back


VINCENZO MICELI: LA PREVIDENZA DEI CONSULENTI DEL LAVORO

Vincenzo Miceli
presidente dell’Ente di previdenza
e assistenza per i consulenti
del lavoro

nico istituto di previdenza privato in Italia ad aver ottenuto il certificato di qualità in base alle nuove norme Vision 2000, l’Enpacl, Ente di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro, ha registrato negli ultimi anni una media di circa 19 mila iscritti; quest’anno sono balzati a 21 mila e secondo il presidente Vincenzo Miceli, il numero è destinato ad aumentare. Motivi? La crescente esigenza delle imprese, soprattutto piccole e medie, di un esperto del settore; la riforma del mercato del lavoro con i nuovi tipi di rapporti lavorativi istituiti dalla legge Biagi; la regolarizzazione di posizioni «sommerse» ecc. Il risultato è un prevedibile gettito di contributi previdenziali per oltre 75 milioni e mezzo di euro e un ricavo totale di oltre 85 e mezzo, rispetto ai 39 milioni erogati in pensioni e assistenza. Nel 2003 l’Ente registrò un avanzo di circa 32 milioni e mezzo di euro. Un bilancio solido, nel quale le spese di funzionamento sono quasi interamente coperte non dai contributi degli iscritti ma dai proventi del patrimonio. Come è giunto l’Enpacl a questi soddisfacenti risultati? Potrà mantenerli e per quanto tempo, con l’avvento della riforma pensionistica? Illustra attività, risultati e prospettive di questo Ente che ha il compito di gestire le pensioni di una categoria di professionisti relativamente giovane e nuova il suo presidente Miceli. Nato a Valderice in provincia di Trapani, Miceli è stato in passato amministratore comunale nella propria città, quindi deputato del Parlamento nella VI e VII legislatura. Ha rivestito incarichi vari nella categoria dei consulenti del lavoro. Dal 1999 presiede l’Enpacl.
Domanda. Può fare un bilancio dell’attività dell’Ente da lei presieduto?
Risposta. Nel corso della mia presidenza ho presentato un macroprogetto e un microprogetto, il primo valevole fino al 2007, il secondo da aggiornare di anno in anno in rapporto al programma via via da svolgere. Buona parte delle iniziative sono state già realizzate, anche con grande soddisfazione. Abbiamo varato importanti modifiche allo statuto e al regolamento di attuazione in linea con il nuovo regime cui siamo sottoposti in quanto Enti privati con finalità pubblica; i Ministeri competenti le hanno approvate, per cui sono già vigenti.
D. Quale finalità persegue, in particolare, il suo Ente?
R. Essa consiste soprattutto nella gestione, più sicura possibile e per il più lungo tempo possibile, del sistema previdenziale della categoria che registrerà uno sfasamento dei trattamenti plasticamente definito «gobba previdenziale»; ma se continueremo ad amministrare il nostro Ente con i criteri del «pater familiae», avremo una situazione soddisfacente che sposterà la nostra «gobba» ad oltre il 2030. A questo punto per evitarla basterà adottare via via piccoli accorgimenti resi possibili proprio dalle nuove norme che ci siamo dati e dalla deregulation, che ci esime dal sottoporre a legge dello Stato le modifiche che vogliamo introdurre.
D. Quali criteri avete adottato per gestire questa fase di trasformazione del sistema previdenziale?
R. Non si può pensare egoisticamente solo a chi ha i capelli bianchi, ma occorre una politica rivolta al futuro, che dia la certezza anche ai giovani. Un sistema che applichiamo con coraggio, e che finora ci ha dato soddisfacenti risultati, consiste nell’attuare un controllo annuale della situazione previdenziale in modo che, appena si verifichi non dico un allarme, ma anche una semplice ipotesi di riduzione delle risorse finanziarie, si intervenga subito con la richiesta agli iscritti di un contributo aggiuntivo minimo e, senza creare difficoltà alla categoria, siamo in grado di ristabilire migliori prospettive per il futuro.
D. Come aiutate i giovani?
R. In vari modi. Ultimamente abbiamo approvato una disposizione per agevolare quanti cominciano la professione e debbono affrontare consistenti spese per aprire uno studio e per versare all’Ente i primi contributi previdenziali. Abbiamo congegnato un particolare sistema di dilazioni di pagamento. Non possiamo certamente esimerli dal pagamento dei contributi, e questo non per aumentare oggi le entrate dell’Ente ma per non intaccare il loro diritto alla pensione e non creargli problemi quando, fra una trentina di anni, cominceranno a percepirla. Li aiutiamo, invece, concedendo agevolazioni garantite dal nostro Ente. Agevolazioni consistenti, per esempio, in finanziamenti bancari a bassissimo tasso di interesse, che consentono ai giovani di aprire lo studio, affrontare le prime spese di impianto che non sono indifferenti, perché oggi senza un apparato tecnologico di base non si può lavorare, e dotarsene costituisce un problema per chi comincia.
D. E per la categoria in generale?
R. Un filone che abbiamo privilegiato fino ad oggi è quello relativo allo stato di salute degli iscritti, ai quali cerchiamo di garantire il reddito nei casi in cui dovessero trovarsi in una situazione fisica precaria. A tal fine abbiamo stipulato, a spese dell’Ente e quindi a carico del nostro bilancio, senza alcun aumento dei contributi, una polizza assicurativa valida a tutti gli effetti per i grandi eventi, dal momento che le prestazioni ordinarie a difesa della salute sono a carico del Servizio sanitario pubblico. La polizza riguarda i casi di gravi malattie e di grandi interventi. In casi del genere il professionista viene a trovarsi in difficoltà non solo per il mancato guadagno, ma anche perché deve affrontare ugualmente le spese per il mantenimento dello studio. Possiamo affermare con orgoglio che la nostra azione si ispira ai principi della vera solidarietà. E per questo riceviamo lettere di consenso e di plauso da parte degli iscritti.
D. Sul piano più propriamente previdenziale quali iniziative avete adottato per favorire gli iscritti?
R. Diamo loro la possibilità di riscattare, ai fini contributivi e quindi pensionistici, i periodi in cui, pur essendo ugualmente impegnati ai fini della futura professione, non hanno avuto un rapporto previdenziale e quindi non hanno effettuato i relativi versamenti; in particolare il tempo trascorso nel servizio militare, all’università, nel praticantato. Questa nostra iniziativa sta riscuotendo un notevole successo. Abbiamo potuto realizzarla perché la situazione finanziaria dell’Ente è soddisfacente, non andiamo ad intaccare le riserve matematiche prescritte dalla legge. Calcoliamo in qualche caso il contributo annuo da versare non riferendolo al tempo trascorso, ma all’importo che si verserebbe oggi. Non possiamo prevedere se questo metodo in futuro potrà creare qualche problema per cui dovrà essere rivisto; in campo previdenziale non si può prevedere nulla, perché su di esso influiscono fattori endogeni ed esogeni; se aumenta l’età media cresce ovviamente il monte-pensioni, se scoppia una guerra o un’epidemia, esso diminuisce.
D. Almeno sull’aumento dell’età media le previsioni sono attendibili?
R. Recentemente abbiamo partecipato a un dibattito nel corso del quale uno studioso di problemi demografici ha affermato che chi nasce in questo secolo, escludendo epidemie e guerre, avrà una grande probabilità di vivere cent’anni; se questo si verificherà, un sistema previdenziale modellato su altri calcoli è destinato a saltare. È un settore, quindi, in cui le verità sono relative; noi le apprendiamo solo compiendo ogni anno, come ho detto, un controllo della situazione, in particolare la verifica dell’aumento o del decremento degli iscritti, della loro età, del numero di versamenti contributivi compiuti ecc. Solo in tal modo possiamo dire se fra 30 anni il bilancio sarà positivo e quindi attuare piccoli interventi, come non siamo abituati in Italia. Perché quando essi diventano pesanti, è difficile che vengano accettati.
D. Le professioni hanno gli stessi problemi o esistono diverse condizioni?
R. In una recente audizione disposta dalla Commissione bicamerale abbiamo avanzato l’ipotesi di varare un Testo Unico al riguardo; successivamente abbiamo appreso con piacere che il presidente della stessa Commissione on. Francesco Maria Amoruso si è pronunciato in tal senso perché non è giusto ad esempio che alcuni professionisti vadano in pensione con 25 e altri con 30 anni di contribuzione, alcuni a 65 e altri a 70 anni di età ecc. Riteniamo necessario stabilire diritti e doveri sulla base di un criterio equo. Non intendo dire se vanno bene 65 o 70 anni, non ho fatto studi di questo tipo; sostengo solo che il trattamento va unificato. Non intendo indagare sui motivi per i quali una professione ha ottenuto diritti e tutele superiori a quelli di altre; osservo che uno dei grandi limiti di questo Stato è quello di non avere norme uguali per tutti, e pertanto di creare grandi contraddizioni.
D. I politici sono sensibili ai vostri problemi pensionistici?
R. Sia in base all’esperienza che abbiamo, sia in base agli atti parlamentari, possiamo dire che i settori della pensione e della scuola, più ancora di quello del fisco, hanno fatto cadere il maggior numero di Governi nella storia della Repubblica. Prima di lasciare la presidenza dell’Ente, sperando di ottenere gli stessi risultati positivi raggiunti nel campo della sanità e dei riscatti, mi riprometto di portare a termine un impegno consistente nello stabilire uno zoccolo pensionistico obbligatorio uguale per tutti; e quindi, partendo da esso, predisporre le condizioni per realizzare fasce di contribuzione che permettano diversi livelli di pensione per il futuro. Questo affinché chi sarà più previdente durante la vita lavorativa potrà godere di un trattamento migliore, come avviene con la previdenza complementare.
D. Ritiene che questo sistema attecchisca facilmente in Italia?
R. La cultura italiana è profondamente legata al concetto di pensione, ma non a quello di previdenza complementare. I tentativi compiuti sono falliti. Ritengo sia possibile, invece, trasformare il sistema attribuendo all’Ente previdenziale, cui oggi tra l’altro la legge lo consente, il compito di gestire una forma di previdenza complementare basata sui contributi versati dai professsionisti in misura eccedente rispetto a quella stabilita dalla legge, per ottenere a suo tempo un migliore livello pensionistico. Generalmente il professionista ha un reddito crescente con gli anni; è logico che, arrivato a una certa età, desideri costituirsi una pensione superiore.
D. Quali effetti ha avuto la privatizzazione degli Enti previdenziali dei professionisti?
R. Le risorse delle libere professioni fanno gola a qualunque Governo, di qualunque colore; ma se è vero che siamo autonomi, dobbiamo gestire noi i nostri contributi, che non debbono finire nel grande calderone della spesa pubblica. Ho già affermato che con un Governo che avesse un buon rapporto con i liberi professionisti potremmo collaborare, certamente non attraverso il prelievo forzoso dei nostri risparmi, ma investendo le risorse destinate alle pensioni di domani in attività socialmente utili e remunerative per le stesse, in modo da garantire la possibilità di erogare le pensioni. Quindi nessun prelievo per legge.
D. Può fare qualche esempio di collaborazione?
R. Se il Governo decidesse di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina, potrebbe invitarci a partecipare al finanziamento, remunerando il nostro capitale in maniera da poter assicurare la sopravvivenza dell’Ente. Soluzioni di questo tipo contribuirebbero allo sviluppo economico del Paese. Potremmo sedere paritariamente intorno a un tavolo di trattative per discutere con grande correttezza ma anche con grande senso del dovere, nell’ambito dei rispettivi ruoli, e tenendo sempre presente che il nostro compito è quello di garantire le pensioni agli iscritti. Il Governo non deve assolutamente pensare di coprire il fabbisogno finanziario pubblico con un prelievo obbligatorio a carico delle Casse private. Non possiamo farci carico di politiche economiche che non spetta a noi né indicare né attuare; è un compito che deve svolgere chi ha la responsabilità di farlo.
D. Oltre a questo, come si comporta il Governo verso gli Enti privati?
R. Ci impone oneri eccessivi e ingiusti. Ad esempio la doppia tassazione che colpisce i contributi versati dai professionisti attraverso una prima imposizione fiscale a carico dell’Ente, e a una seconda a carico del pensionato. Sugli immobili che possediamo come riserva di capitale destinato alle pensioni, paghiamo le stesse aliquote fiscali delle imprese. Se svolgiamo una funzione sociale derivante dalla Costituzione, non dovremmo subire una doppia imposizione sulle stesse somme. Se ricaviamo un reddito dal capitale destinato alle pensioni, non dovrebbe essere toccato.
D. Che cosa avviene negli altri Paesi dell’Unione europea?
R. In Europa la doppia tassazione non esiste, c’è solo in Italia, è una stortura che non possiamo accettare. E non è l’unica. C’è anche il fatto che non siamo soggetti al regime dell’Iva, con conseguenze assurde: se l’acquisto di un immobile per un’impresa privata comporta una spesa di 10 milioni di euro, all’Ente costa invece 12 milioni, perché non può dedurre l’Iva del 20 per cento. Quindi anche il reddito derivante da quell’investimento, ad esempio il canone di locazione, è inferiore. Sono aspetti che chi amministra lo Stato dovrebbe considerare. La commistione tra la previdenza pubblica e l’assistenza ha dato cattivi risultati tanto che senza un consistente contributo dello Stato la prima non potrebbe far fronte agli impegni nei confronti dei pensionati.
D. L’introduzione della flessibilità nel rapporto di lavoro incide sul settore previdenziale?
R. Se è utile in generale per lo sviluppo economico, è destinata a creare un nuovo problema per la previdenza perché i lavoratori non potranno più contare su una continuità contributiva, e diminuiranno le entrate degli enti previdenziali. Se non si vareranno norme a salvaguardia dei periodi privi di contribuzione, quale pensione percepiranno tra 30 anni i giovani di oggi? La flessibilità richiede ammortizzatori sociali, altrimenti la società di domani sarà più povera.
D. La crisi economica attuale colpisce la vostra categoria?
R. Certo, ma essendo essa strettamente legata al mondo del lavoro, ha un avvenire purché non si consideri solo come la «professione della busta paga», ma la risposta alle nuove esigenze della piccola e media impresa che, non disponendo di una struttura propria, non avrebbe la possibilità di conoscere e accedere ad agevolazioni e benefici previsti dalle leggi. Inoltre la legge Biagi ha introdotto nuove forme di rapporti di lavoro. L’unico problema che dobbiamo superare è quello della formazione della categoria. Abbiamo bisogno dell’introduzione della laurea, che non costerebbe nulla alla collettività ma eleverebbe il livello culturale dei professionisti. Abbiamo chiesto un apposito stralcio nell’ambito della riforma universitaria, per non essere considerati in Europa professionisti di serie B. Abbiamo prospettato il problema a tutti i politici, di maggioranza e di opposizione, abbiamo ottenuto tanti consensi e risposte positive, ma nessuna iniziativa. Abbiamo fatto presente il problema anche al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma a tutt’oggi non siamo riusciti a ottenere questo salto di qualità.

back