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IL GIORNALE
CAMBIA LINEA?
UNO STIPENDIO IN REGALO A TUTTI

L'opinione del Corrierista

a prima volta che entrai nel Corriere della Sera, nella redazione romana al primo piano di Via della Mercede 37, esattamente il 5 aprile del 1956, sulla targa di ottone a fianco del portoncino era scritto «Il Nuovo Corriere della Sera». Perché in effetti a quell’epoca così si chiamava il primo quotidiano d’Italia. Moltissimi suoi lettori attuali quasi sicuramente non lo sanno, ma prima del 25 luglio 1943, ossia prima della seduta del Gran Consiglio del Fascismo che sfiduciò il primo ministro Benito Mussolini, il Corsera aveva appoggiato il regime, per cui dopo la Liberazione del 25 aprile 1945 non aveva potuto riprendere le pubblicazioni perché compromesso, appunto, con il Fascismo. O meglio: le riprese, ma sotto mentite spoglie, ossia sotto il nome di Corriere d’Informazione. Dopo qualche tempo però, passato quel burrascoso momento, fece un primo passò verso la vecchia e gloriosa testata, chiamandosi, appunto, Il Nuovo Corriere della Sera.

Il Corriere d’Informazione non fu chiuso, ma fu trasformato in giornale del pomeriggio e pubblicato in tre edizioni giornaliere con arrivo in edicola verso le 12, le 15 e le 17. Ma il lunedì veniva pubblicato anche nella precedente versione mattutina, in sostituzione del Corriere della Sera che in tale giorno, come tutti i quotidiani italiani, non veniva pubblicato per il cosiddetto «problema del settimo numero», ossia per un motivo contrattuale e sindacale: la domenica i giornalisti avevano diritto al riposo festivo, quindi non potevano lavorare. Ma non si potevano lasciare i lettori senza notizie, per cui si escogitò il rimedio: pubblicare al mattino una testata del pomeriggio di proprietà dello stesso editore. E pagare a parte, ovviamente, il lavoro domenicale. La forma era salva: per la propria testata i giornalisti la domenica riposavano. Invece non era vero.

Ma perché racconto questo? Per un semplice motivo, anzi per due. Il primo consiste nel fatto che, quando poi dopo qualche anno l’azienda decise di eliminare l’aggettivo «Nuovo» e tornare alla prima, originaria testata d’anteguerra, «Corriere della Sera», l’azienda festeggiò l’avvenimento elargendo una mensilità di stipendio in più a tutti. Forse perché il Corsera era ricchissimo, forse perché gli editori erano generosissimi, forse perché era il prezzo per far dimenticare l’appoggio dato al Fascismo.

Ma il secondo motivo per il quale rievoco l’episodio è soprattutto un altro. E consiste nel fatto che, se continuasse in quelle buone abitudini di una volta, il Corriere della Sera dovrebbe periodicamente, anzi sempre più spesso, elargire ai propri dipendenti, giornalisti in testa, una mensilità straordinaria: quasi sicuramente ogni anno questi riceverebbero una 15esima, una 16esima, chissà una 17esima e forse anche una 18esima mensilità aggiuntiva. Non sarebbe male per la categoria.

Il perché è lapalissiano. Per far cambiare linea politica al Corriere della Sera d’anteguerra fu necessaria appunto una guerra, con conseguente corollario di morti, distruzioni, eliminazione cruenta di un’intera classe politica ecc. Anche una dozzina di anni fa, con l’inchiesta giudiziaria su tangentopoli, fu decimata un’intera classe politica, a Milano, ma fortunatamente non a Piazzale Loreto; ma non era la stessa che il Corriere della Sera aveva appoggiato per tanti anni? Peccato che i Di Pietro non costrinsero il Corriere a cambiare temporaneamente nome, hanno fatto perdere ai redattori un graditissimo stipendio.

Ma quel cambio di linea del Corsera non è nulla rispetto a quanti ne sono avvenuti dopo, e continuano a verificarsi. Qualche esempio? Basta rileggersi la montagna di articoli pubblicati negli anni 90 dal Corsera a favore delle privatizzazioni e della svendita di aziende e beni della collettività - per carità di patria, ossia di categoria, non faccio i nomi degli autori -, e quelli pubblicati oggi. Ad esempio nella prima pagina di domenica 26 giugno scorso: «Che la politica della concorrenza, per quanto efficace, non basti a dare slancio all’economia europea è ovvio». Era ovvio anche 12 anni fa, ma c’è voluta una rivolta collettiva contro l’Europa per farlo ammettere ai fondisti del Corriere.

E ancora: «Gli aiuti di Stato non sono proibiti. Sono disciplinati affinché non distorcano troppo il mercato unico e si indirizzino soprattutto a conseguire ciò che il mercato da solo non può fare: è il caso, ad esempio, degli aiuti alla ricerca e all’innovazione». E ciò l’ammette proprio chi per anni ha propugnato principi opposti a questi anche da incarichi di alta responsabilità nell’Unione europea, distorcendo il mercato italiano a favore di grandi gruppi economico-finanziari stranieri. Allora c’è da chiedersi: c’è forse ora qualche grandissima azienda privata italiana che, appunto senza aiuti di Stato cui è stata sempre abituata, è andata in crisi e continua a perdere colpi, per cui bisogna preparare la strada a un ribaltamento di politica economica, tanto più che le è facile sostenere che fa «ricerca e innovazione»?

Ancora un esempio: per quanti anni il Corriere è stato favorevole all’introduzione in Italia di istituti e sistemi vigenti in altri Paesi, dal sistema elettorale maggioritario allo spoils system? Ebbene ora di colpo si accorge, sabato 25 giugno scorso, che «Governo nazionale e Giunte locali continuano a usare il cosiddetto spoils system mentre la Corte ancora una volta ha rinviato la decisione sulla sua costituzionalità». E non si sapeva prima che era incostituzionale? E il Corriere lo fa scrivere addirittura a un ministro di quel Governo che introdusse quella legge in Italia.

Oggi in Italia su qualunque argomento una persona può avere un’opinione, un’altra persona l’opinione opposta. C’è di più: la stessa persona può avere stamattina un’opinione e stasera quella opposta. Così è per certi giornali, e non ci si fa più caso. Altrimenti sarebbe un guaio: ogni giorno dovrebbero stare a cambiare nome. Per cui anche il Corriere della sera si è adeguato. Leggendo quanti «25 luglio» e «25 aprile» disinvoltamente affronta ogni giorno nella sua linea politica ed economica, mi consolo con il ricordo di quella graditissima mensilità ricevuta, che purtroppo i miei colleghi giovani, pur avendone diritto, non potranno mai ricevere.

Il Corrierista

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