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Paolo Bruni:
Coop, un tipo di impresa
che non teme concorrenza

Paolo Bruni, presidente della
Fedagri Confcooperative

osì come il mai inflazionato «ghisa» abbordato dai fratelli Caponi davanti al Duomo di Milano in «Totò, Peppino e… la malafemmina», c’è una parte del mondo agro-alimentare del Paese che «parla italiano». Che sa di avere importanti atout per vincere la battaglia della «competizione globale», giocata a colpi di prezzi sempre più bassi a scapito, spesso, della qualità e della sicurezza dei prodotti destinati alla tavola del consumatore. L’agro-alimentare nazionale ha subito negli ultimi anni una concorrenza sempre più arcigna.

Quella sleale, se non illegale, dell’imitazione e della contraffazione vera e propria di prodotti eno-gastronomici italiani, il cui fatturato si calcola supererà, nel prossimo anno, quello dell’industria nazionale: 105 miliardi di euro annui. Ma anche quella di Paesi che hanno costi del lavoro o della materia prima incomparabilmente inferiori a quelli italiani, e che trovano nelle grandi multinazionali della trasformazione e della distribuzione interlocutori quanto mai interessati ad acquistarne i prodotti, nell’eterna e sempre più cruenta corsa al prezzo più basso.

E ci sarebbe davvero di che preoccuparsi se a ciò si aggiungessero l’ancora recente «caduta degli dei» che ha coinvolto alcuni dei più bei nomi italiani del settore, dalla Cirio alla Parmalat; il grido d’allarme, sempre più alto, lanciato da un settore anticiclico per eccellenza come quello alimentare, ma che comincia a segnare il passo dal momento che nel 2004 l’industria alimentare ha registrato, dopo vent’anni, un segno negativo; le richieste di sostegno alla competitività, a cominciare dalla riduzione dell’Irap e in generale del costo del lavoro, avanzate con frequenza inversamente proporzionale alla reale convinzione che possano essere accolte nell’attuale situazione dei conti pubblici; certi freni alla volontà di crescita delle più dinamiche imprese nazionali.

Eppure, pur tenendo ben presenti le difficoltà sopra indicate, il 31 maggio scorso si respirava un’aria diversa nello stabilimento della Conserve Italia alle porte di Bologna, sede dell’assemblea annuale della Fedagri-Confcooperative, la Federazione delle «coop bianche» che rappresenta poco meno di 4 mila cooperative in tutto il territorio nazionale, per un totale di più di mezzo milione di soci, quasi 66 mila addetti e un fatturato nel 2004 di oltre 22 miliardi di euro. Un’aria di «orgoglio cooperativo», la definisce il presidente della Federazione Paolo Bruni che stila, a pochissime settimane di distanza, un bilancio di quell’appuntamento e, soprattutto, del ruolo presente e futuro della cooperazione nel secondo settore manifatturiero del Paese.

Che sia Bruni a rispondere, nella bella sede romana della Fedagri a due passi da Piazza Navona, non è casuale. Non solo perché fino al 2008 egli sarà al vertice di una Federazione nel cui interno figurano alcuni dei maggiori protagonisti dell’agro-alimentare italiano, dalla Granarolo alla Conserve Italia appunto, che sei mesi fa ha rilevato la Cirio accollandosi l’arduo compito di risollevare un’azienda uscita da drammatiche vicissitudini economiche e finanziarie. Ma anche perché, grazie a un’indubbia capacità comunicativa, Bruni si è assunto negli ultimi tempi il ruolo di «ambasciatore televisivo» dello stesso agro-alimentare nazionale, non solo cooperativo, partecipando a più di 200 trasmissioni televisive, da «Uno Mattina» a «Porta a Porta».

«Così facendo mi sono guadagnato molte antipatie e gelosie–ammette–, ma ritengo che sia un prezzo ragionevole da pagare: ho sempre pensato che gli agricoltori italiani, bravissimi nell’attività quotidiana e nel produrre meglio degli altri, lo siano molto meno nel vendere i propri prodotti, compito sempre demandato alla distribuzione commerciale, e nel dare il giusto valore al proprio modello, al proprio ruolo e alla propria immagine. Cerco di far conoscere il patrimonio di preparazione, intelligenza, capacità imprenditoriale che c’è dietro un ‘semplice’ prodotto agricolo. È un modo per fare marketing di settore e per costruire e consolidare un rapporto con il consumatore. Un compito che non posso né voglio svolgere da solo, ma se questo modo di comunicare diventerà un sistema, se i messaggi sulla qualità saranno ripetuti ai consumatori, alla fine saranno accolti».

Domanda. Quale messaggio principale è emerso dall’assemblea svoltasi a Bologna?
Risposta. Una ritrovata consapevolezza, da parte sia degli interlocutori politici e istituzionali sia dei nostri associati, della potenzialità dello strumento cooperativo per rispondere con efficacia alla globalizzazione dei mercati, ponendo come elemento di competitività la distintività dei prodotti nazionali.

D
. Quali sono le carte in mano al «made in Italy» agro-alimentare nel mercato globale?
R. In un mercato sempre più aperto è facile trovare produzioni, provenienti da qualche angolo della terra, a prezzi più bassi di quelli italiani. Se la partita viene giocata solo su questo campo, l’Italia ha perso in partenza. Così non è, invece, se si danno spazio e valore alla distintività delle nostre produzioni, intendendo con tale termine la qualità, la sicurezza alimentare, la trasparenza, il gusto, il sapore, la provenienza, l’origine, il legame con il territorio, la rievocazione delle tradizioni. In tal caso possiamo ricavarci uno spazio competitivo anche nell’arena globale, perché siamo in grado di offrire ai consumatori qualcosa di diverso e di migliore.

D
. Qual è il ruolo della cooperazione agricola in questo contesto?
R. È intrinseco alla natura della cooperazione il forte legame della produzione con il territorio e il rapporto di fedeltà fra il socio-produttore, ossia l’azienda agricola, e la cooperativa di trasformazione e di commercializzazione. Un esempio: una multinazionale che lavora il pomodoro si procura la materia prima dove costa meno, a prescindere dai requisiti di qualità e di sicurezza alimentare in essa presenti. Una nostra cooperativa, che ha come proprio compito la valorizzazione dei prodotti degli associati, si approvvigiona del prodotto nei nostri siti. In questo modo essa offre al consumatore garanzie che sono impossibili ad altri tipi di imprese.

D
. Queste garanzie non rischiano di passare in secondo piano agli occhi di consumatori sempre più attenti al prezzo, specie in un periodo di difficoltà economiche come l’attuale?
R. Il piano di sviluppo per il triennio 2005-2007 esposto nel corso dell’assemblea è diretto ad imprimere una decisa accelerazione ai processi d’integrazione e di concentrazione delle imprese cooperative. Questo comporta, fra l’altro, maggiori economie di scala, diminuzione del numero di passaggi dal produttore al consumatore e quindi un ulteriore contenimento del prezzo. Insomma maggiore competitività anche dal punto di vista economico. Faccio però presente che, su questo piano, la cooperazione ha dimostrato di essere con le carte più che in regola rispetto ad altre imprese del settore.

D
. A che cosa si riferisce?
R. Ai risultati dell’indagine condotta nel 2004 dall’Osservatorio sulla cooperazione agro-alimentare promosso dal Ministero per le Politiche agricole e forestali su un campione di oltre 1.200 cooperative in gran parte aderenti alla Fedagri, messo a confronto con un corrispondente campione di aziende non cooperative: dallo studio emerge che gli investimenti sono più diffusi nell’area della cooperazione, e che questa è riuscita ad assorbire gli incrementi dei costi senza trasferirli nei prezzi finali assicurando ai soci, nello stesso tempo, la giusta remunerazione.

D
. Nessun problema allora?
R. Evidentemente no. Mentre il mondo cooperativo si è dato e continuerà a darsi da fare, dalle istituzioni debbono venire risposte chiare alle richieste avanzate da questo mondo, risposte che agevolerebbero il percorso intrapreso.

D
. Qual’è la prima questione all’ordine del giorno?
R. Quella dell’Antitrust. La Granarolo ha manifestato la propria disponibilità a rilevare la Parmalat, insieme a un pool di cooperative. Questa disponibilità è però, al momento, solo teorica in quanto, rimanendo in vigore l’attuale normativa nazionale antitrust, tale acquisizione verrebbe con ogni probabilità bocciata dalla relativa Autorità, che ravviserebbe in essa il configurarsi di una posizione dominante nel mercato italiano del latte. Si tratta, a nostro parere, di una limitazione inaccettabile perché da un lato si riconosce che per sostenere la competizione internazionale occorre favorire processi di concentrazione; dall’altro si pongono limiti alla crescita, tenendo presente in maniera del tutto anacronistica una dimensione del mercato solo nazionale, in base alla quale viene considerata a rischio un’azienda che superi il 30 per cento del suddetto mercato.

D. Che cosa occorrerebbe invece?
R. Pensare, come fanno gli altri Paesi, in chiave perlomeno europea, se non mondiale. A parte l’esempio della Danimarca, dove pure una sola azienda detiene più del 90 per cento del mercato interno del latte, riflettiamo su un dato: se la Granarolo acquistasse la Parmalat, l’azienda che nascerebbe sarebbe per dimensioni l’ottava del settore in Europa, non la prima, con una quota di mercato continentale del 5 per cento. La questione dell’Antitrust va risolta modificando i parametri del mercato agroalimentare.

D
. Quali altre richieste avanzate?
R. Un intervento di riduzione dell’Irap però selettivo, destinato cioè alle imprese più dinamiche e più esposte alla concorrenza internazionale. E in tema di concorrenza, esclusa la possibilità fuori dalla storia di imporre dazi ai prodotti provenienti dai Paesi terzi, è però doveroso pretendere che questi rispondano agli stessi rigorosi requisiti di qualità e di salubrità imposti ai prodotti europei.

D
. I dati della Fedagri sono positivi, nel 2004 è aumentato il numero dei soci, degli addetti e del fatturato. Non sono eccessive le lamentele?
R. È vero che il 2004 è stato soddisfacente, confermando la natura anticiclica della cooperazione. Ma i primi dati del 2005 mostrano segni di stagnazione da cui non si può essere a lungo esenti se ciascuno, nel proprio ambito, non si assume le necessarie responsabilità. Qualcuno afferma che alcuni interventi richiesti dalla Fedagri, come la riduzione selettiva dell’Irap, hanno un costo difficilmente sostenibile in un momento di difficoltà per la finanza pubblica. Ma non tutto quello che chiediamo ha un costo immediato per le casse dello Stato. Mi riferisco in particolare alla modifica della legislazione antitrust, per la quale ci attendiamo dalle istituzioni una risposta coerente, nei fatti, con le autorevoli parole di appoggio pronunciate dal mondo politico nel corso della nostra assemblea.

D
. Pur ipotizzando che le vostre richieste vengano soddisfatte, è difficile pensare che la produzione italiana possa competere economicamente con quella di Paesi in cui la materia prima costa la metà e il costo di un operaio è di poche decine di dollari al mese. Se al supermercato quei prodotti costeranno sempre meno, il consumatore non li preferirà al made in Italy, anche se più buono e sicuro?
R. Il consumatore desidera qualità, sicurezza alimentare, provenienza certa, prezzi bassi. Tutto temo sia impossibile. Bisogna però dire che il consumatore è sempre più attento alla qualità ed è disposto a spendere di più in cambio di garanzie, purché siano valide ed egli ne sia informato.

D
. In questo contesto qual è il ruolo della grande distribuzione?
R. Nel corso dell’assemblea mi sono rivolto in particolare alla grande distribuzione organizzata che parla italiano per proporre un patto che ci consenta di valorizzare le produzioni nazionali. Cosa che non fanno alcune catene distributive che acquistano il prodotto dove costa meno, disinteressandosi di ogni altro aspetto. Il risultato del patto dovrà essere un servizio al consumatore basato su prezzo e qualità.

D
. Il piano di sviluppo della cooperazione agro-alimentare si inserisce in un quadro caratterizzato da luci e ombre. Come vede il futuro?
R. Riteniamo di aver svolto, negli ultimi anni, un buon lavoro in favore delle nostre imprese, specie se consideriamo l’attacco di cui il mondo della cooperazione è stato oggetto da più parti. Ma se abbiamo vinto la battaglia politica non dobbiamo ora perdere quella con il mercato. La forza della Federazione non sarà in futuro diversa da quella delle imprese che rappresenta e dalla loro capacità di imporsi nella competizione nazionale e internazionale. La partita da vincere è questa. Personalmente sono ottimista: nella nostra assemblea ho ritrovato l’entusiasmo, la vitalità, la consapevolezza di poter diventare protagonisti nell’economia italiana. Oggi le cooperative agro-alimentari vogliono dimostrare di essere migliori di altre imprese: il loro mettere al centro l’uomo e il legame con il territorio e con le tradizioni sono valori realmente competitivi. Questo è il «terzo tempo» della cooperazione.

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