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AUTONOMIA DELLE CASSE
PROFESSIONALI:
UNA SCELTA
IRREVERSIBILE

di Maurizio De Tilla, presidente della Cassa Forense e dell'AdEPP

l tema dell’autonomia normativa, ma anche gestionale, contabile e organizzativa, degli Enti previdenziali privati dei professionisti, così come riconosciuta loro dal decreto legislativo 509 del 1994, torna periodicamente di attualità per qualche discutibile intervento politico o giudiziario che vorrebbe vedere applicate al mondo della previdenza privata norme pubblicistiche del tutto inconferenti e anacronistiche. Così, periodicamente, è stata sostenuta, in modo del tutto erroneo, l’applicabilità agli Enti professionali della normativa pubblicistica in tema di dismissioni e canoni calmierati, ovvero quella sulle gare pubbliche per l’appalto di servizi, per finire con l’insensata proposta, avanzata da qualche frangia sindacale, di «armonizzare» le aliquote contributive di tali Enti con quelle delle gestioni autonome dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
Tutte queste «divagazioni» sul tema, oltre a rappresentare il sintomo evidente di come la privatizzazione del 1994 sia stata mal digerita da certi ambienti politici del nostro Paese, sono anche indice di uno scarso approfondimento della materia sotto un profilo più squisitamente giuridico e costituzionale.

Sul punto occorre infatti precisare che, se ai sensi del secondo comma dell’art. 38 della Costituzione i lavoratori hanno diritto che siano previsti e assicurati mezzi adeguanti alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia attraverso organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato, è anche riconosciuta nello stesso articolo la libertà della previdenza e assistenza privata e, pur venendo lasciata allo Stato piena libertà di scegliere i modi, le forme e le strutture organizzative che ritiene più idonee e più efficienti allo scopo, tale scelta non deve contrastare con gli altri parametri costituzionali, tra cui l’adeguamento della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento - ultima parte dell’articolo 5 della Costituzione -, e la tutela delle formazioni sociali dove si svolge la personalità dei singoli: articolo 2 della Costituzione.

L’art. 38 della Costituzione, cioè, non esclude che la legge disciplini variamente gli ordinamenti che meglio si adeguino in concreto alla particolarità delle singole situazioni; e la garanzia posta dal secondo comma, ispirata a un fondamentale principio di solidarietà sociale, costituisce una direttiva di ordine generale (sentenza della Corte costituzionale del 16 gennaio 1975 n. 3). È del tutto legittimo, quindi, sotto il profilo costituzionale, il ricorso a sistemi previdenziali differenziati in quanto diverse sono le realtà professionali, e non è pensabile, se non con il consenso delle categorie interessate, l’introduzione di una solidarietà intercategoriale avulsa dall’identificazione della sottostante formazione sociale.

D’altra parte tutti i cittadini, secondo la loro capacità contributiva, partecipano al funzionamento della solidarietà generale dalla quale però non riceve alcun vantaggio, rimanendone completamente estraneo, il sistema previdenziale delle Casse private. Avendo nel 1994 il legislatore accertato, anche formalmente, l’inutilità dello stabile collegamento istituzionale di tali enti con l’organizzazione amministrativa pubblica, e quindi negato la natura di ente pubblico, la privatizzazione che ne è conseguita costituisce un passo da ritenersi irreversibile - come sostenuto brillantemente dal compianto prof. Vincenzo Caianello, già presidente emerito della Corte costituzionale, ostando a un eventuale ripensamento le garanzie costituzionali del riconoscimento delle formazioni sociali derivante dall’articolo 2 della Costituzione e della libertà dell’assistenza privata di cui all'articolo 38.
Dal quadro così tracciato emerge che la trasformazione da Enti pubblici in fondazioni e associazioni di diritto privato, pur riconoscendo la rilevanza pubblicistica dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti, si è articolata sul piano di una modifica in senso privatistico degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi.

Il permanere dell’obbligo contributivo, stabilito per legge, costituisce un corollario, appunto, dell’inalterato fine previdenziale. È da notare che tale obbligo, intercorrendo tra due soggetti privati, nonostante la fonte legislativa ha esclusiva natura privatistica. L’esclusione di un intervento a carico della solidarietà generale consegue alla stessa scelta di trasformare le Casse in enti privati, cioè nel loro ambito naturale, e alla premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario (sentenza della Corte costituzionale del 18 luglio 1997 n. 248).

Conseguenza diretta della privatizzazione è l’autonomia statutaria, gestionale, organizzativa e contabile degli Enti. In altre parole, l’autonomia degli Enti previdenziali privatizzati non deriva tanto dal riconoscimento fattone nel primo comma dell’art. 2 del decreto legislativo 30 giugno 1994 n. 509, ma dal fatto stesso della loro natura privata, non potendo esistere un ente privato sfornito di autonomia, e le norme che a tale autonomia fanno cenno in realtà non fanno altro che fissare i limiti apposti a quest’ultima, legittimi solo in quanto funzionali a una migliore realizzazione delle finalità della rilevanza pubbliche da essi perseguite.

È ancor più significativo che la garanzia di «autonomia» nei confronti dei pubblici poteri, fornita dal citato decreto legislativo 509 del 1994, sia piena, tanto da essere estesa non solo alla sfera gestionale e contabile, ma anche specificamente a quella organizzativa; si tratta, peraltro, del completamento e della consacrazione di un disegno legislativo nel suo complesso chiarissimo, in quanto comprendente il divieto di finanziamenti pubblici, diretti o indiretti, da parte dello Stato; l’assenza di qualunque potere da parte di quest’ultimo di nominare gli organi di vertice delle Casse professionali, il presidio dell’autosufficienza finanziaria di queste ultime sia attraverso l’obbligo ex lege ha imposto loro di raggiungere il pareggio di bilancio (art.2 comma 2 del decreto legislativo 509), sia attraverso il mantenimento della garanzia rappresentata dal carattere obbligatorio dei contributi a carico degli iscritti.

Alla luce di tale quadro complessivo va interpretato il potere di «approvazione» ministeriale degli atti fondamentali degli Enti privati, di cui all’articolo 3 del decreto stesso, che non attiene tanto a una conformazione nel merito quanto a una verifica di legittimità. È lo stesso decreto legislativo, infatti, a contrapporre «Gestione», riservata all’autonomia degli Enti, e «Vigilanza», attribuita al Ministero, con ciò lasciando chiaramente intendere che il Ministero non si vede attribuito alcun potere di etero-determinazione nel merito delle scelte gestionali degli Enti, ma solo un potere di «custodia della legalità» che è espresso dal riferimento al concetto dogmatico di «vigilanza», quale verifica di mera legittimità dei principali atti adottati dall’Ente vigilato, senza alcuna violazione o compressione dell’autonomia decisionale di quest’ultimo.

Con una formula forse eccessivamente semplificata ma efficace, potrebbe dirsi che il Ministero, richiamando una Cassa al rispetto delle norme che la disciplinano, può dire a quest’ultima solo ciò che essa non può fare, non già imporre alla Cassa medesima di assumere una scelta gestionale o organizzativa piuttosto che un’altra, ove entrambe le scelte siano legittime alla stregua della normativa di riferimento. L’excursus normativo, dottrinario e giurisprudenziale compiuto porta a concludere in modo inequivocabile circa l’erroneità e la strumentalità di comportamenti e proposte che tendono a negare agli Enti previdenziali privati il diritto all’esercizio di elementari atti di autonomia normativa e gestionale, sulla scorta di argomentazioni di scarsa coerenza giuridica o di miopia politico-istituzionale. Le Casse professionali aderenti all’AdEPP, in ogni caso, sono pronte a presidiare il quadro giuridico di riferimento, contro ogni possibile attacco esterno, a salvaguardia degli interessi previdenziali dei professionisti italiani.

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