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![]() New York City, la madre che ha visto morire le sue due gemelle di 25 anni per un attacco terroristico dall’alto. Ma in alto non c’era il Paradiso? Il cordone allora è davvero reciso. Due morti giovani, una madre che piange e che chiede vendetta, un padre putativo che viene rieletto in tutti gli Stati Uniti tranne che nella città delle sue due figlie putative. Un padre putativo, quello che siede sulla poltrona presidenziale più importante del mondo, che proprio nella città-moglie non è voluto, non è accettato. New York, la madre, voleva Kerry, l’altro. Era pronta per il divorzio. Ma questo divorzio non s’ha da fare, direbbe un grande, e il padre non si sceglie. Fra meno di quattro anni, termini che, per una separazione italiana in fondo, sono raddoppiati (sempre che il marito separato non si ricongiunga con la moglie separata), il rieletto Presidente cambierà mestiere. Si può dire dunque, per quanto riguarda la City, che la separazione è in corso. Il Presidente non è rieleggibile. Se vinceranno i conservatori o i democratici, nelle prossime elezioni, si saprà solo allora. Intanto la madre, tormentata per le sue figlie gemelle, violate, stuprate, sterminate, annientate, soffre. Soffre ogni giorno e la si sente nell’aria. Sotto Ground Zero ora passa un treno. Il cantiere è in fibrillazione e, guardando gli altissimi grattacieli che lo osservano, è addirittura difficile immaginare, per chi non ha mai visto prima, quanto fossero alte quelle gemelle, atletiche, magre, a un passo dal Paradiso, alte almeno il doppio delle sorelle in lutto che pregano per loro. Si puo’ pensare a una cervicale che duole, tutta presa a vederne il viso. Un torcicollo. Tutto questo si può, ora, solo immaginare o ricordare. Perché a guardare in alto, in questo momento non c’è niente, forse nemmeno il Paradiso. Può farsi un altro figlio, se ne puo’ addirittura adottare uno: ma la perdita non potrà mai essere rimpiazzata. Quel folle polverone che è ancora percettibile nell’aria, che ha abbassato i prezzi della zona e di tutto il limitrofo Financial Center, che ha fatto fuggire i residenti, non può dimenticarsi. Lo Stato ha, allora, attribuito un contributo mensile a chi volesse trattenersi, per non provocarne la fuga, che è la prima reazione a un lutto. C’è chi l’ha accettato. Ma solo il 62 per cento di quella popolazione è rimasta lì: gli altri si sono spostati. I prezzi sono crollati e chi ha avuto, nonostante il dolore, la prontezza di comprare, ora vede ogni giorno aumentare di valore il proprio acquisto. Non perché il lutto sia stato dimenticato, anzi: lo ricordano tutti i giorni i mass media, le foto, gli orrori della guerra in atto. Ma, come si dice, la vita continua, «the show must go on», e allora che continui. Per chi non ha tossito, o ha tossito di meno all’alzarsi di quel polverone, o chi invece ha voluto allora più che mai rimanere fedele al proprio quartiere, alle proprie sorelle, il guadagno c’è stato. Ma si puo’ parlare di guadagno? Camminare e vedere sulla piazza un cantiere e operai vestiti in giallo con grandi e pesanti elmetti può sostituire quelle migliaia di persone che sono state sepolte? La situazione ora sembra essersi normalizzata. Ma la madre New York non ama il proprio Presidente-marito, non lo ama più. I newyorkesi sono diversi dal resto dell’America: sono un misto di razze, di colori, di caratteri, di religioni e di vestiti. Sopra una macchina stracolma di neve, sotto una grande nevicata, un rabbino stava scrivendo il proprio nome come un bambino. Come quando, in Italia, si legge «Lavami stupido». Si torna bambini a New York, certe volte, e a prescindere da sesso, credo e orientamento. Si torna bambini sotto la neve che a fiocchi scende cristallina ed è sempre bianca: uno stesso colore per tutto, per tutti. Nessuno è meglio di altri a New York. Tutti sono neve. Che magari si scioglie in un attimo, o forse resta per qualche giorno scolpita sui grattacieli, sulle vetture, sulle strade: ma c’è qualcosa che lega ogni figlio naturale, legittimo, illegittimo o adottato a questa metropoli. Li lega l’indipendenza. Durante il noto black out, una donna stava morendo su un ponte. La polizia non è arrivata in tempo perché c’era traffico e pochi si fermavano a soccorrerla. Ognuno va per la propria strada e quella donna è morta su un ponte. Il black out, così come la luce, ha portato via qualcuno con sé. Sulla metropolitana di New York un coro gospel canta perfettamente a quattro voci e sulla piattaforma ci sono due messicani che intonano Guantanamera e Besame mucho. Tutti si fermano ad ascoltare. Non ci sono orecchie da mercanti anche se ci sono molti mercanti. L’ombelico del mondo, dolorante e dissanguato, continua a rimanere al centro di una pancia, quella mondiale, comunque gonfia, che non comunica più valori e che, per quanto ci provi, non riesce più a rimanere incinta. O forse non ci prova nemmeno, perché di figli non ne vuole più. |
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