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RIAPPAIONO I SANTONI
A PRESCRIVERE DI VENDERE:
MA CHI LI MANDA?

di VICTOR CIUFFA

a riduzione del debito pubblico è un falso scopo perché proprio le privatizzazioni effettuate hanno dimostrato che questo sistema non riduce, ma aumenta il debito dello Stato; molte aziende vendute davano cospicui proventi che ora non danno più». Questo scrissi su Specchio Economico esattamente un anno fa; e lo scorso marzo in un articolo dal titolo «Debito pubblico: anziché ridurlo, le vendite l’hanno raddoppiato», affermavo che queste non solo si sono dimostrate inutili perché, nonostante le notevoli entrate realizzate, il debito pubblico continua a prosperare; ma soprattutto perché, essendo quest’ultimo rimasto suppergiù allo stesso livello di prima ed essendosi invece ridotto enormemente il patrimonio dello Stato, di fatto il debito si è raddoppiato. E aggiungevo che i centri di contabilità nazionale - Istat, Ministero dell’Economia, Ragioneria generale dello Stato, Banca d’Italia, Corte dei Conti -, dovrebbero commisurare il debito pubblico non al prodotto interno lordo, paragone che nasconde la verità, ma al patrimonio dello Stato; il risultato confermerebbe non solo l’inutilità delle vendite ai fini della riduzione del debito pubblico, ma l’aumento reale e incontrollato di quest’ultimo.

Solitamente nessuno prende in considerazione queste affermazioni. Finché però improvvisamente il 29 giugno scorso nella seconda pagina del Corriere della Sera appare un «taglio» centrale a cinque colonne dal titolo: «Moody’s: le privatizzazioni da sole non bastano». Vi si racconta che il ministro dell’Economia Domenico Siniscalco ha accompagnato da Silvio Berlusconi la senior analist e vicepresidente della Moody’s, l’agenzia americana specializzata nel rilasciare rating, ossia pagelle con tanto di voti sull’andamento economico di società, Paesi, Regioni, perfino Provincie e Comuni.

Scopo di Siniscalco: far impartire al presidente del Consiglio italiano una lezione pratica di economia. Questa la prolusione, sorprendente e tranquillante, della senior analist Sara Bertin: «Moody’s guarda alla struttura del bilancio, non al deficit in sé»; il processo intentato dalla Commissione europea contro il Governo italiano per lo sfondamento del tetto del debito pubblico non comporta sistematicamente una riduzione dei voti nella pagella rilasciata dall’agenzia: anzi tale sfondamento era calcolato in quelli già attribuiti. A sentire il Corriere della Sera, Berlusconi ha tirato un sospiro di sollievo - chissà com’era preoccupato prima -; e dalla lezione «ha tratto non solo motivi di conforto». Che altra cosa avrà tratto il presidente, data la sua comprovata pericolosità di play boy quando parla di economia con le donne?

Sara Bertin, riferisce sempre il giornale, è riservatissima, abbottonata, «rifiuta di parlare del colloquio», ma presto si sbottona, anzi si abbandona: «Il rating tiene conto di tutti i fattori dell’economia reale e qui negli ultimi tempi si è visto un peggioramento», spiega. E avverte Berlusconi: se il Governo continua a vendere non per diminuire il debito ma giusto per tenerlo costante, «lo Stato potrebbe impoverirsi: è come vendere i beni di famiglia per finanziare le spese correnti». E in prospettiva Moody’s potrebbe abbassare i voti della pagella.

Una teoria ineccepibile, che Specchio Economico sostiene da una quindicina di anni, senza bisogno di alcun senior analist. Il quale, anzi la quale, prevede per il futuro quei fatti che già si sono verificati in passato: la vendita o più precisamente la svendita già avvenuta in una dozzina di anni di un patrimonio immenso. Lo Stato, ossia la collettività, si è già impoverita di molto, esattamente di quanto si sono arricchiti una decina di famiglie e di gruppi economico-finanziari nazional-stranieri. La Sibilla cumana era molto più preparata: non conosceva i fatti futuri, ma i passati certamente.

Ma sono poi così ingenui questa signora Sara Bertin e chi l’ha mandata da Berlusconi? Insospettisce tutta questa premura di avvisare il presidente del Consiglio che l’Italia sta rischiando un peggioramento della pagella. Perché dopo quell’appassionata e disinteressata prolusione, c’era da aspettarsi la consequenziale lezione: bloccare le vendite. Invece qual’è stata la conclusione dell’intraprendente maestrina? Per scongiurare questa spirale, ossia l’abbassamento dei voti nella pagella che si pensa dovrebbe preoccupare moltissimo Berlusconi in vista delle vicine elezioni politiche del 2006, non si possono ridurre le spese perché gli aumenti agli statali sono stati già dati e i tagli delle pensioni già decisi, ha osservato l’inviata di Moody’s ignorando però, sinceramente o volutamente, le tante spese voluttuarie sostenute da Amministrazioni centrali e locali, che potrebbero tranquillamente tagliarsi.

E ha assegnato a Berlusconi il compitino: «C’è solo una cosa da fare, liberalizzare i servizi pubblici e ridurre l’Irap alle imprese». Una formula miracolosa: cedere ai soliti 4 o 5 gruppi privati - che già si sono impadroniti a prezzi irrisori di aziende pubbliche operanti con utili ragguardevoli nei settori agroalimentare, telefonico, elettrico, autostradale ecc. -, le residue società che, essendo ancora pubbliche, fissano tariffe e prezzi nell’interesse dalla collettività e non di pochi grandi gruppi e famiglie.

Nel lontano 1991 Moody’s compilò una pagella non si sa da chi pagata, classificando l’Italia in serie B. E indicò una ricetta che, attuata per 13 anni, vediamo oggi i risultati che ha dato. Scrissi all’epoca: «Periodicamente si assiste all’apparizione sull’altare di certi sconosciuti santoni internazionali che si mettono a trinciare giudizi su Paesi ed economie che non conoscono. Ma perché lo fanno? A chi servono le loro prediche, rimbrotti, rampogne consigli? Chi solitamente si precipita a trarre profitto da tali liturgie internazionali è la Confindustria che, anzi, sembra proprio in attesa di esse; le quali, infatti, capitano sempre nel bel mezzo di qualche grossa operazione politico-finanziaria. E poiché tutti i salmi finiscono in gloria, anche l’ultima sortita della Moody’s è servita agli industriali privati italiani per reintonare per l’ennesima volta il solito ritornello del crescente, smisurato, insostenibile debito pubblico». Proprio come avviene di nuovo oggi. Ma con una precisazione: non lo fa tutta, ma solo una certa Confindustria.

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