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UMBERTO VERONESI:
RITROVARE LA FIDUCIA
NELLA SCIENZA

intervista all'ex ministro della Salute

 

 

n più di 50 anni di attività clinica e di studio in discipline scientifiche e umanistiche, di impegno professionale e sociale, sono stato testimone di straordinari successi della scienza, che hanno permesso all’umanità di raggiungere livelli di benessere mai osservati nei secoli precedenti»: in queste parole del prof. Umberto Veronesi, è contenuto non un bilancio consuntivo del passato ma un preventivo per il futuro: perché questo illustre luminare della Medicina - che nei precedenti Governi di centrosinistra è stato anche ministro della Sanità - si è accinto a ricominciare da zero promuovendo un’ambiziosa iniziativa che si ripromette un’intensa e qualificatissima attività per il futuro: si tratta della «Fondazione Umberto Veronesi per il progresso delle Scienze», che ha in programma, come indica il nome, di rilanciare il ruolo e l’attività della scienza per la società di domani. Così il prof. Veronesi illustra gli scopi dell’istituzione.
Domanda. Quali sono in particolare gli scopi della sua nuova iniziativa?
Risposta. La Fondazione ha come obiettivo il progresso delle scienze, perché abbiamo notato che, per una serie di motivi, negli ultimi anni si è verificato un certo distacco tra il mondo della scienza, che procede celermente e produttivamente sulla propria strada, e la fiducia della gente, che qualche volta vede in essa un elemento di rischio. Eppure nel secolo scorso la scienza ha portato l’elettricità, il treno, l’auto, l’aereo, il telefono, il computer ecc. Si pensava che sarebbe stata in grado di risolvere anche i grandi problemi dell’alimentazione, del clima e così via, invece si è innescata una reazione negativa. Forse perché essa ha contribuito, ma non certo per colpa degli scienziati, allo sviluppo di mezzi di distruzione; purtroppo spesso le scoperte sono utilizzate dai governanti per scopi diversi da quelli che gli scienziati si propongono. Quando Enrico Fermi scoprì che la reazione a catena dell’uranio avrebbe prodotto una quantità incalcolabile di energia, pensò che si sarebbe risolto il problema energetico del mondo; ma la guerra indusse i governanti ad utilizzare la scoperta per scopi ben diversi. Da allora l’energia nucleare ha assunto un’immagine negativa, la gente ha paura di essa, nutre perplessità secondo me ingiustificate se pensiamo che tutte le centrali nucleari occidentali non hanno avuto in 40 anni neanche un incidente. Sembrano, anzi, più sicure di quelle idroelettriche le cui dighe possono crollare, di quelle a carbone o a petrolio che inquinano e spargono prodotti cancerogeni. Ma per la gente oggi la scienza è oggetto di riflessione, non suscita entusiasmi.
D. Cosa intende fare la Fondazione?
R. Restituire a tutti i livelli - a politici, persone comuni, uomini di cultura ecc. -, la fiducia verso la scienza, verso lo scienziato che lavora per fare scoperte, allargare le conoscenze, avere risultati positivi. Le conoscenze determinano il progresso della società e questa è la funzione della scienza; le distorsioni non appartengono ad essa, sono decise altrove. Un secondo obiettivo della Fondazione è controllare che il mondo scientifico, grazie a un proprio codice etico, non intraprenda ricerche che possano essere utilizzate per scopi non benefici.
D. Quali iniziative avete preso?
R. Abbiamo già avviato una serie di progetti per penetrare in tutti gli strati della società e portare un messaggio di fiducia. Abbiamo programmi per la scuola, per l’Università, per il mondo imprenditoriale. Occorrono nuove conoscenze, e il Paese che non le crea è destinato a diventare di secondo livello, sostanzialmente colonizzato dal punto di vista scientifico e tecnologico dai Paesi che creano conoscenze. Si può discutere, sotto il profilo etico, l’istituto della brevettabilità delle scoperte, ma non si può contestarlo; è difficile, infatti, avere uno sviluppo industriale se chi brevetta una scoperta non ha il diritto di venderla a chi non l’ha. Chi non investe nella ricerca non consegue brevetti, deve acquistarli e dipendere da altri. Per sopravvivere è necessario creare nuove conoscenze.
D. Si può essere sicuri che gli scienziati non perseguano altri fini?
R. La scienza ha un aspetto etico; bisogna avere fiducia in essa in quanto è un fattore di civiltà, è la vittoria della ragione, è la sicurezza in quello che si afferma. Il pensiero scientifico è frutto di un meccanismo logico basato sull’evidenza, sui fatti osservati o sperimentati, non sulla fantasia, non su fenomeni paranormali e su superstizioni, come purtroppo avviene spesso nel mondo. Confrontiamo il tempo che la televisione dedica agli oroscopi con quello che riserva all’istruzione scientifica; nelle trasmissioni popolari della domenica si concedono grandi spazi a fenomeni paranormali, a esoterismo, esorcismo, presenza di Satana; si propina alla massa dei telespettatori un mondo di irrazionalità.
D. Ma ognuno non è libero di credere a quello che vuole?
R. Personalmente ritengo che ognuno nel proprio intimo deve essere libero di credere a quello che vuole. Ma non è giusto che una televisione di Stato, per la quale si paga anche il canone e che dovrebbe istruire, civilizzare, far progredire la società, mostri invece aspetti regressivi e oscurantismi intellettuali. Se siamo d’accordo su questo, è necessario reagire. Il mondo delle imprese, della scuola, della cultura, gli intellettuali, i filosofi, i mecenati, gli artisti, ossia coloro che più di tutti devono produrre conoscenza, devono avere rispetto per la scienza e per chi crea le condizioni affinché il progresso della società continui. Il mondo scientifico deve essere sostenuto e potenziato, ma deve anche avere un codice morale.
D. Cosa fa la Fondazione per incoraggiare gli scienziati?
R. Uno dei progetti della Fondazione è la creazione di centri di ricerca avanzata che evitino la fuga dei cervelli dall’Italia e richiamino quelli che sono andati all’estero; ma che attirino anche cervelli non italiani. Occorre superare una paleo-cultura che si esprime in forme primordiali di nazionalismo; oggi nel mondo è in atto un interscambio, una fecondazione di idee che diventa tanto più efficace quanto più le persone agiscono in collegamento con altre di scuole diverse. Desideriamo creare in Italia istituti sovranazionali capaci di coagulare principi e scuole scientifiche e filosofiche di tanti Paesi, riproducendo un po’ la situazione rinascimentale nella quale le nostre università - Padova, Bologna, Pavia -, erano centri di cultura in cui affluivano studiosi da tutta Europa per insegnare e imparare. Copernico formulò le proprie teorie sull’eliocentrismo non a Varsavia ma a Bologna; a Padova Vesalio impresse una grande spinta allo sviluppo della medicina. L’Istituto Europeo di Oncologia di Milano è un esempio: vi sono rappresentati 14 Paesi d’Europa e è tenuto per statuto ad avere anche elementi non italiani.
D. Chi dovrebbe essere interessato alle iniziative della Fondazione?
R. Le scuole, le imprese, le banche, il mondo della finanza, quello del diritto; abbiamo costituito un gruppo di esperti nei campi giuridico e scientifico per approfondire i grandi temi sul tappeto come l’eutanasia, la fecondazione assistita, i trapianti di organi. Ogni area di sviluppo comporta infatti inevitabilmente implicazioni di carattere giuridico. Stiamo avviando una grande campagna contro il fumo delle donne, è un progetto di carattere pratico ma importante, perché non dobbiamo vivere solo di teoria ma contribuire alla crescita razionale dell’individuo. Oggi il fumo si sta diffondendo in un numero crescente di donne, perché impossessarsi di un’abitudine tradizionalmente maschile sembra rafforzare un processo di emancipazione che è giusto in generale, ma nel caso particolare ha risvolti drammatici. Seimila donne l’anno muoiono per il fumo di sigarette, e nonostante questo c’è la tendenza all’aumento; troppe di esse non hanno ancora percepito la gravità di un’abitudine che gli uomini, invece, stanno lentamente abbandonando. E mentre la mortalità per tumori polmonari negli uomini diminuisce, nelle donne aumenta.
D. Intendete operare anche all’estero?
R. Un progetto prevede la diffusione di principi scientifici nei Paesi in via di sviluppo o ancora non scientificamente evoluti, tenendo conto però che la ragione rifiuta la pretesa di volere a tutti i costi imporre una filosofia di vita a chi non l’ha. Un esempio è dato dagli islamici che hanno una religione molto evoluta ma nutrono dell’Occidente un’opinione negativa ritenendolo in preda all’involuzione, regno del male, corrotto, popolato da una società mercificata, dissoluta, superficiale, che ha abbandonato i grandi principi morali, - in parte è anche vero -, per cui sentono il dovere etico di combatterlo. Questo spiega il perché di certi fenomeni.
D. Che cosa fate in questi casi?
R. Puntiamo a diffondere il principio della razionalità in base al quale tutto si può risolvere ragionando, parlando, discutendo, comprendendo. Non sono contro il mondo islamico, cerco di comprenderlo. Abbiamo predisposto progetti di emancipazione scientifica per il Vietnam, per la parte araba di Israele, per l’America Latina; stiamo lavorando in questa direzione.
D. Quale sarà il futuro dell’umanità?
R. Per cercare di saperlo nel settembre 2005 organizzeremo a Venezia la prima conferenza mondiale sul futuro della scienza, con l’intervento di Capi di Stato, Premi Nobel, scienziati invitati a discutere, a esprimere il proprio parere su dove andiamo, perché la scienza ha assunto ormai uno sviluppo esplosivo. Il mondo dell’informatica e delle telecomunicazioni è solo all’inizio delle sue potenzialità; per le generazioni future si sta creando una nuova dimensione, che può essere positiva ma anche avere effetti negativi. Non so se per i più giovani sia utile trascorrere una giornata davanti alla play-station; forse sì, forse no, ma comunque dobbiamo discuterne, non intervenire a posteriori quando ormai essa è già nelle mani dei giovani.
D. Quali temi saranno affrontati?
R. Ad esempio studiare gli effetti che produrranno le nuove tecnologie, vedere se è giusto creare nuove piante e nuovi animali, o modificare l’assetto genetico degli esseri viventi. Dal punto di vista scientifico pensiamo di sì, ma occorre farlo sulla base di un progetto, non per il solo gusto di farlo. C’è il rischio, infatti, che la tecnologia avanzi per conto proprio, senza il controllo della scienza. Quest’ultima ha una strategia, ricerca la verità e l’universalità dell’informazione, svolge una funzione civilizzatrice; lo scienziato si pone il problema di cosa significherà per il futuro dell’umanità quello che egli sta facendo. La tecnologia risponde solo al mercato: se questo chiede un telefonino con 15 ore di operatività anziché 10, essa glielo appronta subito, non si pone il problema se sia giusto o sbagliato, se può creare effetti negativi. Mentre noi dobbiamo operare delle scelte.
D. In quale direzione sembra svilupparsi la scienza in Europa?
R. La conferenza di Venezia del prossimo anno punterà a diffondere l’idea di creare in Europa quella che io chiamo una «Camera alta», un gruppo di scienziati, di intellettuali, filosofi, teologi che meditino sul ruolo futuro della scienza tenendo conto della civiltà in cui viviamo, dei limiti imposti dai valori etici, laici o religiosi che siano, che ci obbligano a restare entro certi binari; questo gruppo comincerà a individuare quale sarà la civiltà del futuro.
D. I progressi della tecnologia non indicano già dove va l’umanità?
R. Siamo alle soglie di grandi trasformazioni e di grandi potenzialità; disporre di satelliti che ci guidino mentre procediamo in auto è certamente utile, ma occorre attenzione perché basta avere un telefonino in tasca per essere controllati in tutto. Dobbiamo accogliere con gioia le novità, ma prima pensare dove esse potranno condurre. Gli strumenti di controllo sono più importanti degli strumenti di distruzione; e non dobbiamo dimenticare che la cosa più importante è la nostra libertà. Bisogna quindi discuterne perché siamo solo all’inizio. Facendo la mappa del dna, ad esempio, potremo conoscere le nostre malattie future; ma allora cosa varrebbe la nostra vita? Per poter passare dalla medicina prescrittiva odierna a quella predittiva si potrà anche imporre il consenso dell’interessato, ma si sa benissimo che tutto poi si supererà: già oggi basta prendere un capello di una persona per conoscerne il dna; quindi si potrà sapere tutto di tutti. C’è bisogno che si discuta di questi problemi.
D. La Fondazione riuscirà nel proprio intento?
R. Intanto vogliamo lanciare un sasso nello stagno, perché al momento non si sta facendo niente; i politici riservano scarse risorse alla ricerca, non hanno una strategia, non gli interessa cosa succederà fra 10 anni, si preoccupano solo di essere rieletti. Non è colpa di nessuno, è una caratteristica del sistema politico, della democrazia che ha tanti meriti ma anche questi problemi. Io mi sono impegnato a fondo nel campo dell’Oncologia, ho fatto molte scoperte e ho ricevuto riconoscimenti e premi, ma credo che il mio compito sia anche quello di operare con questa Fondazione per lo sviluppo della scienza.
D. Come si distingue da altre istituzioni esistenti?
R. Mi è stato suggerito di darle il mio nome per evitare la genericità, per non farla confondere con altre istituzioni, per far conoscere alla gente chi vi opera, per darle insomma una sorta di marchio di garanzia. La Fondazione non ha scopi di lucro ma funzioni benefiche, in particolare per giungere dove il settore pubblico non riesce.
D. Fede e scienza vanno d’accordo?
R. La fede può avere un rapporto di pacifica convivenza con la scienza, non sempre l’una è contro l’altra, ci sono scienziati molto religiosi. Non vedo perché debba esservi un contrasto. Si possono avere idee diverse, ma i principi morali sono uguali in tutto il mondo.
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