LE RIFLESSIONI DI UN MANAGER
 
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GOVERNO.
URGE AGGIORNARE
IL PROGRAMMA

di Paolo di Damasco



i continua tuttora a parlare della necessità di dare un forte scossone all’economia italiana, con la riduzione delle imposte dirette o con altro mezzo. Forse il modo migliore per rilanciare l’economia potrebbe essere quello di dare un forte scossone alla politica. In che modo? È molto semplice: dopo le prossime elezioni europee e a prescindere dal loro risultato, l’attuale maggioranza dovrebbe urgentemente ridefinire i valori fondamentali e le scelte primarie poste a fondamento della Casa delle Libertà, assumendo decisioni coerenti sia nell’ambito dell’attività governativa sia in quello della vita politica.
Nell’ambito governativo la maggioranza dovrebbe aggiornare il programma da realizzare negli ultimi due anni della legislatura, individuando con precisione tanto le modalità quanto i tempi di attuazione del patto stipulato da Silvio Berlusconi con gli elettori. Dovrebbe inoltre - e forse è questo l’aspetto più difficile -, rinnovare la squadra degli uomini di Governo cui affidare la responsabilità dell’attivazione del programma. L’attuale squadra, infatti, pur potendo vantare il record del tempo di durata nella storia repubblicana, non può vantare particolari record per cultura di Governo, efficienza e credibilità.
Nell’ambito della vita partitica la Casa delle Libertà si sta rivelando sempre più come la sigla di una coalizione elettorale piuttosto che come la struttura portante di un’alleanza stabile di carattere politico. È tempo, quindi, che la coalizione pensi a come dotarsi di una casa comune, di portavoci comuni e di un metodo comune per risolvere le eventuali divergenze. I tempi non sono certamente maturi per avviare un qualsiasi processo di costituzione di un nuovo soggetto politico, e l’esperienza di Governo del 2001-2003 non è stata certamente un elemento di spinta verso questo lontano ma possibile obiettivo; sussistono però esigenze di vita politica quotidiana che imporrebbero di avere almeno una segreteria permanente in grado di tenere sempre aperto un tavolo di consultazione preventiva e di decisione tra i rappresentanti della coalizione stessa.
La possibilità, inoltre, di avere un metodo comune di comunicazione non solo aiuterebbe a risolvere problemi interni alla coalizione stessa, ma farebbe anche fare alla stessa un grande salto di qualità che certamente troverebbe particolare apprezzamento da parte dell’elettorato. Proprio da quell’elettorato che tra qualche giorno sarà chiamato a votare per il Parlamento europeo. Probabilmente, almeno a dare retta ai sondaggi, non andrà molto bene all’attuale maggioranza. È però auspicabile che, non venendo tutto il male per nuocere, si abbia finalmente all’interno della Casa delle Libertà la voglia ed anche la forza di riflettere sugli errori commessi e soprattutto sulle opportunità mancate.
La Casa delle Libertà, infatti, non ha finora saputo avvantaggiarsi dal fatto di essere contrastata da un’opposizione fortemente divisa nel proprio interno, formata da forze politiche di storia e cultura diverse e, oltretutto, portatrici di proposte politiche talvolta contrapposte. Il tema della politica estera è emblematico. Nel centrosinistra coesistono posizioni inconciliabili su primari temi quali il rapporto con gli Usa, quello con l’Europa, la guerra contro il terrorismo islamico, la guerra in Iraq ecc. Tali diversità impediscono di avere un progetto politico comune e di concordare iniziative comuni, con la conseguenza di mettere in dubbio le capacità dell’attuale opposizione di trasformarsi in una forza di Governo. Non è però solo la politica estera a dividere profondamente il centrosinistra ma anche quella interna, a cominciare da quella economica e fiscale per finire con quella riguardante i diritti della persona e quelli della famiglia.
Di fronte a un’opposizione così frammentata, l’attuale maggioranza politica avrebbe potuto anche ottenere dall’elettorato, se non avesse commesso errori gravi e persino grossolani, un significativo consenso. L’errore principale è stato quello della comunicazione, settore nel quale Silvio Berlusconi era accreditato come un maestro mentre nella realtà dei fatti si è rivelato quasi come un principiante. La maggioranza, infatti, ha colto tutte le occasioni, anche le più banali, per mostrare di essere altrettanto frazionata dell’opposizione nonostante nel proprio interno sussistesse una più larga e profonda accettazione del progetto politico.
Silvio Berlusconi, poi, ci ha messo del suo non solo per l’accavallarsi delle reiterate promesse circa gli impegni assunti in sede di programma elettorale, ma soprattutto per l’eccessiva sovraesposizione nei media e la logorroica insistenza su alcuni temi ormai lontani dall’interesse degli elettori. In poche parole, Silvio Berlusconi ha dato l’impressione, da un lato, di non avere l’autorità e la capacità di coordinare le forze della coalizione governativa - le quali troppo spesso si sono abbandonate a futili litigi -; e dall’altro di coltivare invece ambizioni di poter fare tutto da solo, con il proprio ininterrotto lavoro e le proprie solide convinzioni, senza ricercare l’aiuto di forze politiche alleate, di collaboratori, di rappresentanti delle istituzioni e della burocrazia amministrativa.
Eppure il Governo Berlusconi non ha operato male, se si tiene conto delle eccezionali avversità economiche di tipo internazionale e dell’opera sagace di denigrazione compiuta nei suoi confronti dall’opposizione sia in Italia che all’estero: terrificante l’iniziativa presa da un rappresentante del centrosinistra per far accertare dal Parlamento europeo che in Italia non esisterebbe libertà di informazione, e quindi neppure un sistema democratico di livello europeo.
La stagnazione economica ha giustamente costretto il Governo ad interventi «una tantum» per rispettare il patto di stabilità europeo nei conti pubblici. Per ora l’Italia ha mantenuto gli impegni molto meglio della Germania e della Francia, anche se la politica dell’«una tantum» deve essere ormai sostituita da riforme strutturali della spesa. Al fine di un rilancio dell’economia, che per il 2004 sarà comunque molto modesto, il Governo ha anche sfruttato l’effetto psicologico di una riforma delle imposte dirette tesa ad alleviare il carico fiscale. Tutto questo, però, nella valutazione degli elettori non ha cancellato il difetto di comunicazione riguardante l’azione del Governo, in particolare sulle materie economiche che, essendo di primario interesse per i cittadini, necessitavano di una migliore informazione sia per quanto riguarda gli aspetti negativi internazionali (forse Giulio Tremonti si era illuso che le difficoltà della congiuntura scomparissero già a cominciare dal 2002, mentre la realtà fa vedere che tuttora sussistono nel 2004); sia per quanto concerne quelli riguardanti il nostro sistema nazionale (che vanno dalle interminabili lungaggini burocratiche per la realizzazione delle opere pubbliche al ruolo dei sindacati tra i quali il più forte, la Cgil, sembra aver deciso di trasformarsi in un vero movimento politico, vicino alle posizioni della sinistra massimalista).
Un’opera di comunicazione, realistica e anche umile, non è stata fatta, dando così all’opinione pubblica l’impressione che molti problemi di carattere politico ed economico fossero caduti improvvisamente sulle spalle della maggioranza senza che questa se ne fosse preventivamente resa conto. Il rapporto con l’elettorato si è conseguentemente deteriorato, e quindi non può destare sorpresa che l’elettorato stesso, cavalcando (come di consueto in Italia), il voto di protesta, abbia rivolto la propria attenzione all’opposizione, pur non essendo stata formulata da parte di questa una vera e propria proposta alternativa. Per la maggioranza politica, a prescindere dall’andamento delle prossime elezioni europee, è comunque venuto il tempo di cambiare linea e di valorizzare meglio le persone che, nel settore politico, economico e sociale, risultino le più accreditate per esperienza e spessore professionale. I due anni che mancano alla fine della legislatura sono lunghi se si ha la volontà di rilanciare subito la politica con spirito e con uomini nuovi; sono pochi, persino insufficienti, se si continua a guardare le realtà con una visione autoreferenziale e autocompiaciuta.
È vero che l’attuale maggioranza ha saputo resistere, talvolta anche gagliardamente, agli attacchi dell’opposizione compiuti con il grimaldello giudiziario, con la piazza e con l’arma del pacifismo. È anche vero, però, che ha dimostrato di non saper facilmente resistere al nemico più subdolo che è costituito da una fatale deriva verso la disgregazione che, alla pari di una droga, sembra talvolta impossessarsi di alcuni eminenti personaggi della coalizione di Governo. Eppure non si tratta di una malattia genetica perché in tante occasioni importanti – quella delle elezioni politiche del 2001 è stata esemplare – i partiti del centrodestra sono stati capaci di far leva sui molti motivi di unione, dimenticando i meno numerosi motivi di divisione. Questa capacità è stata talvolta persa, nell’ultimo triennio, soprattutto per piccole ripicche personali o per futili motivi. Non sembra infatti che siano emersi fatti o temi che abbiano inciso profondamente sulle doti di coesione della coalizione.
Il tema del federalismo, che forse è stato il più delicato, pur essendo stato l’occasione per numerosi litigi non è stato un ostacolo insormontabile per ritrovare, anche su un terreno particolarmente accidentato, una posizione unitaria. Sembra, in sostanza, che nel centrodestra sussista effettivamente la possibilità di costruire una coalizione che, al di là degli appuntamenti elettorali, si presenti con le caratteristiche di una stabile alleanza politica anche sulle responsabilità di Governo. Analogo discorso, purtroppo per il Paese, non vale per il centrosinistra. Qui la malattia è decisamente di carattere genetico e non dipende dalla personalità e dalle convenienze di determinati uomini e settori politici. Tutta la sinistra italiana che ha partecipato ed ha applaudito alla costituzione, da parte di Fausto Bertinotti, del nuovo partito internazionale della Sinistra europea non potrebbe coesistere in un Governo partecipato anche dai Riformisti della Sinistra e, tanto meno, dai cattolici della Margherita e dell’Udeur.
Per il Paese sussiste quindi il rischio di non avere una forza di Governo alternativa a quella dell’attuale maggioranza. È vero che il centrosinistra ha governato nel periodo 1995-2001. È anche vero però che ha potuto governare prima ricorrendo a «prestiti» di forze politiche schierate precedentemente in campi avversi (nel periodo 1995-1996 la Lega e lo stesso presidente del Consiglio Lamberto Dini), e poi operando un vero e proprio «ribaltone»: l’acquisizione di forze politiche elette nel centrodestra, al seguito di Francesco Cossiga e Clemente Mastella, a compensazione della perdita di Rifondazione comunista.
Il segno di queste difficoltà del centrosinistra di proporsi come una forza di Governo, si può riscontrare anche nella scelta dei leader. Chi avrebbe potuto pensare che, otto anni dopo le elezioni del 1996 e dopo cinque anni di presidenza europea, Romano Prodi si potesse ripresentare in Italia come l’unico possibile punto di riferimento della coalizione di centrosinistra? E chi avrebbe potuto pensare che, dopo la sconfitta del 2001, Francesco Rutelli restasse insediato in una posizione di leader anche nel 2004? E come valutare la resurrezione prossima ventura di Walter Veltroni o delle iniziative del «sempre verde» Giuliano Amato?
Questi interrogativi lasciano trasparire il travaglio del centrosinistra per darsi un’immagine e una caratura di forza di Governo. È probabile che gli elettori italiani, se non ci saranno sostanziali modifiche di scenario, terranno tutto questo nel debito conto in occasione delle elezioni politiche del 2006. A meno che il centrodestra, continuando nella strada intrapresa nel biennio 2001-2004, non costringa gli elettori stessi a rifugiarsi nel voto di protesta. E sarà proprio la protesta che il centrosinistra continuerà a cavalcare, come ha fatto finora, sulle piazze, nei media, nelle aule giudiziarie, nelle sedi istituzionali. Non possiede, purtroppo, almeno per ora, altro valido strumento di lotta politica.
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