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FRANCO PORRARI:

INPS, UN MODELLO
DI GESTIONE
DEL PERSONALE


Franco Porrari, direttore centrale
del Personale dell’Inps


Il direttore centrale
del Personale
dell’Istituto spiega
come, nonostante
i vincoli, questo sia
riuscito a diventare
un punto di riferimento
per le altre
amministrazioni
pubbliche
nella preparazione
del personale
e nello snellimento
delle procedure


ra le più importanti istituzioni pubbliche del Paese, l’Inps è un’azienda di servizi che ha rapporti con varie decine di milioni di cittadini attraverso una popolazione interna di 34.500 dipendenti che lavorano in 500 strutture diffuse in tutto il territorio nazionale. Negli ultimi 20 anni ha attuato una politica di forte rinnovamento dal punto di vista sia organizzativo e gestionale introducendo tecnologie tipiche del mondo di impresa privato, sia dello sviluppo del personale verso il quale ha mostrato un’attenzione particolare. «Noi riteniamo che il fattore cruciale per il successo di un’istituzione pubblica grande quale l’Inps siano le persone–spiega in proposito Franco Porrari, direttore centrale del Personale dell’Istituto–. L’Inps, infatti, affronta una complessità crescente creata da fattori esterni: le innovazioni normative, il mondo del lavoro, l’occupazione e così via. Sviluppare competenze significa rendere le persone più capaci di svolgere i propri compiti; serve una formazione notevolmente differenziata e finalizzata all’attività superando la segmentazione delle organizzazioni aziendali di vecchio tipo». In generale, l’Istituto si è dato tre obiettivi principali, l’efficienza, la qualità e la trasparenza, che il direttore Franco Porrari illustra in questa intervista.

Domanda. In che consiste la politica seguita e quali i risultati ottenuti?
Risposta. Per il raggiungimento del primo obiettivo, l’efficienza, l’Istituto ha compiuto consistenti investimenti in tecnologia avanzata e nella formazione, finalizzati allo sviluppo delle competenze necessarie per realizzare processi produttivi complessi. Il secondo obiettivo, la qualità, ha significato per l’Inps sostituire in tutti i livelli operativi il concetto della pubblica amministrazione che «concede», con quello di servizio al cittadino, attuabile non solo soddisfacendo le sue aspettative con l’erogazione dei servizi nei tempi e nei modi dovuti, ma soprattutto rispettando la sua dignità. Il raggiungimento di questo obiettivo non è facile, perché richiede la diffusione di un sistema di valori e di comportamenti. Per questo nell’arco di questi ultimi vent’anni l’Inps ha investito nel personale a tutti i livelli, introducendo modalità tecniche come, recentemente, quella di assicurare le prestazioni in tempo reale in tutti gli ambiti di attività. Si tratta di un procedimento non soltanto tecnico, ma che richiede disponibilità, comportamenti positivi, consapevolezza delle attese del cittadino. Il terzo obiettivo, la trasparenza, significa favorire il coinvolgimento di tutto il personale e valorizzare la singola persona, considerata un valore per l’azienda, riconoscere i meriti, le capacità di ogni operatore pur nel contesto collettivo e di forte cooperazione richiesto dall’organizzazione del lavoro nell’Istituto.

D. Che cosa comporta tutto questo?
R. Questo implica il passaggio a un tipo di gestione del personale basato non più sul garantismo, ma su un sistema meritocratico che riconosce i meriti e le capacità delle singole persone, fornendo a tutti pari opportunità di crescita e di sviluppo attraverso iter professionali e di carriera trasparenti. Questo è il lavoro che stiamo svolgendo da anni e sul quale abbiamo avviato un dibattito con le organizzazioni sindacali. Io ritengo essenziale il rapporto con i sindacati perché sono portatori di interessi dei lavoratori verso i quali l’attenzione dell’amministrazione è rilevante. Il nostro obiettivo è attuare una politica accettata dalle controparti pur nella diversità delle funzioni; la collaborazione nel rispetto dei singoli ruoli è di fondamentale importanza, perché negare o sottovalutare l’apporto costruttivo, quando è tale, del sindacato riduce la possibilità di realizzare interventi complessi.

D. Ma anche in passato è stato così?
R. Negli anni nell’Istituto si è creata la tradizione di un sindacato molto attento e, per certi aspetti, disponibile ad affrontare la complessità dei problemi che l’amministrazione incontra, nel comune obiettivo di portare avanti una politica di sviluppo per i lavoratori. Credo che la presenza del sindacato sia utile perché la trasparenza e le pari opportunità sono obiettivi interessanti sui quali il sindacato punta svolgendo un’azione positiva, non solo rivendicativa. Direi, anzi, che nell’Inps ha superato la logica rivendicativa su orari di lavoro e retribuzioni per puntare a una politica finalizzata a sensibilizzare il personale, a modificarne i comportamenti, ad attuare un nuovo sistema di valori orientato allo sviluppo di obiettivi di qualità, fondato sulla consapevolezza dei singoli di dover assicurare un servizio, ossia su quella che definisco l’etica della responsabilità.

D. È così anche in altre amministrazioni pubbliche?
R. Credo che l’apporto del sindacato sia fondamentale nelle amministrazioni pubbliche che, nel garantire il posto fisso, in assenza di regole di mercato, operano ancora in una logica di monopolio, con il rischio di appiattimento, scarsa efficienza e qualità; va tenuto presente, invece, che le amministrazioni pubbliche devono fornire un servizio e ottenere un risultato il cui profitto è la legittimazione sociale. L’Inps deve garantire buoni servizi ai cittadini, ma non bastano buone retribuzioni al personale per ottenerli, se si rallenta l’attività dei dipendenti. Pertanto l’azione del sindacato è utile; bisogna sviluppare la capacità di valutare secondo parametri adeguati e funzionali all’istituzione, e superare l’indifferenziazione che caratterizza i sistemi pubblici in generale. Questa indifferenziazione non è utile ai risultati e alle attese della collettività; per questo il sindacato può fornire il proprio apporto non più come difensore del garantismo della pubblica amministrazione, ma come sollecitazione a introdurre la ricerca interna di risultati.

D. Quanti dipendenti l’Inps ha oggi?
R. In 15 anni li ha ridotti da 40 mila a 34.500, circa del 20 per cento; malgrado questa riduzione, ha triplicato la propria attività. Nell’ultimo decennio ha ereditato una serie di altre competenze da enti disciolti come lo Scau e l’Inpdai, e ultimamente gli è stata trasferita dalle Prefetture la gestione dell’invalidità civile; si tratta di adempimenti complessi che riesce a gestire in maniera soddisfacente perché, pur avendo ridotto la forza-lavoro, ha sviluppato alcune iniziative fondamentali. Ha investito nelle tecnologie, automatizzato il 95 per cento delle procedure, liberato il personale di una serie di adempimenti e aumentato la capacità di risposta; ha adottato un’organizzazione più dinamica eliminando la ripetizione degli adempimenti e accorpando attività omogenee. Gli investimenti in formazione permanente e lo sviluppo delle competenze hanno consentito una capacità produttiva media più alta, che ha sopperito alla riduzione quantitativa.

D. Come può considerarsi oggi l’Inps?
R. Un punto di riferimento nel mercato. Ritengo che occorre attuare politiche premianti a tutti i livelli interni, ma anche creare occasioni di coinvolgimento, misurare i risultati, responsabilizzare maggiormente la dirigenza. I dirigenti costituiscono un fattore fondamentale, vanno sviluppate le loro capacità decisionali, di pianificazione e di organizzazione, nella logica del decentramento dell’attività che l’Istituto ha scelto da decenni. Una parte delle attività viene svolta infatti nelle unità locali a livello provinciale e sub provinciale, nelle quali il ruolo della dirigenza e dei capi struttura è fondamentale e dotato di ampia autonomia decisionale, gestionale e produttiva pur nell’ambito di un sistema coerente e omogeneo, tipico di un ente pubblico a carattere nazionale. Poiché le sedi hanno tessuti territoriali diversi, bisogna sviluppare la flessibilità in rapporto ad essi; stiamo attuando un ricambio a favore di una dirigenza più flessibile e disponibile a svolgere una «funzione a rischio», perché ogni decisione comporta rischi soprattutto se si attua un processo di innovazione, seppur pianificato.

D. A quale amministrazione pubblica l’Inps si è ispirato per l’organizzazione?
R. Costituisce un punto di riferimento per le altre senza averne nessuno. Ha definito e sperimentato un modello organizzativo proprio, sulla base di intuizioni, progetti e linee strategiche che ha adottato in maniera pionieristica. Non ha avuto modelli strutturali cui attingere, ha dovuto scegliere tra la consuetudine e l’innovazione attuando processi complessi sulla base dei deboli segnali che il mercato lasciava intravedere. Pertanto le possibilità di rischio sono state maggiori. Questo ha richiesto una dirigenza consapevole, meno legata alla tradizione e più disponibile a rischiare, ad aprire nuove strade che trovavano, per certi aspetti, una corrispondenza all’estero ma in contesti molti diversi; negli anni 80-90 i nostri dirigenti hanno compiuto stages negli Stati Uniti per cogliere innovazioni complesse basate su tecnologie avanzate, ma in ambiti significativamente diversi dal nostro. Non era possibile trasferire un modello, semmai individuare alcune linee da adeguare al nostro Paese.

D. Quale preparazione è richiesta al vostro personale?
R. In una struttura di servizi il personale è l’ago della bilancia. In un’azienda che produce beni la tecnologia è il fattore fondamentale, le persone provvedono prevalentemente al suo impiego e al controllo di processi automatizzati; in un’azienda di servizi che, tra l’altro, eroga pensioni a una popolazione anziana, o con bassi livelli di istruzione, l’attività, consistente nel fornire le informazioni per orientare il cittadino verso soluzioni per lui più utili, richiede un personale molto preparato, disponibile e motivato, capace di trasformare le conoscenze teoriche in decisioni operative.

D. Quanto spende l’Inps per la formazione del personale?
R. Le risorse finanziarie che l’Istituto destina ad essa sono rilevanti; il suo costo industriale è pari al 3,50 per cento del monte-retribuzioni, le aree sono tecnologia, informatica, pianificazione e controllo, sistemi budgetari, conoscenze in materia economico-finanziaria e organizzativa, comunicazione, qualità, marketing dei servizi, benchmarking. Oggi il nostro personale per l’80 per cento è nella fascia del funzionariato, che non agisce automaticamente ma pensa; deliberatamente è stata sviluppata una politica del personale orientata a soddisfare il bisogno di visibilità delle persone, di riconoscimento, di rispetto della dignità. Si è consolidato l’orientamento diretto a favorire il riconoscimento individuale pur in un contesto di cooperazione e di rispetto caratteristico della pubblica amministrazione.

D. Un tempo l’Inps era accusato di lentezza, lungaggini, farraginosità nelle pratiche pensionistiche; non è più così?
R. Sono stati fatti grandi passi, soprattutto negli ultimi dieci anni, nell’innovazione, semplificazione di norme, sburocratizzazione; questo consente risultati molto più rapidi. Andrebbe semplificato anche il complesso di norme riguardanti la gestione del personale in relazione ai contratti nazionali di lavoro; per le sue dimensioni l’Inps si trova in un comparto che limita una politica del personale più innovativa. Dello stesso comparto degli enti pubblici non economici fanno parte anche enti molto più piccoli, diversi non soltanto dal punto di vista quantitativo: un ente di 34.500 persone è ben diverso da uno di 500. L’Inps avrebbe bisogno di maggiori autonomie; anche in relazione alla legge 88 del 1989, fondata sui capisaldi dell’autonomia e dell’imprenditorialità ed economicità di gestione, ha dimostrato capacità imprenditoriale; se avesse possibilità decisionali maggiori, il processo di innovazione sarebbe più marcato e rapido. Siamo vincolati, per esempio, al blocco del turn over, uno dei fattori che mettono a dura prova la capacità dell’Istituto, che è sempre riuscito a dare risposte ma spesso deve affrontare situazioni particolari.

D. Sono adeguate le retribuzioni?
R. Ritengo che in generale il nostro personale sia soddisfatto dei livelli retributivi anche se c’è un’aspettativa di miglioramenti economici, ma questa è una tendenza generale. Attualmente le retribuzioni sono in linea con la media del mercato. E che il personale sia soddisfatto emerge dal ricorso alla mobilità tra pubbliche amministrazioni: ci giungono migliaia di domande di trasferimento da altre pubbliche amministrazioni. Se tanti chiedono di essere trasferiti all’Istituto significa che il suo contesto è tra i più moderni, coinvolgenti e gratificanti, e che sotto l’aspetto retributivo c’è la convenienza grazie ai parametri non inferiori a quelli medi di mercato.

D. Come si collocano nell’attuale contesto normativo e contrattuale i suoi obiettivi di politica del personale?
R. Recenti provvedimenti legislativi hanno contribuito a fare chiarezza nel panorama normativo in materia di personale delle pubbliche amministrazioni. Cito le recenti innovazioni in materia di mobilità del personale pubblico che hanno di fatto liberalizzato il ricorso alla mobilità intercompartimentale tra pubbliche amministrazioni; oltre ad essere strumento di razionalizzazione della spesa pubblica nell’ambito del complessivo mutamento dell’assetto della pubblica amministrazione realizzato con la devoluzione delle funzioni statali, esso costituisce oggi, ove adeguatamente utilizzato, un formidabile strumento per il reperimento di personale. In questo contesto l’Inps si presenta come amministrazione capofila e, forte dell’esperienza ultradecennale nell’uso di tale strumento, ha contribuito ad adottare soluzioni innovative e modifiche legislative che hanno consentito di chiarire elementi che limitavano il ricorso alla mobilità.

D. Vuole citare qualche esempio?
R. Dovrebbe essere ulteriormente rafforzato il collegamento tra il miglioramento dei conti delle pubbliche amministrazioni, ottenuto con una corretta gestione di bilancio, e il reperimento di risorse destinate all’incentivazione del personale con gli stessi meccanismi di incentivazione. Pensiamo alle norme che, relativamente alle Agenzie fiscali, consentono di destinare ai fondi per i trattamenti accessori del personale quote recuperate dall’evasione tributaria. Tali misure, presenti anche in altri comparti della pubblica amministrazione, andrebbero estese in maniera generalizzata e rafforzate, perché contribuiscono a creare un circolo virtuoso tra i risultati gestionali delle organizzazioni pubbliche e le retribuzioni dei dipendenti che in tal modo «partecipano» in maniera attiva alle vicende del loro ente, contribuendo a migliorare i saldi di finanza pubblica. L’attuale estensione a tutte le amministrazioni pubbliche del sistema di contabilità economica per centri di costo e centri di responsabilità dovrà essere correlato, da norme sia legislative sia negoziali, a sistemi che consentano di premiare l’efficienza dell’uso delle risorse pubbliche, fermo restando il livello di qualità del servizio erogato. Il sistema premiante, quindi, dovrà progressivamente evolversi verso un mix di componenti collegate, oltre ai classici obiettivi di qualità del servizio, produttività ed efficacia, anche all’efficienza e all’economicità dell’azione pubblica. In materia negoziale alcuni interventi potrebbero contribuire a una maggiore stabilità nel contesto gestionale in cui operano gli amministratori pubblici. Cito il periodo di riferimento della contrattazione integrativa di ente: attualmente i contratti collettivi nazionali di comparto stabiliscono che l’individuazione delle risorse dei fondi e la loro destinazione siano effettuate annualmente attraverso la contrattazione integrativa di primo livello. Tale periodo andrebbe esteso a non meno di due anni per evitare la «negoziazione permanente» a livello aziendale, che causa condizioni di incertezza e di instabilità con ripercussioni sulla tempestività e sull’efficacia delle decisioni manageriali.

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