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COOP. NECESSITA' E MODALITA' DI INSERIMENTO DI IMMIGRATI

di Ivano Barberini presidente dell’Alleanza Cooperativa Internazionale e dell’Assemblea Nazionale della Legacoop

a gestione della diversità è divenuta una necessità inderogabile in realtà socio-economiche sempre più multietniche e multinazionali. L’individuo, la sua psicologia, la sua conoscenza del mondo, la sua cultura, superano i confini catalogabili sulla base di categorie predefinite. Le relazioni avvengono tra persone con un’identità culturale composita, le cui radici si intrecciano in un processo evolutivo inarrestabile. Un mondo senza frontiere e i crescenti processi migratori, dalle megalopoli dei Paesi in via di sviluppo alle città dei Paesi sviluppati, rendono il problema particolarmente acuto rispetto a ogni precedente esperienza. La complessità che ne consegue non ammette soluzioni improvvisate e drastiche. È necessario partire da un dato di fatto.
Le popolazioni dei Paesi sviluppati, specie dell’Italia, invecchiano velocemente sia per l’allungamento della vita media sia per la bassa natalità. In questa situazione il migrante è una risorsa indispensabile. Secondo una ricerca di Gianpiero Dalla Zanna sulle tendenze demografiche in Italia e in Europa, nei prossimi 20-30 anni il numero di ottantenni e novantenni crescerà notevolmente, mentre la popolazione sotto i 60 anni sarà sempre più multietnica e «colorata», sia perché la popolazione autoctona è statica o radicata nel territorio, sia perché l’immigrazione proverrà in prevalenza dai Paesi africani, asiatici, dell’America latina e sempre meno dall’Est Europa. Tutto ciò comporta vantaggi e difficoltà.
È indispensabile adottare politiche e pratiche di inclusione efficaci nel favorire l’integrazione e il rispetto delle differenze culturali e pretendere l’osservanza delle regole di civile convivenza. L’inserimento non riguarda solo la prima generazione di migranti, ma ancor più i loro figli, non disponibili ad accettare il ruolo subalterno dei genitori. Il problema è dar loro una formazione attraverso l’inserimento nel sistema scolastico, su basi interclassiste e interetniche. I problemi da affrontare nell’inserimento di ragazzi provenienti da altre culture sono rilevanti nella scuola e nel lavoro. Gli insegnanti dovrebbero avere una preparazione antropologica e sociale e una buona capacità progettuale. Una difficoltà che si aggiunge a un diverso modo di apprendere di quei ragazzi (mancanza a volte di senso critico, studio mnemonico) è la non conoscenza della lingua italiana. Sono problemi che riguardano anche le imprese cooperative e gli esempi di gestione dei rapporti interculturali sono sempre più numerosi.
Basta considerare le esperienze di integrazione sociale rese possibili dall’ammissione di immigrati alle cooperative, in qualità di soci, in molti Paesi occidentali tra cui l’Italia. Un esempio è fornito dalla cooperazione bolognese, come risulta da una ricerca delle organizzazioni provinciali di Agci, Confcooperative e Legacoop. Bologna è una provincia con circa 900 mila abitanti dei quali 32 mila provenienti da Paesi stranieri. Circa 20 mila sono entrati negli ultimi 10-15 anni. Oltre 13 mila sono in attesa di permesso di soggiorno. Molti sono entrati in centri di accoglienza e i migliori o i più fortunati sono stati assunti da imprese.
Le prime esperienze della cooperazione sociale nel campo dell’accoglienza sono cominciate una quindicina di anni fa. Si trattava di dare una prima accoglienza a migranti provenienti da Jugoslavia, Albania e Magreb, in un quadro confuso anche per la mancanza di una legge sugli ingressi. Oggi su 25 mila lavoratori delle cooperative della provincia di Bologna, 2.500 sono immigrati; negli ultimi due anni la crescita degli occupati è stata pari al 5 per cento, mentre gli immigrati sono aumentati del 39 per cento: una crescita dovuta alla normalizzazione basata sulla nuova legislazione. L’inserimento dei immigrati nelle cooperative agricole, edili o di servizi, è avvenuto spesso in modo spontaneo e non governato. Le difficoltà incontrate hanno reso evidente a molte cooperative la necessità di gestire il fenomeno sperimentando nuove modalità relazionali. Non sempre le esperienze hanno avuto successo, ma hanno portato alla luce nuovi problemi e aperto la strada a metodi più efficaci per risolverli. È emersa la necessità di dotarsi di mediatori culturali in molte cooperative che occupano immigrati o li associano. Tra le prime ad avvertire questa esigenza è stata la Manutencoop, grande cooperativa di servizi vari che occupa 1.100 immigrati, oltre il 40 per cento del totale.
Da alcuni anni essa ha inserito un mediatore culturale, Khalid Ettaib, di origine marocchina. Entrato in cooperativa come facchino, si è laureato in Economia e ha frequentato un corso post-laurea in Economia della cooperazione. L’esperienza si è rivelata importante per l’inclusione e il rapporto interculturale. Un mediatore che parla arabo, assiste gli immigrati, spiega loro che cosa è una cooperativa e la possibilità per tutti di diventare soci, è un punto di riferimento per l’accoglienza. Le aspettative verso il ruolo delle cooperative crescono più di fronte a nuovi bisogni che alle esperienze. La sfida si estende sempre più all’inserimento di nuove figure sociali - badanti e colf, quasi 7 mila nella sola provincia di Bologna -, ed è alla base della costituzione di cooperative, considerata una condizione per migliorare il lavoro e la qualità della vita. Va aggiunto il problema dei figli dei migranti che frequentano le scuole medie e non hanno una famiglia in grado di accudirli: le cooperative sono chiamate a favorirne l’inclusione, anche per contrastare il pericolo di devianze. In un mondo che cambia a ritmi frenetici, l’impresa cooperativa aggiorna la propria cultura e iniziativa sui nuovi bisogni e soggetti per i quali il primo diritto di cittadinanza è rappresentato da un lavoro dignitoso.

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