uso, ossia sul computer e la rete. Nasce quindi il concetto di «cittadino digitale», una persona che comincia ad avere diritti specifici in quest’era tecnologica. Per esempio, il diritto alla privacy. Le tecnologie pongono infatti una grande sfida alla protezione della propria sfera personale. C’è pertanto bisogno di leggi e norme che proteggano dall’invadenza non voluta. Il primo gennaio scorso è entrato in vigore il Codice dell’Amministrazione digitale con cui sono stati definiti «diritti» e opportunità per i cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione. Per esempio, il diritto di rivolgersi a questa in termini telematici, anziché tradizionali. È insomma un diritto per il cittadino e un obbligo per la Pubblica Amministrazione, e non viceversa. Tutto ciò si traduce in maggiore efficienza e velocità nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino o utenti, e quindi garanzia di certezza della risposta e di trasparenza dei processi. Senza parlare del risparmio in termini di tempo e, una volta a regime, di denaro per tutti, cittadini in primis, che si ottiene evitando inutili file agli sportelli e il peregrinare tra gli uffici pubblici. Questo, solo per fare un esempio, grazie a due strumenti come la Posta elettronica certificata, che ha lo stesso valore di una raccomandata cartacea, e il Sistema pubblico di connettività, l’«autostrada digitale del Sole», ossia la più grande infrastruttura telematica pubblica mai realizzata nel nostro Paese; questa collegherà in modo veloce, omogeneo e sicuro tutte la Pubbliche amministrazioni centrali e locali che, dialogando e condividendo tra loro i dati e le informazioni, solleveranno cittadini e imprese dall’essere i «fattorini di se stessi» nei confronti della burocrazia, che invece fornirà loro servizi integrati, con punti di accesso unici.

D. Quali sono gli strumenti varati in questi ultimi anni che hanno consentito e agevolato la crescita impetuosa di questa nuova era tecnologica e della nuova cultura che la caratterizza?
R. Gli strumenti sono tantissimi. In generale è la rete, ossia internet, che ha creato davvero questo salto di qualità. Il computer, di fatto, l’avevamo già ben prima. Ma il pc collegato in rete ha abbattuto i muri, ha disciolto i confini, ha accorciato le distanze e ridotto i tempi e, quindi, si è creata questa grande discontinuità che caratterizza i tempi attuali. Altri strumenti comunque, nell’ambito di questo contesto tecnologico, sono stati introdotti senza dubbio per la Pubblica Amministrazione e non solo nei rapporti con essa ma attraverso di essa. Oltre alla raccomandata elettronica cui accennavo, posso ricordare, a titolo di esempio, la firma digitale che dà valore legale pieno come la firma autografa per i documenti; la Cns, carta nazionale dei servizi, che permette di accedere a servizi in rete della Pubblica Amministrazione.

D. Oltre alla modernizzazione delle strutture e dei servizi e alla più diffusa efficienza, il nuovo sistema digitale comporterà una nuova e diversa ripartizione di costi diretti ed indiretti, e innescherà benefici di carattere economico ma anche sociale?
R. La nuova era digitale non porta solo benefici economici derivanti dalla maggiore efficienza, dalla maggiore velocità. Ma proprio perché così diffusa, comporta un reale progresso, soprattutto in termini sociali. Basta pensare all’applicazione di queste tecnologie nel campo della salute, o nel settore dei processi didattici, di apprendimento e di insegnamento, ossia di diffusione della cultura, a partire dall’alfabetizzazione. E, ancora, alle applicazioni nel campo dell’informazione, all’accesso ad esso come alla cultura. E soprattutto in termine di inclusione, e penso ai diversamente abili. Le nuove tecnologie sono una grande opportunità e permettono l’accesso alla conoscenza perché, mi piace ricordarlo, consentono di muovere le idee senza la necessità di una presenza fisica. Ecco perché si dice che queste tecnologie stanno ridefinendo l’era in cui viviamo proprio perché l’impatto non è più solo economico ma anche sociale, in un senso così ampio che è in grado di creare le premesse per parlare di progresso e di era digitale.

D. Ritiene sufficienti gli stanziamenti che complessivamente affluiranno per realizzare progetti e iniziative complementari e sussidiari?
R. Certamente gli stanziamenti sono necessari. Le risorse finanziarie sono una condizione imprescindibile, ma non sufficiente. Gli stanziamenti possono avere un impatto sulla velocità di realizzazione di un progetto, ma non determinante perché, assieme alle risorse, esistono anche altri fattori, quali la «cultura dell’innovazione» e la comprensione delle opportunità che derivano da queste tecnologie, nel pubblico come nel privato, come nelle imprese, nella Pubblica Amministrazione, a livello sia individuale che di organizzazione. Quindi certamente se c’è da mettersi in fila per sollecitare risorse finanziarie, io sono il primo perché queste servono, ma quello che continua ad essere determinante anche in questo campo è il fattore umano.

D. Qual è il suo bilancio al termine di una legislatura che ha visto per la prima volta la nomina di un ministro per l’Innovazione e le Tecnologie?  
R. Se mi volto indietro e guardo a cinque anni fa, posso senz’altro dire che il bilancio di questa legislatura è estremamente positivo. Se guardo avanti, non posso non dire che abbiamo avviato un processo che ha bisogno ancora di molti anni per essere completato. Ma rispetto al passato, ripeto, sono stati fatti enormi passi avanti, per quanto attiene all’e-government, ad esempio, ma anche per tutto quello che è stato fatto per l’alfabetizzazione informatica degli italiani, cioè la diffusione di queste tecnologie nelle famiglie, anche in quelle meno abbienti, nei disabili, anziani, giovani e nella scuola. Lo stesso posso dire per le iniziative che abbiamo messo in cantiere per favorire la diffusione dell’innovazione tecnologica nelle imprese. Voglio sottolineare che nessun Governo in passato aveva fissato obiettivi numerici su questi fronti. E invece noi abbiamo voluto sfidarci dandoci obiettivi misurabili e di grande ambizione. Credo che buona parte di questi obiettivi sarà raggiunta o, quanto meno, sarà molto vicina. Insomma, superando la logica degli aspetti quantitativi, seppure essi siano importanti, credo che la politica complessiva, compresa la governance dell’innovazione tra il Governo centrale e le Regioni e gli enti locali, abbia compiuto un rilevante passo in avanti e costituisca una grande, concreta eredità per la prossima legislatura.

D. C’è chi ritiene che il Governo non abbia fatto il possibile per sostenere l’innovazione nelle imprese. Lei cosa dice?
R. È nel gioco delle parti ricevere critiche al proprio operato perché, comunque, tutto può essere fatto diversamente. Per questo rispetto le eventuali osservazioni mosse da taluni e anzi, se non sono strumentali, le accetto come uno stimolo. Ma, nello stesso tempo, credo che sia giusto che chi critica prima indichi anche una sola iniziativa intrapresa negli anni 90 dai Governi precedenti a quello attuale, a sostegno dell’innovazione tecnologica e digitale, della diffusione di queste tecnologie nelle imprese italiane in modo mirato e specifico. Io che ho lavorato per diversi anni in questo settore, non ne ricordo alcuna. Al di là di questo, credo che abbiamo fatto grandi interventi infrastrutturali, con i due Piani per l’Innovazione digitale nelle imprese, ma anche con interventi come quello che, attraverso due decreti ministeriali, stanzia 630 milioni di euro per favorire la nascita di poli tecnologici e per stimolare l’innovazione di processo oltre a quella di prodotto. È la prima volta che attuiamo un provvedimento così impegnativo e mirato al sostegno dell’innovazione tecnologica digitale nelle imprese con modalità e strumenti anche innovativi. I due decreti si aggiungono ai molti varati in questi anni a favore delle aziende, e sono un’ulteriore dimostrazione del grande impegno che il Governo ha posto per favorire il miglioramento della competitività delle imprese attraverso l’innovazione tecnologica. Entrambi i dispositivi dispongono di un’interessante agevolazione finanziaria: il 10 per cento dello stanziamento, infatti, è a fondo perduto; l’80 per cento è erogato con un credito agevolato (allo 0,5 per cento) dalla Cassa Depositi e Prestiti e il restante 10 per cento è al tasso ordinario bancario. È inoltre la prima volta che si attua una politica industriale destinando finanziamenti a settori e a progetti individuati dal mercato stesso sulla base delle potenzialità di sviluppo di nuovi prodotti e di competitività sui mercati nazionali e internazionali. E la risposta che stiamo avendo dalle imprese è di grandissima importanza. Non solo. È stato pure costituito il Fondo di Garanzia ICT che, con una dotazione di 160 milioni di euro, è in grado di innescare investimenti in innovazione digitale per almeno 3,5 miliardi di euro da parte di oltre 16 mila imprese. Con la garanzia dello Stato e nessun onere per le aziende, sono così state eliminate le barriere d’ingresso al credito per innovazioni basate su investimenti «immateriali» - progetti, formazione e software ecc. -, che non costituiscono garanzia reale per i creditori. Forse si poteva fare di più? Certamente dico che si poteva e si dovrà fare di più. Ma sarebbe utile che nei giudizi si tenesse conto anche delle difficoltà in cui abbiamo operato e, soprattutto, del grande salto di qualità e di quantità che è stato compiuto rispetto a una politica che aveva una totale disattenzione nei confronti dell’innovazione tecnologica.

D. Come si è trovato lei, uomo d’azienda, a lavorare nella politica?    
R. La politica è un mondo totalmente diverso da quello delle imprese. Per taluni aspetti è molto affascinante. Si opera a livello di Sistema Paese con grandi obiettivi. Nello stesso tempo la complessità del mondo della politica, della Pubblica Amministrazione e del processo decisionale richiedono grandi doti di pazienza e di abilità per portare avanti le proprie richieste, le proposte e le proprie politiche. Insomma, sono due mondi che, secondo me, dovrebbero conoscersi di più e, soprattutto, avere una maggiore osmosi in termini non solo di aperture, ma anche di scambio di persone e di esperienze per evitare di avere una lontananza e quindi una diffidenza tra settori. Dalla collaborazione tra il mondo della politica e quello delle imprese sicuramente può nascere un importante concerto di forze a disposizione del Sistema Paese per dare vita a un’azione complessiva, a una massa d’urto necessaria per imprimere l’indispensabile spinta verso lo sviluppo e la competitività.

D. Le barriere che tuttora ostacolano l’accessibilità agli strumenti informatici da parte dei disabili sono in via di estinzione? La legge che porta il suo nome lo fa sperare?
R. Oggi viviamo in una società basata sulla conoscenza di cui la cultura e l’informazione sono le risorse fondamentali. E dunque si configurano rischi di esclusione da queste risorse e, specularmente, nuovi diritti ad accedervi. Le tecnologie digitali e internet sono sempre più il mezzo per scambiare, conservare e creare l’informazione. Interessano non solo gli aspetti economici, legati a una maggiore produttività, ma anche la dimensione sociale connessa alla formazione in tutte le fasi della nostra esistenza, a una maggiore coesione e solidarietà tra persone e comunità, a una crescita di cultura e condivisione di valori. L’accesso a queste tecnologie rappresenta, dunque, una crescente opportunità e un diritto primario per tutti i cittadini, nessuno escluso. Ecco la necessità di contrastare con politiche specifiche la «frattura digitale» come causa di esclusione per tutte quelle categorie a rischio, a cominciare dai diversamente abili. Accessibilità significa, infatti, rimuovere quelle barriere virtuali che sono di fatto l’equivalente delle barriere architettoniche. Da questi presupposti è nata la legge che porta il mio nome che, mi fa piacere ricordare, è stata approvata in Parlamento all’unanimità in entrambi i passaggi di Camera e Senato, recependo specifiche proposte parlamentari e una mia iniziativa legislativa di concerto con altri ministri. Con questo provvedimento abbiamo voluto stabilire precise disposizioni e vincoli non solo per la Pubblica Amministrazione, ma proprio per favorire l’accessibilità dei disabili agli strumenti telematici e informatici. La nuova legge, una delle prime in Europa, è stata riconosciuta dall’Ocse, in un suo rapporto sull’e-government, tra le «best practices» di livello mondiale e in un vertice Usa-Unione Europea a Washington sulla disabilità indicata come una normativa da prendere ad esempio nella legislazione in materia. Un tema che riguarda ben 37 milioni di persone portatrici di disabilità in Europa, di cui almeno 3 milioni in Italia, circa il 5 per cento della nostra popolazione. Insomma, oggi viviamo in una società basata sulla conoscenza, di cui la cultura e l’informazione sono le risorse fondamentali. Chi viene escluso dall’uso di queste tecnologie nella loro capacità di promuovere, ad esempio, le nostre attività di apprendimento, lavoro o impiego del tempo libero, subisce un’emarginazione così forte da configurare un segnale di «democrazia imperfetta».

D. In che modo le iniziative tecnologiche sono idonee ad approfondire, migliorare e favorire la «good governance» nei Paesi emergenti, in quelli in via di sviluppo e di nuova democrazia?
R. Le tecnologie digitali hanno la capacità di rendere più efficienti e trasparenti le operazioni della Pubblica Amministrazione e dell’apparato statale nel suo complesso in settori cruciali quali la gestione dei conti pubblici, e contribuire così ai processi di sviluppo economico e sociale di quei Paesi. L’Italia alla Conferenza internazionale e-government per lo sviluppo, svoltasi a Palermo nell’aprile 2002, ha lanciato un’iniziativa che ha avviato un’innovativa modalità di cooperazione per la diffusione dell’e-government, fondata sull’ideazione e sulla realizzazione di progetti operativi per il «buon governo» - ossia più efficienza della Pubblica Amministrazione, più trasparenza e quindi più democrazia -, in cui forniamo non solo finanziamenti e attrezzature, ma anche trasferimento di know-how e formazione di personale. Attualmente siamo impegnati in 22 progetti di e-government in 16 diversi Paesi. Di questi, sei progetti sono in esecuzione e due sono già conclusi in Iraq e in Mozambico. In questi progetti sono coinvolte diverse Amministrazioni pubbliche italiane come la Ragioneria generale dello Stato, l’Istat, l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia del Territorio. Ed anche partner internazionali come la Banca Mondiale, tramite la Development Gateway Foundation; le Nazioni Unite, mediante l’United Nations Development Programme e l’United Nations Department for Economic and Social Affairs, e l’Inter-American Development Bank. A proposito del nostro lavoro in Iraq, voglio ricordare che l’assistenza dell’Italia al Paese medio-orientale nel campo delle tecnologie informatiche rientra nel processo di ricostruzione incoraggiato dalla risoluzione n. 1546 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il nostro aiuto, in tal senso, rappresenta un importante tassello nella sfida della modernizzazione e normalizzazione dell’Iraq. Nel novembre scorso, insieme con il ministro per la Scienza e la Tecnologia dell’Iraq, Basimah Yusuf Putros, ho inaugurato la rete GovNet del Governo iracheno che consente la connessione in rete, attraverso tecnologia laser, tra i Ministeri e i principali enti della Pubblica Amministrazione di Baghdad, e di dialogare tra di loro, scambiarsi dati e informazioni, alimentare e aggiornare banche dati, ma anche di telefonare in modo sicuro ed economico. Voglio sottolineare con orgoglio che la realizzazione tecnica del progetto GovNet ha affrontato numerosi ostacoli di sicurezza e logistici. Tuttavia, in meno di 12 mesi è stato possibile: disegnare e concordare con i responsabili governativi iracheni il progetto di rete di Governo e individuare funzioni e caratteristiche tecnologiche appropriate; formare in Italia circa 50 tecnici iracheni per il montaggio e la gestione della rete; costituire presso il Ministero della Scienza e della Tecnologia a Baghdad il Centro di gestione della rete e realizzare alla periferia di Roma il Centro di controllo, back-up e assistenza remota alla rete; attivare la connessione tra i primi 13 Ministeri ed enti che fanno parte della rete e attivare il collegamento satellitare con questa da internet. Insomma un segnale forte contro chi vuole ostacolare il ritorno di uno Stato democratico. Questa e le altre sono iniziative importanti che inaugurano un nuovo modo di sostenere la crescita dei Paesi in via di sviluppo in cui non ci sono imposizioni o semplici donazioni, ma una cooperazione attiva e paritaria tra tutti i soggetti chiamati a realizzare un progetto. Una responsabilità in più per l’Italia che conferma, se mai ve ne fosse bisogno, l’importanza centrale del nostro Paese nel dibattito internazionale.

back