ECONOMIA
E' UN'ITALIA SENZA IDEE?
SI MA C'E' RIMEDIO
di
Claudio F. Fava
Claudio
Fava, vicepresidente del CFA Group (a destra), con il prof. Jeremy Rifkin,
presidente della Foundation on Economic Trends (a sinistra)
|
|
giornali
economici parlano in questi mesi di Alitalia, General Motors versus Fiat
e Cassa Depositi e Prestiti, perché fanno giustamente notizia.
Ma quali sono i vari nodi nel Paese che impediscono lo sviluppo delle
attività produttive? Le idee, la freschezza nelle innovazioni dell’apparato
governativo e delle Associazioni che sono preposte a dare fiducia al mercato,
facendo rapidi cambi di rotta quando serve. Di questi tempi in cui il
terrorismo ha creato, insieme alla psicosi dell’ecoambiente in lenta
e graduale contaminazione, un pessimismo latente che rende svogliato il
mercato dei consumatori ma anche degli investitori, non c’è
bisogno di proclami politici, ma di fatti.
Non sappiamo mai quando finiscono le campagne elettorali e le promesse
dei candidati, tra regionali, amministrative e politiche: si parla più
di quanto si faccia. Mentre ciò che occorre è dare fiducia
ai nostri giovani imprenditori, con professionisti che si prendono il
rischio di indirizzare lo sviluppo strategico dell’industria italiana
in un’Europa con 100 milioni di lavoratori in più a basso
costo. Veniamo quindi a commentare la manovra della Finanziaria.
Mentre gli Usa crescono del 4 per cento all’anno e l’Asia,
in particolare la Cina, cresce dell’8, l’Europa langue in
una media del 2 per cento. Al primo soffio di vento - e in questi tempi
di deterrente per i consumi e per gli investimenti ce n’è
la palpabilità -, si riparte verso una spirale di ciclo negativo
che in Europa non ha riserve da consumare: è per ora un continente
marginale. In termini economici, che poi l’Italia abbia più
o meno l’uno per cento rispetto all’Eurozone non cambia il
parere sull’economia del nostro Paese: siamo i più fragili
tra i deboli e non certo per colpa di questo o quel Governo, ma del nostro
costume politico e industriale insieme.
Quante sono le holding italiane che investono nel mondo? Quante sono le
società bancarie italiane presenti nel mondo a pari livello di
colossi occidentali? Quante sono le società di distribuzione italiane
nel mondo? E, soprattutto, quanto valgono tutte queste rispetto a quelle
inglesi, francesi, tedesche, americane e giapponesi? È la storia
della perversa alleanza tra potere politico e imprenditoriale del nostro
recente passato. Alla competizione internazionale hanno preferito tutti
il mercato di casa, con più o meno azioni di accattivante aggiustamento:
assunzioni pubbliche, rapporto industria-sindacato, discriminazione verso
le professioni, verso le piccole aziende, verso la politica della ricerca
nell’università. Una volta crollato il rapporto di forza
tra la grande industria e il mercato del lavoro e una volta scoperto che
i parametri fissati da Maastricht non fanno fallire ma non creano sviluppo,
i nodi stanno venendo a galla.
E ora tocca alla Casa delle Libertà togliere le castagne dal fuoco
con particolare attenzione per due argomenti fondamentali. Il primo: il
passaggio del rilancio attraverso la ricerca. Il secondo: l’occupazione
che tende sempre più verso le piccole aziende anziché le
grandi. Ergo: come convive la ricerca senza la forza di negoziazione,
di contrattazione, di imposizione che hanno sempre avuto le grandi aziende
verso gli erogatori di fondi per l’innovazione? In un esempio possiamo
dire: 40 cani da slitta possono trainare lo stesso carico di un cavallo
da tiro, dove il carico è la ricerca scientifica, l’ammodernamento
dei processi di produzione e l’innovazione dei servizi per il progresso.
E qui cominciano le risposte: la Confindustria che ha riaperto un dialogo
costruttivo e competente non può essere soltanto una controparte
sociale ma il centrocampista di un’attività culturale di
crescita degli imprenditori; il sindacato deve far parte del processo
di sviluppo con l’allargamento degli orizzonti all’interno
del mondo del lavoro, del quale si sente parlare sempre meno, puntando
sulla crescita della professionalità del lavoratore italiano che
è il corrispondente dell’investimento in ricerca e innovazione
da parte dell’impresa. Inoltre, supererebbe se stesso se diventasse
protagonista di una proposta equilibrata per il lancio dei fondi pensione,
con l’utilizzo virtuoso del trattamento di fine rapporto proprio
nell’interesse del futuro delle categorie dei lavoratori di oggi.
Le piccole aziende devono consorziarsi assolutamente per entrare in rete
e competere grazie alla globalizzazione nel contesto internazionale, ma
soprattutto devono stringere alleanze mirate per la ricerca, l’innovazione
tecnologica e l’espansione all’estero del know-how e del made
in Italy. Il Mezzogiorno non è ancora stato del tutto inquinato
dall’incauto sviluppo industriale degli ultimi cinquant’anni.
È possibile integrare questa risorsa nel sistema Paese come ha
fatto l’Irlanda? Quante aziende possono nascere, nel rispetto dell’ambiente,
con l’obiettivo di produrre qualità e servizi sempre più
apprezzati dai cittadini d’Europa e del mondo?
Ma per fare ciò occorre un coordinamento. Non sarebbe sbagliato
riproporre un Ministero ad hoc con delega di coordinamento tra Unione
europea e Regioni, con il compito di promuovere lo sviluppo del Meridione
che è significativamente diverso da quello dell’Europa in
generale. Dulcis in fundo, è d’uopo avere delle attese, sulla
base della situazione economica attuale, per quanto riguarda la riforma
fiscale promossa dal Governo e inserita nel prossimo Documento di programmazione
economica e finanziaria.
Una volta stabilito ciò che occorre per rendere possibili gli obiettivi
di cui sopra, riteniamo che le uniche tasse deducibili per le famiglie,
sono quelle calcolate sui redditi fino a 30 mila euro, e per le imprese
quelle che tengono conto dei «bonus» per la ricerca e per
l’innovazione. Chi investe in ricerca per un importo superiore al
50 per cento dell’utile di bilancio, al netto dei soli ammortamenti,
avrà il 25 per cento di imposte societarie in meno, e quindi darà
un doppio vantaggio ai soci: meno tasse, più valore delle quote
possedute.
|