ANTONIO CATRICALA':
COSì TUTELIAMO IL LIBERO MERCATO
Antonio Catricalà, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato

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ato a Catanzaro - suo padre era un illustre esponente del Partito repubblicano locale -, divenuto giovanissimo avvocato dello Stato, quindi consigliere di Stato, professore universitario, autore di pubblicazioni giuridiche, capo di Gabinetto e consigliere giuridico di vari ministri, fino a ricoprire l’importante carica di Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, Antonio Catricalà si è visto affidare recentemente il compito finora più impegnativo della sua vita professionale: la presidenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Un lavoro difficile in un momento di notevoli difficoltà dell’economia nazionale, di incertezza sulle prospettive dell’Europa, di profondi sconvolgimenti prodotti dalla globalizzazione dell’economia proprio nei mercati internazionali e nella concorrenza.
La nomina di Catricalà comporterà anche un aggiornamento della strategia dell’Autorità, conosciuta anche con il semplice nome di Antritrust? Come intende affrontare questi spinosi problemi che hanno conseguenze immediate sulle condizioni di vita di milioni di famiglie, di consumatori, di imprese? Lo chiediamo allo stesso presidente.
Domanda. Qual è il nuovo corso dell’Antitrust?
Risposta. Si ispira a tre obiettivi cui rivolgere la massima cura: una maggiore integrazione europea, un’attenzione verso le famiglie e i consumatori, una particolare considerazione per le imprese. L’europeizzazione e una maggiore integrazione sono necessarie proprio oggi, dopo che i referendum sulla Costituzione europea hanno rivelato segnali di crisi; riteniamo che la concorrenza possa realizzarsi maggiormente se frutto dell’integrazione europea; essa costituisce un bene in assoluto, ma soprattutto se diventa uno strumento di benessere sociale. Riteniamo che bisogna far conoscere ai cittadini i vantaggi che l’Unione europea può arrecare e i benefici che la liberalizzazione di molti servizi e la privatizzazione di alcuni settori possono arrecare in qualità, rendimenti e minori costi.
D. Come difenderà i consumatori dai grandi gruppi di interessi economici?
R. I mercati seguono regole economiche molto precise e l’intervento dell’Autorità non è mai politico ma sempre tecnico; essa non deve fare da regolatore ma da vigile, deve garantire che non esistano posizioni di strapotere economico, non vi siano abusi e intese illecite. Non sempre le attività antitrust comportano come diretta conseguenza un benessere per il consumatore; ma noi ci riproponiamo di considerare con la massima attenzione questo aspetto, non mancando di tenere presenti le regole che garantiscono al mercato di funzionare secondo principi di libertà nell’offerta e nella domanda. Il fine che ci proponiamo è quello di consentire al mercato, secondo le proprie regole e i propri meccanismi, di arrivare a un risultato positivo per il consumatore.
D. In che modo questo è possibile?
R. Prima di tutto verificando l’adeguatezza dei prezzi e, di conseguenza, individuando le zone di debolezza o di congestione che creano gli aumenti, che danno luogo a prezzi fuori mercato. Spesso questo accade per motivi strutturali, come nei settori dell’energia elettrica e del gas; e allora l’autorità deve suggerire al potere politico i rimedi che consentano di decongestionare i prezzi e di assicurare una maggiore fluidità all’offerta e alla domanda.
D. In che consisterebbero i rimedi?
R. In un mercato così importante come quello dell’energia bisogna creare nuovi concorrenti, e non lasciare l’ex monopolista padrone assoluto del flusso di elettricità, della sua produzione ed erogazione. Lo stesso vale per l’Eni, perché se questo Gruppo offrirà più gas di quanto è strettamente necessario per soddisfare il fabbisogno nazionale, si avrà una riduzione del prezzo; altri concorrenti, infatti, potranno in qualche modo sfruttarlo e venderlo al dettaglio. Gli interventi strutturali sono sempre oggetto di segnalazioni e di indagini conoscitive da parte dell’Autorità, come abbiamo già svolto per il gas e l’elettricità.
D. Come aiutare le piccole imprese?
R. È un altro settori dell’economia nazionale in difficoltà, e questo è il terzo punto verso il quale dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Le nostre imprese sono poco competitive anche perché soffrono di un inadeguato sistema di approvvigionamento di beni e di servizi. Sono particolarmente costosi i servizi finanziari, bancari e assicurativi; lo stesso può affermarsi sui servizi professionali specializzati soprattutto nei settori più innovativi come l’informatica: il costo delle prestazioni libero-professionali ha in Italia un’incidenza superiore a quella esistente altrove, e ciò svantaggia le nostre aziende rispetto agli altri Paesi.
D. E i prezzi o tariffe stabilite dalle aziende pubbliche?
R. Riteniamo che debbano essere liberalizzati al più presto, e quindi privatizzati, anche i servizi pubblici locali, che sono quasi tutti in mano pubblica sia per la direzione sia per la proprietà; questo consentirà un calo di costi e un miglioramento dei servizi, purché esista un reale mercato concorrenziale. Per molti di questi settori esso c’è; in altri purtroppo i Comuni esercitano un’attività diretta più al benessere sociale che a un’effettiva funzione imprenditoriale; in questi casi si dovrà attendere che il mercato si sviluppi. Abbiamo aperto un’istruttoria sul trasporto locale, ma il problema non è costituito solo da questo; è costituito da tutti i pubblici servizi locali. Occorre giungere a una completa e reale liberalizzazione che al momento non esiste, tanto più che alle Regioni sono stati assegnati poteri legislativi e regolamentari nell’economia. Però se non diventiamo competitivi siamo destinati a scomparire dal mercato, quindi dobbiamo abituarci alla concorrenza e alla competizione.
D. Quando si vedranno i risultati concreti di quest’azione antitrust?
R. Quando le nostre imprese produttrici di beni saranno su un piano di perfetta parità con le loro concorrenti europee, potremo competere a parità di armi e quindi potremo avere maggiore successo e migliore affermazione. Anche le nostre imprese dovranno investire di più, in ricerca e innovazione, i risparmi che deriveranno dalla riduzione dei costi, perché l’incidenza della spesa per la ricerca sul costo finale di un prodotto è minore che negli altri Paesi, e questo ci fa regredire non nell’immediato, ma nel futuro.
D. Quali altri compiti sono affidati all’Autorità da lei presieduta?
R. Ricade nella nostra competenza anche il settore della pubblicità, in particolare della pubblicità ingannevole. Abbiamo molta fiducia nella pubblicità comparativa che tuttavia non decolla nel nostro Paese, e questa è la riprova che non c’è chiarezza né trasparenza di mercato. Siamo ovviamente nemici degli imbonitori, dei maghi che promettono felicità, successo e lavoro; siamo nemici di quelle agenzie di intermediazione che si nascondono dietro gli annunci per cuori solitari. Però siamo anche i nemici dei grandi gruppi che avanzano offerte non chiare, non complete: ad esempio tassi dei mutui definiti «a costo zero» che invece non sono affatto a costo zero; tariffe telefoniche che non corrispondono esattamente e nel dettaglio ai costi che incontra l’utente ecc. Ogni anno riceviamo un grandissimo numero di queste segnalazioni e riusciamo a trattarne molte.
D. Come combattete la pubblicità ingannevole?
R. La legge Giulietti ci attribuisce notevoli poteri in proposito; in base ad essa potremmo addirittura sospendere l’esercizio di un’attività commerciale o industriale per 30 giorni, una sanzione limite che speriamo di non dover mai applicare. Anche perché riteniamo che in quasi tutti i settori economici si possano raggiungere maggiore trasparenza e competitività nel mercato non soltanto con interventi autoritari ma anche con la «moral suasion». Ci occupiamo anche dei conflitti di interessi delle autorità di Governo; in questo campo stiamo svolgendo un impegnativo lavoro di catalogazione delle attività e dei beni dei governanti e dei loro congiunti per accertare l’eventuale esistenza di situazioni di incompatibilità. In tali casi il più delle volte abbiamo trovato una soddisfacente collaborazione da parte dei soggetti interessati; dove questa collaborazione non c’è, si emette un giudizio collegiale, impugnabile davanti al Tribunale amministrativo.
D. Il quesito più importante: come uscire dalla stagnazione economica?
R. Nella relazione che ho presentato al Parlamento ho sostenuto che in una fase di rallentamento dello sviluppo economico non bisogna usare solo il bastone, spaventare chi intende investire, ma bisogna attirare gli investimenti, invogliare l’investitore, fare qualche concessione temporanea per evitare un fenomeno involutivo che porterebbe a un ulteriore depauperamento dell’economia; è uno sforzo che va fatto, e l’Autorità intende accompagnare e favorire la crescita, e non imporre soltanto divieti e comminare sanzioni.
D. Quale futuro d’Europa è auspicabile nell’interesse dei consumatori?
R. Dobbiamo sostenere il processo di integrazione europea anche se si vetrificano momenti di crisi come quello attuale. L’esito negativo in Francia e in Olanda del referendum sulla Costituzione e la difficoltà di approvare il bilancio dell’Unione europea non devono scoraggiarci; probabilmente sono frutto della scarsa conoscenza, da parte di alcuni popoli, dei benefici che l’Europa comporta, e che vanno fatti conoscere ai cittadini. Bisogna sburocratizzare l’immagine oltreché la sostanza dell’organizzazione europea. Non potevano prevedersi le conseguenze dell’introduzione dell’euro; dalla politica monetaria europea abbiamo ricevuto indubbiamente un danno specifico, quello di non poter più ricorrere alla svalutazione della moneta per ridare competitività alle nostre esportazioni; ma è anche vero che una lira eccessivamente svalutata comportava maggiori esborsi di valuta per l’acquisto di materie prime all’estero. Quindi il credito che vantiamo con l’adesione all’euro è compensato dal debito di riconoscenza cui siamo tenuti per avere conquistato una stabilità monetaria. Abbiamo una moneta che ci è costata molto, ma la sua stabilità è un bene prezioso.
D. Come difendersi dalla forte concorrenza dei Paesi emergenti?
R. Le economie di tali Paesi non sempre rispettano i principi della concorrenza; se l’Europa riterrà di adottare forme di tutela, non credo ci si debba scandalizzare perché ciò non lederà la normativa antitrust, dato che le condizioni sono notevolmente asimmetriche. Basti pensare alla diversità del costo del lavoro, oltre a quella per la sicurezza nella produzione dei prodotti; non c’è una competizione leale in presenza di condizioni di partenza completamente diverse. In tali casi si può anche pensare a discipline asimmetriche.
D. È in grado l’Autorità antitrust di svolgere così numerosi e impegnativi compiti?
R. Sono sufficientemente soddisfatto di come essa è strutturata. È dotata di un’organizzazione snella, costa poco all’erario, produce molto in termini di fatturato amministrativo, consegue ottimi risultati e gode di ottima reputazione. Tutto è perfettibile, ma si tratta di dettagli, non credo che occorra una riforma copernicana. L’unico desiderio che nutro è questo: non basta che noi rivolgiamo segnalazioni agli organi competenti; occorre farle comprenderle, illustrarle, sottoporle agli Uffici legislativi dei Ministeri, prospettarle a ministri e sottosegretari. Non per lettera, ma parlando con le persone, guadagnandone l’attenzione.
D. Quale iniziative suggerirebbe al Governo e al Parlamento?
R. Sui farmaci avevamo una serie di idee, ma noi suggeriamo solo soluzioni tecniche, spetta al Governo e al Parlamento valutarne la praticabilità politica. Chiedo solo la possibilità di varare, come in altri Paesi, programmi di clemenza, consistenti nella mancata applicazione di sanzioni nei casi di autodenunce in alcuni settori sottratti alle regole antitrust. Di fatto possiamo già evitare sanzioni, ma non possiamo prometterlo e nell’incertezza nessuna azienda che abbia celato concentrazioni o intese avrà il coraggio di autodenunciarsi. Un programma di clemenza farebbe emergere una serie di attività sommerse.
D. Che potere ha l’Antitrust se poi le sue decisioni vengono bloccate dal Tribunale regionale amministrativo?
R. Se l’Autorità ha sbagliato nel motivare una decisione o ha saltato un passaggio nel procedimento, è giusto che il giudice amministrativo intervenga e indichi la «retta via». Ma non è detto che le aziende che ricorrono contro i nostri provvedimenti vincano, anche perché le sentenze del Tar sono impugnabili. I Tribunale non entra subito nel merito; prima emana una sospensiva, poi pronuncerà il giudizio di merito. Le sue procedure sono lunghe, ma per le Autorità sono abbreviate: queste godono di un trattamento privilegiato, i tempi del contenzioso sono dimezzati, si arriva presto al giudizio, essendo in gioco interessi economici rilevanti. Anche negli appalti è così, ma per le Autorità si tratta proprio di un’agevolazione. |