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FULVIO MARCOZ:

L’INNOVAZIONE SECONDO
IL MODELLO FINMECCANICA


L’ing. Fulvio Marcoz: 40 anni
nelle aziende per la Difesa
del Gruppo Finmeccanica


Ricercatore
e manager del Gruppo
Finmeccanica,
l’ing. Fulvio Marcoz
rievoca 40 anni
di lavoro e descrive
la singolare storia
di un gruppo dirigente formato
da giovanissimi
ingegneri che hanno
percorso tutte le tappe dell’evoluzione
tecnologica
e dei prodotti
per la Difesa

ltre ad essere lo strumento indispensabile per lo sviluppo della tecnologia e della conoscenza, la ricerca ha un influsso importante sulla produttività e sulla competitività. Questo è ampiamente dimostrato sia negli effetti tangibili sui processi e sulle modalità operative e industriali sia, in campo accademico, da recenti studi tra cui la Ricerca Ambrosetti 2005 sull’innovazione e sulla ricerca tecnologica. È stato calcolato, per esempio, che un aumento dell’1 per cento nelle spese di ricerca porta, dopo due anni, a un aumento dello 0,5 per cento della produttività del lavoro in termini di prodotto per addetto. Gli effetti positivi della tecnologia risultano evidenti anche da un’altra considerazione: settori produttivi come il tessile, l’abbigliamento e l’alimentare generano circa l’11,5 per cento del prodotto mondiale, ma sviluppano poca innovazione; viceversa, settori ad alto contenuto tecnologico, come la microelettronica, lo spazio, la difesa e la sicurezza, che sono direttamente responsabili solo dell’1,7 per cento del prodotto mondiale, ne influenzano positivamente oltre la metà grazie al loro importante grado di innovazione.
L’Italia, purtroppo, investe poco in ricerca, il settore pubblico spende circa lo 0,5 per cento del prodotto interno nazionale rispetto a una media dell’Unione Europea e degli Stati Uniti dello 0,7 per cento; peggio, però, fa il settore privato, fermo anche qui allo 0,5 per cento del prodotto interno, di fronte a una media europea dell’1 per cento e di investimenti molto maggiori per gli Stati Uniti, pari all’1,8, e per il Giappone, pari al 2,2 per cento.

In questo non facile contesto la Finmeccanica si pone decisamente in controtendenza. Secondo la rivista Technology Review del Mit, la Finmeccanica, con un investimento in ricerca e sviluppo pari al 20 per cento del proprio fatturato nel settore dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza - di fronte a una media del settore dell’8 per cento -, si colloca tra i primi due del comparto e tra i primi dieci Gruppi nel mondo, in compagnia di colossi della farmaceutica, delle biotecnologie, dei semiconduttori, del software e delle telecomunicazioni. In totale la Finmeccanica investe circa un miliardo e mezzo di euro in ricerca e sviluppo, una cifra che la pone al vertice in Italia nel campo delle alte tecnologie. L’impegno nel finanziamento alla ricerca del Gruppo è cresciuto considerevolmente negli ultimi anni ed è stato accompagnato da un uso del tutto nuovo e innovativo della ricerca stessa. Sia per il proprio ruolo attuale sia per l’esperienza professionale all’interno del Gruppo, l’ingegnere Fulvio Marcoz è in grado di far comprendere come e perché sia mutato il modo di fare ricerca nell’industria e quali siano le nuove forme di collaborazione tra l’industria e il mondo accademico.

Domanda. Qual’è stata la sua esperienza lavorativa?
Risposta. Ho sempre lavorato, per 40 anni, in aziende dell’elettronica della Difesa, in particolare nella Selenia, oggi Selex Sistemi Integrati. In questi 40 anni sono stato prima ricercatore e poi manager sempre in reparti o divisioni che si occupavano di innovazione o di finanziamenti per la stessa. Il mio campo di specializzazione è stato quello della radaristica prima e dell’informatica poi, settore di cui ho seguito tutta l’evoluzione fin dai pionieristici anni 60. Dal 2002, con la nuova presidenza della Finmeccanica, sono stato incaricato di occuparmi di coordinamento della ricerca e dell’innovazione, con particolare riguardo alla ricerca europea.

D. Che cosa ha significato questo incarico per lei?
R. Lo considero come il coronamento di una lunga carriera professionale e dell’intensa collaborazione con il presidente e amministratore delegato della Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini e con lo staff dei suoi numerosi collaboratori che, dall’inizio degli anni 60, hanno lavorato con lui nella Selenia sotto la guida dell’indimenticabile maestro, l’ingegner Franco Bardelli. È una storia bella e singolare quella di questo gruppo dirigente che, formato da giovanissimi ingegneri, per quarant’anni ha percorso tutte le tappe dell’evoluzione tecnologica e dei prodotti delle aziende della Difesa, ha contribuito a creare l’elettronica professionale italiana e l’industria spaziale italiana, e ha rinnovato l’industria aeronautica ed elicotteristica del nostro Paese. Sono molto orgoglioso di averne fatto parte, così come sono convinto che la storia e il successo delle aziende ad alta tecnologia siano molto spesso legati alla coesione e alla capacità di «visione» dei suoi gruppi dirigenti, come mostrano anche altri esempi nell’industria italiana, quale quello trascorso della Olivetti e quello più recente della STMicroelectronics.

D. Lei ha seguito tutta l’evoluzione tecnologica degli ultimi decenni?
R. In questi 40 anni si è assistito a molte «rivoluzioni» nei settori tecnologici delle aziende della Finmeccanica. Basterebbe ricordare l’impetuosa crescita dell’elettronica industriale degli anni 60 e 70, l’evoluzione dell’aeronautica dovuta allo sviluppo di nuovi materiali, la sempre maggiore complessità dei sistemi missilistici, dei sistemi di controllo del traffico aereo o delle tecnologie spaziali, ciascuno dei quali meriterebbe un discorso ad hoc. Ma è nel settore dell’informatica che i cambiamenti e i salti di tecnologia sono stati i più stupefacenti e i più pervasivi. I cambiamenti sono stati numerosi, sia nelle tecnologie hardware nelle quali si è passati dai grandi calcolatori ai minicalcolatori, alle workstation, ai microcomputer fino alle nanotecnologie; sia nelle tecnologie software, dove si è iniziato con i linguaggi artificiali e i sistemi operativi per arrivare poi all’intelligenza artificiale, alla multimedialità e, infine, a internet e alle reti distribuite. I miglioramenti nell’hardware e nel software sono stati sempre intrecciati e interdipendenti. Quelli software dipendevano dall’aumento delle capacità di calcolo e delle disponibilità di memoria che le nuove tecnologie hardware permettevano, e che a loro volta beneficiavano dei complessi sistemi software che ne permettevano la progettazione.

D. Oltre alle rivoluzioni tecnologiche, le organizzazioni delle aziende sono cambiate in questo periodo?
R. Certamente e in modo significativo. Contemporaneamente ai salti di tecnologia si creavano nuove figure professionali e si avevano profonde mutazioni nell’organizzazione del lavoro con «precoci invecchiamenti professionali» di persone e aziende. Per indicare questi cambiamenti si inventarono anche nuovi concetti e nuove parole. Si parlava di «office automation» per indicare la fine del vecchio lavoro di ufficio e la sparizione delle segretarie dattilografe; di cad - computer aided design -, cioè del nuovo strumento informatico che ha rivoluzionato le sale da disegno e avviato al viale del tramonto il mestiere dei valorosi disegnatori tecnici con i relativi tecnigrafi; di «fabbrica automatica» per indicare l’introduzione dei robot industriali che hanno sostituito gli operai professionali e aumentato a dismisura la produttività delle aziende. Infine, la diffusione vertiginosa di internet sta modificando non solo il mondo del lavoro, ma l’intera società. Ormai si parla comunemente di società dell’informazione.

D. Come hanno affrontato questi mutamenti le aziende del Gruppo Finmeccanica?
R. Queste aziende hanno governato, e subito, questi cambiamenti muovendosi sempre sul fronte avanzato della tecnologia, con vittorie e insuccessi. Hanno percorso tutte le esperienze classiche: quasi tutte hanno costruito un proprio computer per poi doverlo abbandonare, talvolta con alti costi di riconversione. L’Elsag e la Selenia hanno anche affrontato con coraggio l’attività della «fabbrica automatica» negli anni 80 e 90. In tre aziende si sono costituiti dei laboratori di intelligenza artificiale e in due aziende sono stati messi a punto complessi sistemi di documentazione tecnica multimediale, prima di vederli superati dall’avvento di internet. Ognuna di queste avventure ha comportato ingenti investimenti in capitali e in persone, ma esse hanno permesso alle aziende di essere sempre competitive sul mercato. In parallelo all’innovazione nei prodotti, le aziende si ristrutturavano e si riorganizzavano con un ritmo di poco inferiore a quello tenuto dall’evoluzione delle tecnologie, per mantenere adeguati livelli di produttività. Una straordinaria avventura, segnata da successi e da sconfitte, ma condotta sempre sul fronte avanzato dell’innovazione.

D. Come è stato gestito questo processo nelle aziende in questi anni?
R. Inizialmente, per quanto riguarda l’innovazione, le aziende italiane dell’elettronica per la Difesa erano subalterne alle analoghe americane. L’elettronica era nata e si era sviluppata negli Stati Uniti, specialmente a Boston, nei complessi di ricerca intorno alla «mitica», per noi ricercatori del settore, Strada 128. Tuttavia, poco per volta, con una notevole intraprendenza, tali aziende si resero autonome sia tecnologicamente che come offerta di prodotti, anche se gli Stati Uniti e le Università americane restavano sempre punti di riferimento. Le collaborazioni erano puntuali, di tipo «one way», nel senso che i ricercatori italiani andavano a imparare e acquisire tecnologie, sempre pagando in qualche forma. Però, con il tempo, nelle aziende nacquero dei centri dedicati alla ricerca o alla progettazione di sistemi avanzati e si costituirono, intorno ai primi grandi calcolatori, reparti dedicati al calcolo scientifico. Lo sviluppo dei minicalcolatori, la diffusione delle capacità di calcolo nei reparti e la possibilità di gestione autonoma della stessa, modificarono profondamente l’organizzazione aziendale, relegando i grandi mainframe al solo settore gestionale. Ogni reparto di ingegneria era in grado di gestire autonomamente le proprie risorse di calcolo. Nel frattempo, l’informatica prendeva coscienza di sé e della propria importanza come disciplina e come settore tecnologico. Il massimo dell’entusiasmo si raggiunse a metà degli anni 80 con il boom dell’intelligenza artificiale. Contemporaneamente la Commissione Europea, scommettendo sulla possibilità di uno sviluppo tecnologico autonomo dell’informatica europea, lanciava il progetto Esprit e i primi Programmi Quadro per la ricerca, che negli anni sono diventati il vero riferimento europeo per l’innovazione. Le aziende e i ricercatori impararono a lavorare in gruppi interaziendali e con le Università italiane e straniere, con una forte crescita culturale. L’ultimo grande cambiamento fu provocato dalla diffusione di internet e della nuova «cultura delle reti», che rese possibile il lavoro senza la necessità della presenza fisica e dello scambio di documenti cartacei, facilitando enormemente l’attività di gruppo e in gruppo.

D. Come erano organizzati i rapporti con il mondo dell’università?
R. Anche il rapporto con il mondo della ricerca in questi anni subiva significativi cambiamenti. All’inizio era sporadico e puntuale, ma con il crescere di nuove competenze anche nelle Università andò aumentando progressivamente, per giungere a uno sviluppo impetuoso con i Programmi Quadro della ricerca europea. L’avvento di internet e la consapevolezza di essere di fronte a un «salto di paradigma tecnologico» disponibile e maturo hanno stimolato nei ricercatori e nei manager della ricerca la capacità di elaborare nuovi modelli di collaborazione tra industria e Università. Le Università italiane hanno cominciato a consorziarsi fra loro per offrire una risposta più completa e articolata alle nuove richieste del mercato italiano ed europeo. La Finmeccanica, da parte sua, ha elaborato una nuova politica e un nuovo modello di gestione dell’innovazione.

D. Quali caratteristiche presenta la nuova politica di governo tecnologico della Finmeccanica?
R. La nuova politica, promossa dall’ingegner Giancarlo Grasso, altro fondamentale componente del gruppo dirigente di cui sopra, si propone per prima cosa di gestire l’innovazione tecnologica in modo integrato tra tutte le aziende del Gruppo, sia per ciò che riguarda i prodotti, aspetto importantissimo, sia per quanto attiene alla ricerca. L’obiettivo è quello di riuscire a fornire una risposta più adeguata ai nuovi impegni internazionali e ai processi di integrazione europea, e di sfruttare meglio le sinergie presenti all’interno del Gruppo. Sono stati impostati Piani tecnologici aziendali fino ad arrivare alla stesura di un vero e proprio Piano di Gruppo. Si sono costituite le comunità tecnologiche, che raccolgono i migliori ricercatori delle aziende per ciascun settore tecnologico, allo scopo di elaborare congiuntamente e in modo trasversale le politiche tecnologiche. Una parte molto importante di questa strategia riguarda il rapporto con il mondo universitario. Oggi non è più possibile operare in campo europeo senza fare squadra con il mondo della ricerca accademica nazionale. In questa direzione la Finmeccanica ha firmato accordi di collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche e con i Consorzi interuniversitari Cini e Cnit per promuovere attività innovative comuni. All’interno di queste collaborazioni la Finmeccanica ha definito un modello di collaborazione più avanzato, articolato sulla costituzione di reti di laboratori di eccellenza situati all’interno dei propri insediamenti produttivi. La prima rete di eccellenza, il Centro di ricerca Radar, è articolata in due laboratori, uno a Roma presso la Selex Sistemi Integrati, e uno a Firenze presso la Galileo Avionica, collegati con le Università di Roma, Pisa e Firenze. La seconda rete, l’Iniziativa Software, si articola inizialmente su tre laboratori a Napoli, Roma e Genova, collegati con le rispettive Università e con le aziende del Gruppo presenti nel territorio. Altre iniziative di questo tipo sono previste nell’anno in corso in vari settori tecnologici.

D. Questo modello di collaborazione potrà funzionare?
R. È ferma convinzione della Finmeccanica che questo modello sia migliore dei precedenti. I modelli tradizionali prevedevano convenzioni con le varie Università per sviluppare ricerche su indicazione delle aziende, con i ricercatori che operavano all’interno delle strutture universitarie. Nelle aziende della Finmeccanica sono ancora presenti numerosi esempi di queste collaborazioni che, sebbene abbiano dato buoni risultati, presentano alcuni inconvenienti: nascevano su esigenze troppo puntuali e specifiche; non permettevano una buona integrazione tra ricercatori industriali e universitari; il coordinamento interaziendale della capogruppo era troppo debole. Per ovviare al primo di questi inconvenienti e dare una prospettiva di tempi medio-lunghi a queste collaborazioni, la Finmeccanica ha investito e rinforzato il nucleo dei ricercatori coinvolti, lasciando sempre alle aziende la responsabilità della ricerca complessiva; i laboratori pubblico-privati risolvono il problema dell’integrazione; infine la capogruppo ha assunto un ruolo di coordinamento attraverso Comitati di indirizzo, a composizione mista industria-Università. Questo modello, che presenta molte analogie con i «network of excellence» degli ultimi Framework Program dell’Unione Europea, ha ottenuto un grande successo presso le aziende del Gruppo, stimolando nuove iniziative e ulteriori investimenti.

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