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BERETTA Holding:
UN VANTO IN TUTTO
IL MONDO PER
L’INDUSTRIA ITALIANA


Pietro Gussalli Beretta,
vicepresidente e amministratore delegato della Beretta Holding

Il vicepresidente del Gruppo
di Gardone Val Trompia
illustra successi, attività, iniziative
e prospettive della gloriosa
fabbrica d’armi che ha
una tradizione di circa mezzo
millennio e i cui prodotti
continuano ad essere prescelti
dalle Forze Armate e dalle Polizie
di centinaia di Paesi

a documentazione sulle origini dell’azienda è ricca e dettagliata: l’attuale fabbrica d’armi di Gardone Val Trompia in provincia di Brescia, il Gruppo Beretta famoso in tutto il mondo che oggi conta complessivamente circa 2.500 dipendenti e un fatturato superiore ai 370 milioni di euro l’anno, era attiva già mezzo millennio fa e aveva importantissimi clienti. Nel 1526, per esempio, fornì canne da archibugi alla potentissima Repubblica di Venezia, la Serenissima. «Avendo ottenuto in quell’anno un contratto così importante, si presume che la sua produzione fosse eccellente già in quell’epoca; siamo arrivati fino ai nostri giorni cercando sempre di essere all’avanguardia nella produzione di armi leggere, sportive e da difesa», precisa con orgoglio Pietro Gussalli Beretta, vicepresidente e amministratore delegato della capogruppo Beretta Holding.

Suo fratello Franco è vicepresidente e amministratore delegato della Fabbrica d’Armi Pietro Beretta, la società per azioni maggiore perché è quella storica, culla della tradizione, che realizza la maggior parte della produzione. «Nei documenti che possediamo si parla di vendite e di rapporti con la Casa reale di Francia, con i sovrani dell’Impero asburgico, con i regnanti di vari Ducati e Principati esistenti in Italia. In occasione della terza Guerra d’Indipendenza siamo stati fra i fornitori dei garibaldini per il loro famoso sbarco a Marsala del 1860–ricorda Pietro Gussalli Beretta–. Abbiamo accompagnato la storia d’Italia fino all’epoca moderna, quando nella gestione dell’azienda sono giunte le nostre generazioni: nella prima fase quella di mio padre Ugo, attuale presidente della Holding, nella seconda quella mia e di mio fratello. Dopo l’apertura dei mercati europei operata dai miei nonni, mio padre è stato l’artefice del processo di internazionalizzazione che è stato fondamentale per lo sviluppo della nostra azienda nel mercato americano; prima prevalentemente in quello civile, a causa dell’esistenza in quel Paese di un gran numero di cacciatori; poi sono venuti i contratti con le Forze Armate e con la Polizia degli Stati Uniti.

Domanda. Come si muove l’azienda in questa nuova e delicatissima fase della globalizzazione?
Risposta. Gli sforzi miei e di mio fratello tendono sempre a migliorare la nostra posizione in Europa e negli Usa, ma si stanno aprendo nuovi mercati costituiti dai Paesi dell’Est Europa e dall’Estremo Oriente; i principali cui ci stiamo avvicinando sono la Russia e la Cina. In America siamo presenti da 25 anni direttamente con nostre aziende; ne abbiamo varie, la più importante si chiama Beretta Usa. Negli ultimi 8 anni il Gruppo Beretta ha compiuto varie acquisizioni dirette a rendere più completa possibile la gamma dei nostri prodotti; abbiamo fatto acquisizioni in Finlandia, in Turchia e negli Stati Uniti. L’azienda acquisita in Finlandia si chiama Sako e realizza un prodotto sportivo che mancava nella nostra gamma e che ora vi abbiamo inserito.

D. Quali aziende avete acquistato negli Stati Uniti?
R. Recentemente abbiamo comprato la Burris che costruisce cannocchiali e prodotti ottici in genere; questa operazione ci consente di operare in un settore che, rivolgendosi al cacciatore e a chi vive all’aria aperta, si inserisce nel resto delle nostre attività. Penso che molte energie del Gruppo saranno destinate nei prossimi anni a questa società e ai suoi prodotti, perché suscettibili di sviluppo. La Burris è ancora piccola rispetto ad altri comparti in cui abbiamo la leadership, per cui compiremo adeguati investimenti per espandere la sua area. Si tratta di prodotti complementari alle nostre produzioni, ma anche a se stanti: si acquistano infatti binocoli indipendentemente dai cannocchiali montati sopra le carabine da caccia.

D. In Turchia quale società avete acquistato?
R. La Stoeger Silah Sanayi, azienda di Istanbul che fabbrica fucili da caccia, esportati soprattutto negli Stati Uniti, dal prezzo contenuto, destinati a una fascia di mercato in cui è assente il prodotto italiano per una questione di costi e di posizione di marchio. I nostri marchi, infatti, sono molto più conosciuti e apprezzati, e non siamo interessati a offrirli in una fascia bassa del mercato. In Turchia ma anche negli Stati Uniti esiste un consistente numero di acquirenti meno attenti alle rifiniture e più attenti ai prezzi, cui pertanto sono destinati questi prodotti che non portano il marchio Beretta. In Europa questo target è meno diffuso.

D. Quali programmi avete per il mercato turco?
R. Dal momento che abbiamo acquistato questa società, stiamo sviluppando i rapporti; penso che l’ingresso della Turchia nell’Unione europea faciliterà le relazioni tra l’Europa e il Governo turco; ho visto in quel Paese un grande desiderio di aderire e, ovviamente saremo contenti se questo avverrà, perché faciliterà gli scambi.

D. Perché nella politica di sviluppo degli ultimi anni non figurano acquisizioni di aziende in Italia?
R. So che ad alcuni non piacerà quello che dico, ma in Italia è diventato sempre più difficile investire, e da italiano questo mi dispiace. Finora questo è avvenuto e purtroppo penso che, se continuerà così, per l’industria sarà sempre più difficile produrre in Italia, mentre esistono molti Paesi nei quali le possibilità e le facilità di investimento sono molto più interessanti. Pur essendo legatissimo a questo Paese, constato come stia decadendo. Tengo a dirlo perché spero che, sentendolo da me e da altri imprenditori, qualche reazione da parte dei politici vi sia; è triste vedere che un Paese dotato di grandi potenzialità decade ma che non si vuole ammettere che questo avvenga. Adesso si è aggiunta l’Europa a porre una serie di paletti; stiamo diventando il Paese dei paletti perché oggi si vuole regolamentare tutto quando poi, con la globalizzazione dei mercati, si deve competere con Paesi che non pongono ostacoli e nei quali esiste una libertà di impresa che da noi è sempre più difficile.

D. Qual è l’ammontare delle vostre esportazioni?
R. Il nostro giro d’affari si basa per l’85 per cento sull’export. In particolare il nostro fatturato deriva per il 48-50 per cento dalle vendite negli Stati Uniti, per il 10 per cento quelle realizzate in Italia e per il resto dall’Europa. Esportiamo maggiormente nei Paesi in cui hanno sede le nostre società. In Europa, soprattutto in Spagna e in Francia, Paesi nei quali è molto sviluppata la caccia e tra la popolazione sono molto diffusi i cacciatori; ma da qualche tempo questo avviene anche in Portogallo. L’attività venatoria è molto legata alla storia; in Europa la caccia costituisce un’antica tradizione, mentre negli Stati Uniti questa è assente ma dai tempi del Far West c’è sempre stata una grande passione per la caccia, quindi il numero di cacciatori è elevatissimo.

D. Che cosa occorre oggi in Italia per possedere un’arma?
R. Per le armi di difesa personale occorrono permessi delle Questure. È un settore molto controllato. Per ottenere la licenza di caccia bisogna superare un esame, però si possono comprare liberamente i prodotti per la caccia. Abbiamo una divisione specializzata per gli sport. Il tiro al piattello è inserito nelle discipline olimpiche e ci dà molte soddisfazioni: abbiamo vinto numerose medaglie d’oro, d’argento e di bronzo in varie Olimpiadi e Campionati del Mondo, anche con atleti non italiani. I fucili da competizione Beretta hanno vinto più gare internazionali di qualsiasi altro fucile. La produzione sportiva rappresenta in media il 90 per cento del totale e di essa oltre il 75 per cento viene esportata in un centinaio di Paesi. La divisione Beretta Sport si occupa anche di abbigliamento, accessori, oggettistica per la caccia, il tiro a volo e il tempo libero; nel 1995 abbiamo inaugurato, a New York, la prima Beretta Gallery, seguita poi da quelle di Dallas, Buenos Aires, Parigi e Milano. Questi prodotti sono presenti oggi, oltre che nelle più importanti armerie d’Europa e d’America, in 46 «shop in shop» specializzati e oltre 900 punti di vendita dotati di corners e isole espositive riservate ad essi. Nel programma di ampliamento che contiamo di realizzare nel prossimo futuro figura anche l’apertura di un nuovo negozio a Londra.

D. In quali città siete presenti in Italia con questi prodotti?
R. Abbiamo puntato su Milano perché riteniamo che possieda una maggiore propensione alla spesa. A Roma non abbiamo negozi perché è un mercato incerto: molti appartenenti a eccellenti famiglie romane praticano la caccia, ma in generale la propensione agli acquisti è limitata, quindi per il momento abbiamo deciso di non insistere in questa città. In passato a Roma abbiamo allestito «shop in shop» in una strada prossima a Via del Babuino, esponendo i nostri prodotti nella vetrina di un negozio di abbigliamento.

D. Per chi sono accessibili economicamente i vostri prodotti?
R. Operiamo in un settore in cui il cliente può cominciare a comprare i nostri prodotti quando non ha grandi disponibilità, per avvicinarsi successivamente a quelli più costosi, arrivando a spendere 60-70 mila euro per un fucile da caccia. Proponiamo ai clienti un certo numero di prodotti che possono anche essere personalizzati. Per le incisioni sui fucili, abbiamo un reparto che le realizza a mano seguendo una nostra tradizione; finanziamo anche una scuola di incisori, per essere sicuri delle reali competenze di chi lavora per noi. Ma questo riguarda i fucili molto costosi, dedicati a una clientela internazionale che possiede elevate possibilità di spesa. Abbiamo avuto acquirenti che ci hanno chiesto di incidere sul loro fucile l’immagine del loro cane, altri quella della loro casa, altri ancora di qualche amica. Eseguiamo queste rifiniture solo su ordinazione. Ogni anno vengono incisi un centinaio di pezzi, mentre la produzione standard è enorme, nel 2004 abbiamo realizzato un fatturato di 380 milioni di euro e quest’anno prevediamo il mantenimento di quella posizione e forse una leggera crescita.

D. Quali sono i prodotti più richiesti in questo momento?
R. Negli ultimi anni si è assistito a una crescita soprattutto nel settore dell’abbigliamento e delle armi sportive. Questa tendenza è rafforzata dalla politica che noi seguiamo e che consiste nel presentare prodotti sempre nuovi, continuamente aggiornati, realizzati con le tecnologie più moderne esistenti sul mercato e di qualità massima: è la formula vincente per diventare via via più forti. Il nostro obiettivo non è quello di speculare ma di garantire uno sviluppo equilibrato nel medio e nel lungo termine, con investimenti nella qualità e nelle tecnologie.

D. Quali Forze di Polizia servite?
R. Abbiamo una divisione apposita, specializzata nei prodotti destinati alle forze incaricate del mantenimento dell’ordine pubblico. Abbiamo servito anche l’esercito americano e continuiamo a farlo; dipende dalle gare di appalto che in questo momento non ci sono, ma si indiranno nei prossimi mesi. Nelle gare vinte in passato abbiamo battuto le aziende americane, che non riescono ad emergere, mentre alcune aziende tedesche sono molto forti. Legato alle commesse è il volume della nostra produzione, che quindi oscilla secondo gli anni. Le nostre società operative destinano un consistente budget alla ricerca e all’aggiornamento tecnologico perché siamo convinti che questo sforzo determina lo sviluppo dell’azienda. Oltre alle Forze Armate e alla Polizia Italiana e di innumerevoli Paesi, hanno in dotazione le nostre pistole Beretta 92 le Forze Armate e la Polizia americane, la Gendarmerie Nationale e l’Armée de l’Air francesi, la Guardia Civil spagnola, la Polizia nazionale turca.

D. Qual’è la società più importante del gruppo?
R. Fra tutte, è sicuramente la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta, che è il nostro «cuore», ha le maestranze più specializzate, famiglie che da tre o quattro generazioni lavorano per noi, con un attaccamento molto forte all’azienda. Ma questo non ci impedisce di guardare fuori, nel mondo, perché restare chiusi nella nostra valle o in Italia sarebbe pericoloso per il futuro.

D. C’è il rischio che qualche produzione venga trasferita in Paesi con costi molti più bassi?
R. Il nostro è un settore ad alta tecnologia per cui credo che la produzione possa rimanere e rimarrà in Italia. Per quanto riguarda in particolare la Beretta, se l’alta tecnologia ci consentirà quindi di produrre ancora in Italia, continueremo a farlo e ad esportare, perché siamo per quasi l’85 per cento esportatori. Quello che mi dispiacerà, se il Paese non dovesse invertire il senso di marcia, sarà vedere l’Italia andare verso un lento declino. La Beretta non si fermerà perché ha aziende dappertutto, però gli investimenti in Italia rallenteranno se questa situazione perdurerà perché le possibilità di svolgere attività industriale sono molto diminuite e molte aziende hanno dirottato gli investimenti altrove. Credo che quello che dico sia frutto di una considerazione abbastanza comune. In generale sono convinto che se la società, il mondo politico e quello economico di cui facciamo parte, non si sveglieranno presto con iniziative concrete e non si rimboccheranno le maniche, l’Italia continuerà ad impoverirsi, contrariamente ad altri Paesi che si arricchiranno e potranno sfruttare lo sviluppo dell’economia mondiale.

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