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FRANCO BARDELLI. I MIRACOLI TECNOLOGICI DELLE PICCOLE IMPRESE

a cura di Luigi Locatelli

L’ing. Franco Bardelli, presidente della I.D.S.
Ingegneria dei Sistemi

lla fine degli anni 70 il non più giovane Larry Ellison, «testardo e cocciuto più di un mulo» secondo i suoi amici, creò in un sottoscala di San Francisco, con 1.200 dollari di budget e due collaboratori, la Oracle, oggi secondo produttore mondiale di software, valutata più di 40 miliardi di dollari. Nello sgabuzzino della casa paterna di Cupertino, in California, nel 1975 Steve Jobs ancora studente cominciò ad assemblare in un contenitore di legno il primo microcomputer della storia dell’informatica fatto con pezzi di recupero. I primi apparecchi, una ventina, col marchio Apple li vendette in pochi giorni al drugstore. Bill Gates ha cominciato la propria avventura nel mondo del software dal nulla, in un garage di Seattle, dove passava i pomeriggi con un compagno di scuola, Paul Allen, a smontare e rimontare i primi computer-calcolatori che potevano rimediare. Snobbati e presi in giro perché non facevano sport e non flirtavano con le ragazzine, infatuati dall’informatica, Bill e Paul a 16 anni fondarono una società per monitorare il traffico della città. Il primo appalto gli fruttò 100 mila dollari e due anni di sospensione dall’Università per gli esami perduti. In poco tempo, a soli 31 anni, Bill Gates aveva accumulato il primo miliardo di dollari. Nel 1975 fondò la Microsoft per lo sfruttamento di un’elaborazione del linguaggio Basic; oggi con 45 miliardi di dollari è il più ricco del mondo. Sono solo alcuni dei protagonisti dell’era dell’informatica, delle nuove tecnologie: studenti che spesso, come Gates, non hanno portato a termine gli studi per dedicarsi alla ricerca, senza un’azienda, un capitale, stipendi alle spalle, ricchi soprattutto di coraggio, creatività, spirito di iniziativa. E di tenacia. Per lo più ragazzi che hanno avviato inconsapevolmente una moderna forma di competizione tra imprese e fra economie, basata su una reale capacità di innovazione, offrendo prodotti sempre più avanzati sul piano tecnologico, affidabili, economici, rispondenti alle richieste dei consumatori.
Vicino agli 80 anni, alto, asciutto, spirito acuto e arguto, toscano di Pisa casualmente nato ad Alessandria, l’ingegnere Franco Bardelli conserva quella voglia di creare innovazione, di ricercare soluzioni sempre più avanzate che ha spinto anche Michael Dell a inventare nei fatti, poco più che adolescente l’e-commerce vendendo ai compagni computer montati in camera da letto con pezzi acquistati all’ingrosso. O di Gordon Moore, oggi ultrasettantenne, che ha trasformato la Valle di Santa Clara in California nella odierna Silicon Valley: «Il numero dei transistor in un microchips e la sua potenza di calcolo devono raddoppiare in 18 mesi», era la sua frase più frequente, denominata con rispettosa ironia la Legge di Moore. I suoi microprocessori sono passati dai 2.300 transistor del 1965 ai 400 milioni dell’Itanium, l’ultimo nato nei laboratori sterili della Intel, un colosso valutato oggi 160 miliardi di dollari.
Con l’ingegnere Bardelli non è il caso di tentare una valutazione in dollari o euro della sua IDS, Ingegneria dei Sistemi, dedicata a prodotti di alta tecnologia: «Non ho nessun interesse ai soldi, voglio solo le cose fatte bene–dice subito–. E si possono fare cose buone anche nel piccolo, non necessariamente in una grande azienda». La IDS ha 130 dipendenti, per la maggior parte laureati in Ingegneria o in Fisica, e 16 consulenti. Casa madre e laboratori sono a Pisa, il marketing e altri uffici operativi a Roma, in un appartamento in un palazzo di Via Flaminia, con alle pareti tracce dei progetti in corso: formule collegate da frecce, lettere, numeri, frutto e sintesi delle discussioni dei gruppi di lavoro.
Per il suo attaccamento all’innovazione, alla ricerca, alla tecnologia sempre più ricca, con la mente proiettata in avanti, non è eccessivo accostarlo ai protagonisti dell’Information Technology, agli ormai leggendari creatori della new economy: è soltanto meno noto. Anche la sua storia è cominciata in una cantina, a Roma, vicino Piazza del Popolo. In un cinquantennio di attività ha raccolto, all’uscita dall’università, gruppi di giovani ingegneri, li ha allevati al rigore della ricerca e sviluppo, ha creato e prodotto radar, missili, satelliti, software per navi, aerei, aeronavigazione, venduti in tutto il mondo.
È significativo ascoltarlo in un’epoca in cui da una rilevazione a quiz svolta tra un milione e mezzo di studenti di 9.060 istituti medi e superiori per verificare il grado di preparazione in Italiano, Matematica e materie scientifiche, emergono risultati sotto la sufficienza e un particolare scadimento della preparazione in Matematica. Dopo la laurea in Ingegneria industriale all’Università di Pisa nel 1948, all’Accademia Navale di Livorno Bardelli si avvicina alla tecnologia dei radar; nel 1951 contribuisce alla nascita della Microlambda, poi nel 1956 della Sindel, nel 1960 della Selenia, infine nel 1980 della piccola ma importante IDS che, trascurata per la nomina a presidente della Galileo, rilancia con una nuova visione di azienda con mentalità industriale impegnata nei processi di progettazione assistita da strumenti di simulazione con calcolatore. Questi strumenti dovevano basarsi sul dominio metodologico di quei fenomeni fisici che risultavano il fattore chiave nella sistemistica e nella progettazione, e che in ultima analisi determinavano la competitività dei prodotti.
«Ho sempre conservato il piacere della tecnica come motivazione del lavoro, prima degli affari. Uno dei problemi fondamentali dell’Italia è la mancanza di una struttura intermedia tra i grandi enti - Difesa, Enac ecc. -, che utilizzano tecnologia e sistemistica, e la grande industria che le sviluppa e produce. Manca quel substrato di iniziative di alta tecnologia e di sistemistica, di ricerca e innovazione che fa progredire la tecnologia prima di diventare industria», afferma. E spiega che negli Usa la quantità di persone che lavorano spesso solo in ufficietti, che hanno le idee, che progettano, che individuano problemi ed elaborano soluzioni, è superiore a quella delle grandi aziende manifatturiere.
Il sistema di trasmissione GPS, esemplifica, non è nato nella grande industria, ma da un gruppo di ingegneri e scienziati, da una delle tante società di ingegneria nate in funzione dei problemi che intravedevano, ricche della capacità di intuire e individuare le soluzioni, senza il peso della produzione, del rapporto con i fornitori, i clienti, il mercato; da menti che potevano spaziare, ideare, sperimentare, proporre. «Il cliente tiene particolarmente alla loro ricerca, perché gli da la possibilità di scegliere tra soluzioni diverse; bisogna convincersi che si diventa bravi solo quando si è costretti a fare scelte attraverso valutazioni fra alternative di progetto. Se manca questa possibilità, il cliente rischia di non divenire ‘esigente’ quanto serve in un mondo globale e competitivo», afferma.
Precisa che in Italia questa fascia intermedia non c’è, perché la rivoluzione nell’industria non l’hanno fatta gli ingegneri né gli scienziati, ma gli operai usciti dalla fabbrica, che si sono messi in proprio creando una grande quantità di piccole aziende in cantine, capannoni, piccole officine con la loro capacità, la loro esperienza pratica, la voglia di fare e di impegnarsi. «È stato un fenomeno interessante, però non ha suscitato quella fascia intermedia capace di innovare i processi con competenza teorica e creatività pratica. L’informatica ha contribuito negli ultimi decenni a creare efficienza nelle grandi infrastrutture (banche, assicurazioni, aziende ecc.), ma molto poco nell’innovazione nella fisica dei problemi».
Al di là delle polemiche sulla riforma dell’università, dei rapporti tra studio, ricerca e impresa motivati da presupposti ideologici e di schieramento, dei contrasti tra chi vuole tutti nello stesso livello basso ma generalizzato, e chi tenta di far emergere i migliori, in Italia questa fascia intermedia non si è sviluppata sostanzialmente per due ragioni. Spiega l’ing. Bardelli: «Perché è stata superata dalle rivoluzioni degli operai che hanno creato aziende, laboratori, con una grande capacità di entrare nel mercato, anche se deboli teoricamente; ma soprattutto perché c’erano pochi laureati disposti a queste iniziative di ricerca. Il freno per noi non è stata la mancanza di capitali perché sono attività che non richiedono grandi investimenti, non bisogna costruire impianti; bastano un locale neppure molto grande, dei computer, una forte motivazione e idee».
La sua azienda, ad esempio, impiega 130 unità, la maggior parte a Pisa, ma non ha avuto bisogno di grandi macchinari e di ingenti capitali. «In Italia i laureati, quando entrano in una grande industria, non rimangono a lungo nel campo tecnico. Cercano posti di responsabilità organizzativa, economica e di marketing. La dimensione e le possibilità che la grande industria offre non sono il campo migliore per la creatività tecnologica e sistemistica. Negli Stati Uniti i laureati sono tanti, hanno spirito imprenditoriale, prendono iniziative, si crea un giro di idee, di proposte e di studi che coinvolgono aziende grandi e piccole, centri di ricerca, clienti».
Ai laureati che si è messo accanto, ai giovani ingegneri, Bardelli ha saputo infondere entusiasmo, pazienza, obiettivi complessi e attraenti. Mancano personaggi come lui perché si sviluppi anche in Italia una zona intermedia di scienziati e di tecnici dediti all’innovazione. La stima e il rispetto che nutrono per lui i suoi collaboratori è emerso alcune settimane fa, alla fine di un convivio di gruppo in cui c’erano tutti, vecchi e nuovi. Un incontro registrato in una cassetta VHS. Chiamati per cognome come all’università - Grasso, Zalonis, Formato, Marcoz, in particolare Pierfrancesco Guarguaglini che ha esordito nella Selenia, poi nella Galileo e oggi è arrivato alla testa della Finmeccanica - , ciascuno ha ricordato il colloquio per l’assunzione, il primo giorno al lavoro.
«Ho sempre evitato queste riunioni–si schernisce Bardelli–; è vero però che stima e rispetto sono reciproci. Abbiamo avuto insieme la grande opportunità di creare dal nulla la prima azienda nel 1951, in una cantina di Via Ferdinando di Savoia, vicino Piazza del Popolo». In Italia, ricorda Bardelli, c’era il professor Carlo Calosi, che progettava siluri, E aveva messo a punto un acciarino magnetico particolarmente efficace. Una persona molto intelligente, con grandi capacità; finita la guerra, gli venne proposto di trasferirsi negli Stati Uniti per lavorare lì. Si fece molto apprezzare e riuscì a convincere la Raytheon, una delle più importanti nel settore delle tecnologie per gli armamenti, a interessarsi dell’Italia.
«L’avevo conosciuto appena laureato e lui mi chiamò perché voleva creare un gruppo di lavoro nel nostro Paese, appoggiandosi alla Finmeccanica, allora il gruppo base per questo settore. Calosi portò in Italia una consistente commessa per la produzione di 300 grandi radar. La Finmeccanica e la Raytheon crearono la Microlambda e lo misero a capo. Dalla cantina, più tardi, ci trasferimmo a Napoli in un vecchio stabilimento di siluri. Quando ricevemmo i disegni costruttivi dagli americani, capimmo l’enorme differenza tra la nostra piccola capacità e il loro modo di lavorare. Tutto era descritto e organizzato nei minuti dettagli a livello industriale. C’erano già tutte le norme costruttive per migliaia di componenti diversi, tutte rispondenti a criteri precisi. Una scuola di alto valore per noi, perché il radar comprende tante tecniche, dalle meccaniche alle antenne, alle microonde, ai trasmettitori, ai ricevitori».
Si tratta, infatti, di un apparato che ha bisogno di complesse tecnologie. Bardelli e il suo staff si immersero nel lavoro. All’inizio erano una decina di ingegneri, poi tanti. Concluso quel primo contratto, nacque qualche dissapore tra il professor Calosi, la Raytheon e l’amministratore delegato nominato dalla Finmeccanica. Calosi tornò negli Stati Uniti, e Bardelli capì che senza di lui la Finmeccanica non aveva possibilità di sviluppo. Così presentò le dimissioni, lasciò Napoli, creò una piccola società per operare in proprio, con Calosi come consulente, e propose alla Raytheon di proseguire i rapporti. Ma per avviare le produzioni occorrevano capitali.
«Mi rivolsi alla Edison che aveva il problema di come investire capitali in vista della nazionalizzazione dell’energia elettrica e insieme creammo la Sindel. Per prima cosa progettai un radar di puntamento moderno, avanzato, efficace, che proposi ai dirigenti della Contraves, produttrice di centrali di tiro. Mi chiesero di vederlo. Allora portai con me a Roma molti miei ingegneri e di nascosto, in un appartamento con cantina del quartiere Salario, in sei mesi fabbricammo il nuovo radar da montare sulle navi, con progetto e costruzione completamente nostri. La Marina italiana e la Contraves rimasero colpite dal risultato e lo adottarono. A quel punto la Edison costruì per noi uno stabilimento in Via Tiburtina a Roma. Erano gli ultimi anni 50, ci scambiavano continue lettere con Calosi che curava i contatti con la Raytheon, e mi comunicò che, se fossimo riusciti a ricreare una capacità operativa, sarebbe tornato in Italia».
Intanto era divenuto presidente della Microlambda, la società di radar rimasta nella Finmeccanica, Leone Mustacchi, il quale comprese il vantaggio di un accordo, che fu raggiunto nel 1960. Dalla Sindel e dalla Microlambda nacque la Selenia; tornato in Italia, Calosi ne divenne presidente, Mustacchi direttore generale, Bardelli direttore tecnico. Nel 1970 la società passò dalla Finmeccanica alla Stet, la finanziaria dell’Iri per le telecomunicazioni. Una soluzione positiva dal punto di vista finanziario, ma la Stet era interessata a sviluppare il proprio settore delle telecomunicazioni e desiderava che la Selenia se ne occupasse, creando anche uno stabilimento a Giuliano, in aggiunta a quelli della Tiburtina e del Lago del Fusaro, vicino a Napoli.
«Ma noi avevamo realizzato radar, missili, satelliti, settori e tecnologie molto diverse dagli apparati di comunicazione che, per di più, con la microelettronica si erano svuotati dal punto di vista tecnico e industriale, diventando più assemblaggio e costruzione. Uno stabilimento dell’Aquila con migliaia di operaie, era stato spazzato via da componenti di microelettronica fornite dall’estero. Non aveva senso entrare in un comparto non nostro e che stava cambiando profondamente». Alla Stet arrivò un nuovo presidente il quale avvertì che bisognava adeguarsi alle indicazioni dei politici; il nuovo amministratore delegato sostituì il direttore dello stabilimento di Fusaro perché, spiegò, così si voleva in altre parti. Bardelli osservò che fino ad allora le decisioni erano state prese all’interno con piena autonomia, e che a quelle condizioni non sapeva e voleva operare. Lasciò la Selenia, destinata a rientrare nella Finmeccanica, e creò la IDS.
«Un anno dopo, nel 1982–racconta–, mi chiamarono due amici che erano a capo della Oto Melara a La Spezia. Volevano comprare la Galileo, allora di proprietà della Bastogi, che si occupava principalmente di forniture militari ma stava per fallire. Accettai la presidenza della Galileo. Era una società complessa, con tante attività diverse messe insieme senza un criterio industriale; produceva ottica, sensori infrarossi, centrali di tiro, strumentazione ottica, pompe a vuoto altissimo, impianti. Chiamai l’ingegner Guarguaglini e l’ingegnere Marina Grossi, molto brava, che si occupava di controlli di gestione e ora è direttore generale della MBDA, che si occupa di missili. Insieme cercammo di trasformarla razionalizzando la produzione e la presenza nei mercati; sviluppammo prodotti e sensori termici per assicurare la piena visibilità notturna dei campi di battaglia nelle azioni militari. Con i nostri ingegneri riuscimmo a creare una grande capacità nel campo degli apparati optronici».
Dopo dieci anni la Galileo fu colpita dalla liquidazione dell’Efim, la finanziaria pubblica cui essa faceva capo, decisa dall’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato. «Mi ha fatto piacere sentirgli dire una volta, in un’intervista, che il più grande errore della sua vita era stato l’aver consentito il fallimento dell’Efim. Perdemmo improvvisamente credito in tutto il mondo. Ci bloccarono i contratti. Affermando che le nostre imprese erano fallite, i concorrenti stranieri immediatamente occuparono gli spazi che ci eravamo conquistati». A quel punto Guarguaglini ed altri ingegneri tornarono alla Finmeccanica, Bardelli riprese ad occuparsi a tempo pieno, invece che solo il sabato e la domenica, della IDS, con nuove attività specifiche come la tecnologia elettromagnetica, essenziale in tanti settori.
«Una nave da guerra, per esempio, impiega tutte le frequenze per le comunicazioni, i radar, la guerra elettronica, quella subacquea, la parte missilistica, con campi elettromagnetici che interferiscono tra loro, si disturbano, si riflettono. Fenomeni che vanno studiati e dominati. Ci siamo dedicati a questa complessa tecnologia usando le nuove metodologie del calcolo numerico in modo innovativo e veloce. Per esempio, quando una nave da guerra trasmette a grande distanza in HF, le lunghezze d’onda sono tali che la nave intera contribuisce con l’antenna di bordo alla irradiazione dei segnali, e pertanto basta che sia costruita in un modo o in un altro per ottenere prestazioni di trasmissione diverse».
L’ingegner Bardelli creò un laboratorio con 50 ingegneri dedicati allo studio di questi problemi elettromagnetici per applicare i risultati a navi, aerei, aeroporti, svolgendo ricerche e coprendo settori di grande impatto sistemistico. «Individuati i problemi, abbiamo cercato le soluzioni creando un software che, riproducendo al computer i disegni costruttivi tridimensionali, le forme, i materiali, le funzioni della nave o dell’aereo, del satellite o degli aeroporti, simula i fenomeni elettromagnetici verificando funzionalità, distorsioni, interferenze nella trasmissione di segnali da tutti gli apparati. Il software, ora diventato uno strumento di lavoro per i progettisti e per i cantieri, ha modificato il processo di costruzione di navi, aerei, aeroporti. Prima si costruiva la nave, si montavano tutti gli apparati e si verificavano i funzionamenti; ora si sperimenta tutto al computer prima di avviare la costruzione, intervenendo se occorre nel progetto, con un grande risparmio di tempo e di costi. Molti Paesi sono interessati a questo software che evita di costruire una nave e scoprire dopo che, per le interferenze, i suoi apparati non funzionano, per cui occorrre o modificare o ridurne l’impiego».
L’Inghilterra ha indetto una gara internazionale per la fornitura di uno strumento simile, che è stata vinta dalla IDS. Bardelli ha costituito una società a Southampton per fornire assistenza ai cantieri inglesi. La British Aerospace, le Marine indiana e turca hanno adottato il sistema. L’hanno voluto anche la Francia e l’Italia, che insieme stanno costruendo navi militari. Lo scorso settembre l’IDS l’ha venduto agli Stati Uniti. Questa esperienza è stata trasferita nel campo dell’aeronavigazione con la realizzazione di un prodotto software per la progettazione di procedure strumentali di volo e di verifica da un punto di vista elettromagnetico. Oggi è divenuto uno strumento essenziale per le strutture come l’Enav, e come tale è stato introdotto in oltre venti Paesi.
«Non siamo più bravi di una università americana, però abbiamo creato un sistema altamente specializzato che permette di analizzare tutti i fenomeni elettromagnetici. È utilizzato anche per risolvere il problema della ‘stealthness’ delle navi e degli aerei. Una nave è troppo grande per essere invisibile come un aereo; la capacità di ridurre l’identificabilità della nave da parte dei radar sarà la nostra nuova specializzazione», annuncia l’ing. Bardelli.
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